L’Italia sta diventando antiscientifica

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Pietro Greco: «Gli scienziati italiani quando vanno a lavorare all’estero sono sempre molto apprezzati per la qualità di lavoro che sanno produrre ecco perché in Italia c’è necessità di lavorare con le scuole» per far innamorare i giovani


«In Italia non abbiamo un sistema produttivo che chiede scienza. È questo il motivo per cui il mondo scientifico nazionale soffre tanto la mancanza di giovani, che preferiscono le facoltà letterarie alle scientifiche». Pietro Greco solleva il problema senza molte reticenze durante il dibattito per la presentazione del suo libro «Fisica per la pace. Tra scienza e impegno civile» tenutosi un paio di giorni fa a Bari. E che abbia ragione è tangibile anche solo guardandosi attorno durante l’incontro: i presenti avevano tutti una età ben oltre gli «anta».
Eppure il concetto di «Pace» è sempre stato molto affine ai sentimenti dei giovani, probabilmente quello che spaventa è la parola «fisica» vicina, con i ricordi degli studi liceali, dove il testo di Fisica era sempre il meno utilizzato ed apprezzato.

Pietro Greco è un ricercatore italiano di punta: membro del consiglio scientifico dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) è un chimico, prestato alla fisica che si muove con maestria nel mondo del giornalismo scientifico come divulgatore di grande esperienza, ecco perché i suoi giudizi hanno un valore a prescindere.

«Gli scienziati italiani quando vanno a lavorare all’estero sono sempre molto apprezzati per la qualità di lavoro che sanno produrre – sottolinea Greco – ecco perché in Italia c’è necessità di lavorare con le scuole» per far innamorare i giovani. E invece non solo ci sono forti difficoltà, ma appaiono sempre più «strutturate», addirittura sostenute da scelte politiche, come ha sottolineato durante il dibattito Guido Pasquariello, ricercatore dell’Istituto di studi sui sistemi intelligenti per l’automazione del Consiglio nazionale delle ricerche (Issia-Cnr), che ha parlato senza mezzi termini di una «Sinistra antiscientifica».

Probabilmente il peso dei drammi innescati da due guerre mondiali hanno pesato nella cultura italiana: se la Prima Guerra mondiale è stata definita la «guerra dei chimici», per il massiccio uso di gas e armi chimiche, la Seconda è ricordata come la «guerra dei fisici», per il devastante irrompere della bomba atomica nella società contemporanea. Una eco che ricorre persino in una nota canzone di Sting «Russians», dove ci si chiede come salvare i bambini dall’«Oppenheimer’s deadly toy»…

Giovani, scienziati, Pace, vertici di uno stesso triangolo, e sistemi che si cerca di interconnettere anche grazie all’impegno del Centro interdipartimentale di Ricerche sulla Pace «Giuseppe Nardulli» che all’Università di Bari da quasi 30 anni unisce docenti dei Dipartimenti di Fisica, Scienze Storiche e Sociali, Pedagogia e Chimica per promuovere in maniera trasversale la ricerca e la formazione sui temi della pace e del disarmo. Nicola Cufaro, tra i docenti del Centro, è tra gli organizzatori dell’incontro tenutosi con Greco.

«L’Italia deve tornare ad investire nella ricerca di base – spiega Greco – è l’unico modo per avviare processi di innovazione e la scienza deve imparare ad essere più trasparente e comprensibile, per superare la crisi di credibilità che sta attraversando. Oggi i cittadini vogliono partecipare alle scelte, che siano un impianto di termovalorizzazione o la necessità dei vaccini, e gli scienziati devono saper dare risposte convincenti ad alimentare il dialogo che sappia rompere le barriere».

Anche perché se la Pace è l’unica dimensione foriera di sviluppo, la scienza ne è il suo motore a patto che abbia il bene delle persone come obiettivo. Perché come è stato ricordato, Hitler non credeva molto negli scienziati che stavano lavorando per lui alla realizzazione della bomba atomica, e solo per questo non è riuscito ad averla prima degli americani… per nostra fortuna.