Le «vene» e la storia dei vulcani

652
Cristalli di gesso all'interno di una vena decimetrica, Lipari, area Cava del Caolino
Tempo di lettura: 3 minuti

I sistemi vulcanici attivi hanno le vene e si comportano come valvole. Queste strutture sono in grado di fornire informazioni preziose sull’evoluzione e sulla dinamica a lungo termine dei vulcani e dei sistemi idrotermali. A comprendere il ruolo di queste manifestazioni idrotermali, uno studio firmato Ingv, pubblicato su «Scientific Reports – Nature»

Abstract

Vein networks affect the hydrothermal systems of many volcanoes, and variations in their arrangement may precede hydrothermal and volcanic eruptions. However, the long-term evolution of vein networks is often unknown because data are lacking. We analyze two gypsum-filled vein networks affecting the hydrothermal field of the active Lipari volcanic Island (Italy) to reconstruct the dynamics of the hydrothermal processes. The older network (E1) consists of sub-vertical, N-S striking veins; the younger network (E2) consists of veins without a preferred strike and dip. E2 veins have larger aperture/length, fracture density, dilatancy, and finite extension than E1. The fluid overpressure of E2 is larger than that of E1 veins, whereas the hydraulic conductance is lower. The larger number of fracture intersections in E2 slows down the fluid movement, and favors fluid interference effects and pressurization. Depths of the E1 and E2 hydrothermal sources are 0.8 km and 4.6 km, respectively. The decrease in the fluid flux, depth of the hydrothermal source, and the pressurization increase in E2 are likely associated to a magma reservoir. The decrease of fluid discharge in hydrothermal fields may reflect pressurization at depth potentially preceding hydrothermal explosions. This has significant implications for the long-term monitoring strategy of volcanoes.

Vene Lipari

Vene metriche in area idrotermale, Lipari, area Cava del Caolino

 

Gran parte dei vulcani attivi le possiede. Sono le vene, fratture riempite da minerali depositati da fluidi. Da sempre poco studiate, queste strutture sono in grado di fornire informazioni preziose sull’evoluzione e sulla dinamica a lungo termine dei vulcani e dei sistemi idrotermali. A dirlo un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) che hanno analizzato queste strutture nell’Isola di Lipari. La ricerca è stata pubblicata su «Scientific Reports – Nature».
«Questo lavoro – spiega Guido Ventura, ricercatore Ingv – intende capire come si sono formate le vene e perché. I dati raccolti non solo hanno consentito di ricostruire la storia di queste strutture, ma anche di determinare le variazioni di permeabilità e pressione nella crosta, oltre alla profondità della sorgente dei fluidi che hanno depositato il solfato di calcio idrato nelle vene».
I vulcani funzionano come una valvola e la loro attività non è controllata solo dalla risalita di magma. I fluidi rilasciati in profondità, infatti, risalgono verso la superficie, riempiono le fratture esistenti, per poi depositare minerali, «sigillando» la crosta come un tappo che impedisce al magma e agli altri fluidi di risalire. Questo processo si ripete nel tempo ed è controllato dalla composizione dei fluidi e dalla tettonica.
«Una diminuzione delle emissioni di gas in superficie – prosegue il ricercatore – non è quindi correlato univocamente a un decremento del rilascio di gas dal magma, ma riflette una fase di pressurizzazione del sistema vulcanico che potrebbe precedere esplosioni idrotermali ed eruzioni vulcaniche. Questo porterebbe a re-interpretare i dati di monitoraggio dei vulcani attivi come i nostri Campi Flegrei e lo Yellowstone negli Stati Uniti».
Le vene giocano un ruolo fondamentale nella dinamica dei sistemi vulcanici perché in qualche modo «sigillano» la crosta, determinando così una riduzione di permeabilità e un sollevamento.
«Questa crosta – continua Ventura – impedisce, infatti, che nuovi fluidi risalgano creando delle sacche di sovrappressione in profondità. Un aumento di pressione potrebbe fratturare il sistema, produrre una esplosione idrotermale o addirittura innescare una eruzione vulcanica per decompressione istantanea della camera magmatica. Quando il sistema è, invece, ormai fratturato, un altro ciclo di deposizione e di formazione delle vene ha un nuovo corso».
L’implicazione principale dello studio riguarda il monitoraggio delle aree vulcaniche attive.
«Come noto – aggiunge il ricercatore – una diminuzione del degassamento in un’area vulcanica attiva è generalmente interpretato come un raffreddamento del sistema magmatico o un decremento nel rilascio di gas del magma. Tuttavia, i dati evidenziano che questo potrebbe, invece, significare una diminuzione di permeabilità dovuta alla deposizione di minerali nelle fratture con conseguente aumento della pressione. Il sistema si troverebbe ad evolvere verso una condizione di maggiore instabilità che potrebbe preludere una esplosione idrotermale o una eruzione vulcanica».
La formazione delle vene e la conseguente riduzione di permeabilità crostale, quindi, sarebbero così controllati dalla composizione chimica delle soluzioni acquose che depositano i minerali e dalla tettonica che controlla l’orientazione e il grado di interazione tra le vene. «Da qui il risultato che la dinamica di queste aree non risente solo dei processi vulcanici ma anche dagli sforzi prodotti dai processi geodinamici a più grande scala», conclude Guido Ventura.