Non solo incendi in Portogallo…

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incendio boschi
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La terra brucia sempre di più e non solo in estate vicino a casa nostra… Se i media fossero più attenti, si potrebbe fare un calcolo sereno dei danni e delle cause ed invitare i governi ad applicare soluzioni per salvare la nostra casa comune. Dividere le notizie per non disturbare i vari manovratori non ci salverà

Non accadono, purtroppo, solo incendi in Portogallo. Ma alla stampa che dà «notizie», non gli sembra vero dopo i morti londinesi (per l’incendio del grattacielo) contare anche i morti portoghesi… L’etica professionale del dovere/diritto di informare, si può ben sospendere per altri tipi di incendi che hanno meno patos della conta dei morti, dell’ansia giustificata di sapere chi sono le vittime, da dove vengono, se erano in viaggio di nozze o se il pompiere del giorno doveva andare in pensione il giorno dopo…
Fatti di vita, purtroppo scontata, che fanno parte del divenire esistenziale di questo nostro passaggio sulla terra.
Ma ci sono, si diceva, altri incendi, con meno patos perché i morti non sono lì da contare subito, ma vanno contati nel tempo…
A chi importano gli incendi dell’Indonesia che hanno creato una nube di fumo che ha coperto l’intera regione, causando malattie respiratorie a milioni di persone in Indonesia e nei paesi confinanti? Intere province hanno avuto le scuole chiuse e i voli sospesi, mentre nei mesi degli incendi l’Indonesia ha emesso più CO2 degli Stati Uniti. Chi si mette a contare quei morti? E poi chi si mette a combattere contro le multinazionali della carta che sono i veri responsabili degli squilibri ecologici?

A chi importano le migliaia di ettari che bruciano in Siberia? Chi si mette a calcolare i danni all’ambiente globali che per di più danno ragione a chi sostiene che sono una conseguenza dei cambiamenti climatici? Chi si mette a contestare la dirigenza russa che oltretutto ricava un vantaggio innegabile per un continente che d’inverno è stretto in una morsa di gelo? Infatti, Secondo un rapporto dell’agenzia russa per il clima e l’ambiente, tra il 1976 e il 2012 le temperature medie in Russia sono aumentate di 0,43°C al decennio (più del doppio della media mondiale di 0,17°C).

rapporto filippineA chi importa che ormai da anni l’Amazzonia sta bruciando e gli indios vengono uccisi e cacciati dalle loro terre? Che importa che ci sono studi che dimostrano il grande danno ecologico della sparizione di questo immenso polmone verde?
Uno studio pubblicato nel 2014 dall’Imazon, un’associazione brasiliana, dimostra che nelle riserve naturali nelle regioni dell’Amazzonia si registra meno del 2% della deforestazione, mentre le aree in proprietà private si concentra il il 59% della distruzione. Perfino le aree protette gestite dal governo, sono soggette a una massiccia deforestazione (il 27% del totale), a causa delle invasioni illegali da parte dei taglialegna e degli agricoltori. Chi si mette contro il Brasile, i produttori di legname che esportano in Europa e gli allevatori che producono prelibata carne?
A seguire, nel dettaglio, le notizie fornite da «Salva le foreste»

I tremendi impatti climatici dell’industria della carta in Indonesia

Troppo fumo, o in inglese, «Too Much Hot Air», titola il rapporto rilasciato dalla rete di associazioni ambientaliste Environmental Paper Network (Epn) che denuncia il terribile impatto dell’industria cartaria in Indonesia e sul clima globale: più alto di un paese industrializzato come la Finlandia, più alto di 32 mega-centrali a carbone, più alto di decine di paesi nel mondo. Il motivo si chiama «torba»: infatti le piantagioni di acacia si sono estese sulle paludi torbiere, e per mantenere le piantagioni produttive la torba deve essere drenata con canali e tenuta asciutta, ma in questo modo rilascia immense quantità di carbonio. E non solo…
Le piantagioni che riforniscono le cartiere si estendono su oltre un milione di ettari di torbiere (un’area vasta quanto la Jamaica). 600.000 ettari sono controllati dai fornitori della Asia Pulp & Paper (App) e più di 250.000 dai fornitori della April, il resto da altri operatori. Dato che le piantagioni su torba drenata rilasciano ogni anno tra le 70 e le 80 tonnellate di CO2 per ettaro, l’intero settore rilascia 88 milioni di tonnellate, senza calcolare l’insorgere di incendi, come quelli verificatisi nell’autunno 2015, dato che la torba è altamente infiammabile.
Questi incendi hanno creato una nube di fumo che ha coperto l’intera regione, causando malattie respiratorie a milioni di persone in Indonesia e nei paesi confinanti. Intere province hanno avuto le scuole chiuse e i voli sospesi, mentre nei mesi degli incendi l’Indonesia ha emesso più CO2 degli Stati Uniti.
Non solo, ma mentre il carbonio se ne va nell’atmosfera, la torba si dissolve nell’aria e il suolo si abbassa, tanto che intere regioni si apprestano ad essere regolarmente allagate, un’altra catastrofe su larga scala più lenta ma anche più irrimediabile degli incendi.
Ma anche senza incendi, la App emette una quantità di CO2 paragonabile quella dell’intera Norvegia (o di 33 paesi del mondo a basso sviluppo) mentre la April si posiziona come la Slovenia (o 24 paesi del mondo).
Il rapporto dimostra come invece le comunità locali abbiano sviluppato diverse forme di coltivazione compatibile con l’acqua, in modo da proteggere la torba: si chiama paludicultura. In questo modo producono vimini, fibre per fabbricare stuoie, gomma e farina (da una specie di palma locale) e spesso in sistemi agricoli integrati con la foresta. Anche la carte potrebbe essere fabbricata con piante che vivono in pause, ma ovviamente la raccolta del legno sarebbe più costosa. Nel frattempo però le emissioni rischiano di costare molto molto di più. E il prezzo del cambiamento climatico lo pagheremo tutti noi.

66 incendi minacciano le foreste della Siberia

66 incendi stanno devastando le foreste della Russia. In gran parte, le fiamme sono concentrate in Siberia. Il Dipartimento Forestale della regione di Khabarovsk ha reso noto che dieci incendi estesi su 11.400 ettari sono stati rilevati in un’area remota, senza che le autorità possano intervenire. In Buryatia sono stati perduti tra le fiamme circa 500 ettari, a Tuva 200 ettari sono andati bruciati, e nella regione TransBaikal oltre 100 ettari sono stati arsi. Incendi minori sono stati riportati anche nella regione di Tomsk (80 ettari).
Gli incendi boschivi sono causati dal clima estremamente asciutto in Siberia, uno degli impatti del cambiamento climatico. Ma gli incendi inoltre rilasciano enormi quantità di carbonio che provocano un cambiamento climatico che rende i fuochi peggiori.
Secondo un rapporto dell’agenzia russa per il clima e l’ambiente, tra il 1976 e il 2012 le temperature medie in Russia sono aumentate di 0,43°C al decennio (più del doppio della media mondiale di 0,17°C).

Indios amazzonici sotto il fuoco, a rischio l’intera foresta

Ancora un attacco violento alle comunità indigene della foresta amazzonica del Marañhao, nel Brasile settentrionale. Lo denuncia il Consiglio Missionario Indigeno, una organizzazione episcopale brasiliana. Tra i feriti, tredici indigeni colpiti con armi da fuoco o da taglio, mentre ad altri due sono state amputate le mani. Secondo l’arcivescovo di Porto Velho, Roque Paloschi, il governo non fa nulla per fermare le sistematiche violenze delle milizie agrarie, che hanno visto un’impennata mentre la lobby agraria del Congresso cerca di cancellare i diritti indigeni alla terra.

Infatti, le riserve indigene, che occupano il 23% della regione amazzonica, sono le aree in cui la foresta è rimasta sostanzialmente intatta, ma fanno gola a allevatori e coltivatori, che vorrebbero abbatterle, con impatti pericolosi anche sul cambiamento climatico.
E di fatto, nelle aree controverse della Gamela, la foresta è stata sgombrata e sostituita con pascolo di bestiame.

L’attacco fa parte di una tendenza inquietante del Brasile che minaccia indirettamente la conservazione di grandi aree della foresta amazzonica. Le mappe satellitari rese pubbliche dall’Isa,  una associazione ambientalista, mostrano chiaramente la relazione tra le aree indigene e la conservazione della foresta. Gli indios conservano la foresta perché hanno bisogno delle sue risorse naturali.

Uno studio pubblicato nel 2014 dall’Imazon, un’altra associazione brasiliana, dimostra che nelle riserve naturali nelle regioni dell’Amazzonia si registra meno del 2% della deforestazione, mentre le aree in proprietà private si concentra il il 59% della distruzione. Perfino le aree protette gestite dal governo, sono soggette a una massiccia deforestazione (il 27% del totale), a causa delle invasioni illegali da parte dei taglialegna e degli agricoltori.

Purtroppo anche le riserve indigene sono ora sotto attacco: le immagini satellitari dell’Inpe, l’Istituto Spaziale di Ricerca del Brasile, pubblicate nel nell’ottobre 2016, mostrano come la deforestazione nelle riserve indigene sia quasi triplicata, soprattutto a causa di invasioni di taglialegna illegali.
Uno studio condotto nel 2015 dall’Ipam, un’organizzazione costituita dopo il Summit sulla Terra di Rio de Janeiro del 1992 per la ricerca scientifica sull’Amazzonia riferisce come le aree indigene preservano 13 miliardi di tonnellate di carbonio. Inoltre, secondo l’Ipam, le foreste gestite dagli indios funzionano come una sorta di aria condizionata naturale e come regolatori di clima della regione.

Eppure, nonostante gli evidenti vantaggi di rispettare le aree indigene, non solo per i loro abitanti, ma per tutto il Brasile e per il clima globale, il governo e i politici sembrano più interessati ad aprire la foresta a progetti agricoli e minerari. «Anche se tutto il mondo discute di riduzione della deforestazione per contenere il riscaldamento globale e il Brasile ha allentato perfino i suoi impegni a contenere la deforestazione illegale» – sostiene Sonia Guajajara, coordinatrice della rete dei popoli indigeni in Brasile (Apib)  -. Tra l’annacquamento della normativa ambientale, l’avanzata dell’agribusiness, la costruzione di dighe e le politiche di “sviluppo” del governo, il taglio illegale nelle riserve indigene, sempre più tollerato, la foresta scompare pezzo a pezzo».

La potente lobby dei proprietari di terreni, che domina sia il congresso sia il governo, ha presentato 189 emendamenti volte a ridurre i diritti fondiari e l’autonomia delle comunità indigene e delle altre tradizionali. Altri emendamenti sono volti a svuotare la legislazione ambientale.
Un comitato parlamentare d’inchiesta dominato dalla lobby rurale ha anche accusato antropologi e missionari che lavorano con gruppi indigeni di essere rappresentare non meglio identificati «interessi stranieri» e ha richiesto la chiusura dell’agenzia degli affari indigeni del Brasile, il Funai. Il budget di Funai nel frattempo è stato tagliato del 44% come parte del programma di austerità del governo. Uno dei compiti di Funai è quello di proteggere questi gruppi dall’avanzamento dai taglialegna e dei minatori illegali, ma i tagli hanno portato l’agenzia a chiudere la maggior parte delle sue postazioni sul campi, lasciando circa a 5.000 indigeni isolati sul confine con il Perù in balia degli invasori.
E quando 3.000 indigeni hanno sfilato pacificamente di fronte al Congresso, sono stati accolti con lacrimogeni e proiettili di gomma. E il ministro della Giustizia, responsabile di Funai, ha dichiarato di aver tenuto oltre 100 incontri con agricoltori e produttori, ma nessuno con i rappresentanti delle popolazioni indigene del Brasile.