Prende corpo il nuovo che avanzerà

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Nasce oggi a Bari la Fondazione delle Buone pratiche. Un pugno di professionisti che insieme vogliono porsi come riferimento e megafono di quelle che vengono chiamate le buone pratiche. Da non confondere con buoni propositi o buone idee. Qui c’è un cambio di passo dell’ambientalismo militante. Non raccolta di soldi, inviti a buone intenzioni ma a fatti. Ora presentiamo l’idea che ha guidato i fondatori e che sostiene l’iniziativa. Massimo Blonda, noto professionista, è fra i promotori, e traccia una sorta di manifesto politico. Certamente avremo modo di ritornare, spiegare, illustrare e rappresentare questo cammino. In bocca al lupo, viva il lupo

La civiltà umana si trova ormai di fronte all’esigenza di un rapido radicale cambiamento, semplicemente perché possa sopravvivere, prima ancora di porsi l’obbiettivo di garantirsi un’equa e decente qualità di vita.

L’oggettivo stravolgimento climatico sta cambiando profondamente gli equilibri già precari fra la disponibilità, l’uso e l’abitabilità di territorio, la disponibilità di risorse primarie, il loro uso, trasformazione e distribuzione, la convivenza sociale, la sicurezza, la qualità e salubrità ambientali, la disponibilità di servizi primari.

Il tutto è molto aggravato dal progressivo accumulo delle risorse materiali e finanziarie sempre nelle solite mani di pochi individui, più o meno organizzati in entità distinguibili, capaci di condizionare a loro piacimento i destini di miliardi di persone, attraverso l’uso della guerra, del ricatto economico e del condizionamento delle coscienze, di cui ormai dispongono indisturbati. Ciò anche grazie all’instaurarsi, in tutte le nazioni del mondo, di forme di governo totalmente asservite ai loro disegni, spesso legittimamente espresse dalle rispettive cittadinanze che credono a promesse di cambiamento presentate da tutte le formazioni politiche, sistematicamente presto deluse.

Una macchina trita ideali

I meccanismi economico finanziari, e la capacità di condizionamento mediatico su credenze ed emozioni, infatti, rappresentano potenti macchine capaci di triturare e ricondizionare anche le rappresentanze politiche sorte e impegnatesi con le migliori intenzioni; ne deriva un comportamento finale di tutti i governi, a qualsiasi livello fra il locale e il globale, incapace di generare vere svolte positive per l’umanità, quindi destinate a gestire gli interessi «ricchi», al massimo solo a diverse sfumature di impatto su ambiente e società, fra strati sociali e/o aree del pianeta. Ciò nonostante impegni, piani e programmi internazionali, continentali nazionali e locali variamente ambiziosi e avanzati.

Eppure l’umanità dispone di livelli avanzatissimi di scoperte scientifiche e invenzioni tecnologiche; le prime, sempre in evoluzione, non ancora del tutto tradotte in applicazioni; le seconde spalmate su un ampio grado di diffusione applicativa, dalla nicchia sperimentale all’impetuoso impiego di massa, da aree geografiche dove rappresentano ormai la routine a aree che ne hanno viste ancora pochissime. Come tutto il resto, gran parte delle nuove tecnologie si sono sviluppate sotto la pressione e nell’interesse della concentrazione di ricchezza e potere, nonché del condizionamento di massa, diventando ulteriore motore e strumento di tale fenomeno, pur conservando margini di potenziali impieghi di senso opposto.

Altre, invece, per loro natura si presterebbero invece prevalentemente a determinare una oggettiva profonda modifica del sistema socio-economico-ambientale a favore della collettività e del bene comune, e non vengono sostenute, se non spesso occultate o osteggiate dai grandi sistemi.

Una speranza da tecnologie e uomo

Fra le tecnologie certamente utili allo sviluppo di diversi sistemi umani ci sono quelle informatiche e connettive, nonostante siano oggi anche al servizio di processi di controllo di massa e di fenomeni degenerativi. Esse rappresentano lo strumento più utile a un diverso modo di organizzazione delle relazioni, di scambio di conoscenza, di servizi e anche di materiale, a livello locale, nonché alla condivisione e contaminazione generale delle esperienze positive. Cruciali appaiono le tecnologie di generazione, conservazione, distribuzione e consumo di energia da fonti rinnovabili, che rappresentano, anzi, proprio la base del modello innovativo che vorremmo alimentare.

Seguono le tecnologie di produzione di beni materiali e attrezzature in stampa 3D, capaci di consentire il superamento in un colpo dei classici schemi di lavoro salariato e di dipendenza dalla schiavitù dai prodotti da catena di montaggio standard.

Numerose altre tecnologie, più o meno mature, oggi consentono di sviluppare le produzioni alimentari in condizioni di massima resa ecologica e con alto indice di resilienza agli effetti del clima.

Importanti risulteranno tecnologie anche molto antiche, ma implementate da sistemi moderni, per esempio nella gestione di rifiuti e acque, nella mobilità individuale e collettiva, nell’edilizia, nella gestione del territorio e così via.

Ma la principale risorsa su cui poggiare un’ambizione di cambiamento è rappresentata dall’immane patrimonio umano di cui tutto il globo dispone. La sua capacità di unirsi, orientare e mettere a frutto impegno e volontà sono incalcolabili e non conoscono limiti oltre quelli del sostentamento dei singoli individui che lo compongono, specie se liberati da inutili orpelli imposti dai sistemi e modelli consumistici, o da culture di identità individuale e sociale appositamente distorte verso valori egoisti e individualisti.

Questi, e tanti altri elementi, che man mano emergeranno, rappresentano gioco forza la base concettuale del «nuovo che avanzerà». Se dalla grande economia e dai governi, come abbiamo detto prima, non può, per ora, venire alcun miglioramento importante per l’umanità e per noi singoli, né per il nostro pianeta, dove dobbiamo guardare? Da dove si comincia? Dalle buone pratiche «Glocal», appunto. Non c’è alternativa.

Una scelta obbligata

Quante volte l’abbiamo sentito: pensare globalmente, agire localmente? Un’infinità. Quante volte lo abbiamo visto realizzato? O peggio: quante volte lo abbiamo realizzato noi? Ecco, nel percorso di cambiamento si dovrà contare su qualcuno che sia testimone e/o artefice reale di esperienze Glocal. Che racconti per filo e per segno che cosa ha visto e che cosa ha fatto. I problemi che ha risolto e quelli ancora aperti; come se la sta cavando.

Tantissime persone hanno un sentire e pensare molto avanzato, ma non riescono a trovare nessun contesto dove possano esprimerlo, praticarlo e trasformarlo in realtà, per sé stessi o altri. Perché il leaderismo egoico, di nani o giganti, brucia e devasta tutto, consuma e delude energie e speranze, occupa e blinda spazi, annulla le forze. Invece il vero potere di cambiare è sempre stato nelle loro mani, nelle nostre mani, ed oggi lo è ancora di più. Noi votiamo, ma non sembra servire; compriamo beni e servizi, e questo comincia ad incidere; ma siamo ancora soggetti attivi di riflesso.

Non siamo ancora e realmente protagonisti e fruitori di cambiamenti nostri. Possiamo invece iniziare ad esserlo. Lasciamo stare l’epopea del potere della mente, la Pnl, l’autorealizzazione e tutta quella pratica che ci vuole guidare come individui a vincere sugli altri, o a cavarcela lasciando il resto come sta. Nulla di ciò.

Possiamo essere cambiamento come comunità, piccole comunità, e non come lo si era quando i vincoli di comunicazione o di mobilità e territorio non consentivano altro; la piccola comunità come scelta fattibile, a portata della sua capacità organizzativa, ma assolutamente non chiusa e isolata. La comunità a misura del piacere della vita, potremmo chiamarla; in barba alle potenze e sotto il loro naso distratto. Le buone pratiche Glocal non saranno solo offerta di quei contesti che a molti mancano, dove inserirsi e realizzarsi, ma serviranno anche a costruire i contesti a casa propria, a moltiplicarli. La buona pratica è tutto quello che si è realizzato a livello di comunità secondo le regole della sostenibilità vera «glocale», dell’economia realmente circolare, adatto al nuovo clima meteorologico, inclusivo, equo e propulsivo.

Solo per fare alcuni esempi, a cominciare dalle fonti primarie di energia autoprodotte e consumate in comunità energetiche, alle meno ambiziose scelte di risparmio energetico e efficientamento, ai risparmi e riusi di materiali e acque, ai gruppi di acquisto solidali, ai circuiti di banking di cose, competenze e tempo, al ripopolamento di antichi centri e piccoli insediamenti, ai repair-caffè, all’autoproduzione e scambio di cose e prodotti alimentari, al cooperativismo sociale non speculativo, ai circuiti a chilometro 0, alla condivisione di mezzi di trasporto elettrici, alla razionalizzazione della mobilità di gruppo, alla creazione di valuta locale saltando la speculazione finanziaria, al crowdfunding, all’utilizzazione di terreni abbandonati e marginali, fino ad arrivare alle ambiziosissime esperienze di Terza rivoluzione industriale, ai piani locali di adattamento ai cambiamenti climatici e ai masterplan di sviluppo sostenibile. E sono solo alcune.

E poi tutto quello che tanti fanno da soli, in casa o fuori, e che sa di sano e spesso geniale: dal sapone con l’olio di frittura, al compost sul balcone, dall’antiafidi con olio e sapone, al pomello del cassetto fatto con la stampantina 3D, e perché no, a tutte le ricette con gli avanzi. Ancora, quello che fanno i veri imprenditori. Sì, perché chi produce solo per speculare e arricchirsi, emettendo inquinanti o la stessa CO2, che genera rifiuti di cui si disinteressa, che non pensa che la sua missione sia lavorare per il genere umano e basta, che consuma risorse non rinnovabili, non meriterebbe nemmeno quel titolo. E invece ce ne sono di quelli che fanno del loro sentirsi a posto col mondo il loro primario guadagno, rischiando in imprese che nessun solone economista sosterrebbe mai. Da chi produce solo con materiali che per altri sono rifiuto, a chi ormai consuma solo energia rinnovabile che si autoproduce, da chi ha bandito tutte le combustioni, a chi ogni giorno studia come sostituire un composto chimico pericoloso con uno naturale, e tanto altro. Infine chi gestisce siti, pagine, blog e comunicazione al solo scopo di diffondere la cultura della sostenibilità, della pace e della tolleranza, chi ci mette l’etica della buona vita per tutti.

Il buon esempio insegna

Tutte le buone pratiche interessano, sono il materiale del cambiamento e lo scopo. Ma devono essere veramente buone pratiche a tutto tondo, non solo in parte. E poi devono essere state già realizzate, non solo buone idee. Realizzate, in corso di realizzazione e riproducibili. Disseminabili, come germi attivi di una nuova epidemia positiva. Un preparato di «effective things», di realizzazioni efficaci, per rendere l’idea mutuando dalla prebiotica. Insomma il cambiamento orizzontale, e senza soldi.

Non dall’alto: non ce ne sono le condizioni, e chi ci prova sbatte contro il muro del potere e delle pance. Neanche dal basso che conosciamo: troppa pancia pilotata e troppa voglia di orticelli dell’ego. Direzione orizzontale, appunto. Certamente non un nuovo partito, né un movimento, o un’altra associazione bramosa di tessere e consensi; non un club, un salotto o un cenacolo; non un comitato. Non una vetrina né una semplice libreria. Niente a che vedere con una comune, dalle ferree regole di vita, né con una nuova forma di sodalizio esclusivo.

Forse serve qualche cosa che sia al tempo stesso molto meno e molto più di tutto questo. Proviamo a chiamare questa cosa come «la banca del seme delle buone pratiche»? Sembra suonare bene! Sarebbe uno spazio d’incontro, un momento di consapevolezza, un sentiero da percorrere insieme. Ma anche un marchio, una guida e una banca del bene comune, dove condividere, versare e prelevare le buone pratiche. Per guardare alle esperienze cenerentola veramente sostenibili, farle conoscere e disseminarle. Oltre l’etica dei soldi, per una banca delle realtà migliori, delle competenze e del tempo, a cui accedere versando esperienza concreta e ricevendone in cambio; a cui chiedere altrettanto per realizzare piccoli sogni di cambiamento.

Oltre le vetrine, anche del meglio che esiste, per un vero laboratorio-cantiere di costruzione di nuovi modelli, anche di vita. È certamente un vuoto da tornare ad abitare passo dopo passo, per iniziativa di chi non ce la fa più a reggere il ritmo di vita che conduce, a vedere sempre spente le sue speranze di cambiamento; di chi cerca qualcuno con cui condividere nuovi progetti di vita esistenti, di chi sente di dover fare qualcosa per questo pianeta, ma anche per i suoi figli; di chi non ha il coraggio o non sa come provare; di chi ci ha provato e ha fallito il primo colpo; di chi ci sta provando veramente ma gli manca «un tanto così»; di chi ha quel «tanto così», e magari non lo sa ancora.

Ma è soprattutto la realizzazione di chi ci è già riuscito e sente di poter aiutare altri a farcela con lo strumento della sua esperienza, ma anche della sua competenza in materia.

È l’expertise di chi ha dato anima ad una speranza e la irradia ad altri. Un sistema in cui, una volta attuata un’azione, questa mette in moto altre esperienze e competenze, e l’effetto è micidiale per il sistema che vogliamo cambiare. Ma sempre con i fatti di chi li ha fatti, non con le chiacchiere di chi fa solo promesse. A questo stiamo lavorando, con chi lo vuole veramente, e oggi, 28 giugno 2019, SI INIZIA SUL SERIO!

 

Massimo Blonda, Fondazione di partecipazione delle buone pratiche