Covid-19, è vera pandemia?

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Prove generali di un governo mondiale?

L’intervista ad dott. Samuele Ceruti

I dati dimostrano che la mortalità è bassa, la terapia intensiva è in crisi per altra ragione indipendente dalla malattia e la gestione della crisi può generare più danni di quanti se ne prefiggono di rimediare. Evitare la medicocrazia, no alla paura generalizzata

Tutte le conseguenze della comparsa del Coronavirus, dalle origini alla diffusione, dai danni sanitari a quelli economici, sono ancora nel limbo della ricerca ma, se potessi sognare, mi piacerebbe poterne parlare mettendo a tacere panico, propaganda politica e disinformazione. Avanzare sospetti o ipotesi non è fare disinformazione ma cercare di capire.

Se poi i dubbi e le ipotesi vengono da persona competente e accreditata, tutta la scena cambia totalmente aspetto.

Gli stimoli vengono da una intervista di più di un’ora di Matteo D’Amico al dott. Samuele Ceruti, Medico Ospedaliero presso il reparto di terapia intensiva di una clinica di Lugano, in Svizzera, e specialista in Medicina Intensiva, in Medicina Interna e in Medicina d’Urgenza.

A detta dei sanitari questo virus non presenta una particolarità diversa dal virus dell’influenza (tranne la rapidità del contagio), ma si inserisce in una situazione italiana aggravata dallo smantellamento della ricettività sanitaria.

Una comunicazione confusa

Ma entriamo nella confusione creata o conseguente, iniziando a capire come potrebbe nascere il panico. Innanzitutto dalla terminologia. Perché «la necessità di parlare un linguaggio univoco è fondamentale, al fine di evitare incomprensioni o peggio manipolazioni».

DefinizioniInfetto non vuol dire essere malato. «Io potrei dire che il 98% delle persone sono infette con il virus della rosolia, il virus dell’herpes, fra la popolazione adulta è fra il 90-95% ma questo non si traduce in malattia», dice il dott. Ceruti. E questa è una prima mal comprensione di quello che viene detto che può essere voluto o accidentale ma che certamente genera panico.

Altro motivo di confusione è la comunicazione con cui si riferisce delle persone decedute. E analizzando i dati si vede che le persone che muoiono solo per il Covid-19 sono nell’ordine del 2%. Per cui la comunicazione andrebbe corretta non in morti «per il Coronavirus» ma morti «con il Coronavirus» perché si tratta di persone che avevano altre patologie. E, precisa il dott. Ceruti, che i numeri che vengono diffusi non sono dati autoptici ma epidemiologici.

Per questo occorre fare attenzione alle cifre, che devono essere lette dagli esperti. Il metodo di lettura è fondamentale. Poiché con la statistica è possibile dimostrare tutto e il contrario di tutto. Più è basso il numero di tamponi effettuato (minore è la psicosi generale) e relativamente si abbassa il rapporto di letalità del virus.

Ed è sulla necessità di terapia intensiva che emergono le carenze tutte italiane. Tenendo presente che ogni anno muoiono per influenza 8-10mila persone. Il sistema italiano porta la media globale di 3 letti per 1000 abitanti, la Germania 8 letti, la Svizzera sui 6 letti e mezzo.

Quindi alla situazione «normale» si è aggiunta questa ondata epidemica in un sistema di sanità già precario.

Ma come mai pare che ci sia una maggiore incidenza sulla popolazione maschile? chiede Matteo D’Amico.

«In effetti è un dato molto interessante, a Whuan i dati ci dicono che i maschi sono il 60-65% del totale, in Italia si arriva quasi all’80%. Ad oggi i dati scientifici non spiegano, è possibile che il virus è sempre lo stesso ma è l’ospite che è diverso: la risposta infiammatoria al virus è differente in relazione al sesso. Il rilascio di una sostanza chiamata interferone è maggiore negli uomini (dato relativo all’influenza) rispetto alle donne, quindi non sarebbe il virus in sé ma il contrasto ad esso che differisce tra uomini e donne, tra over cinquanta e ragazzi-bambini. Secondo questa tesi è la risposta immunitaria la responsabile del danno. Questa al momento è soltanto una ipotesi suggestiva, che però ricalca la diffusione della malattia in quelle fasce di popolazione globale più colpite».

distribuzione dei sintomaticiI vaccini

Molti sforzi si stanno facendo nel mondo per arrivare ad un vaccino. Ma che senso ha un vaccino visto che si sottolinea la mutabilità del Coronavirus, già diverso pare tra Cina e Italia?

«Il vaccino per l’influenza viene fatto ogni anno, poiché il virus cambia. I vaccini è vero che riducono l’intensità della malattia, cioè se io mi infetto e sviluppo malattia ho una risposta clinica decisamente minore. E quindi può aver senso in quelle categorie di persone più anziane e malate a livello respiratorio, per cui se sono un soggetto a rischio una qualsiasi malattia mi può portare più facilmente alla morte. E un po’ troppo spinto dire dobbiamo vaccinarci tutti, in questo caso si parla di immunità di gregge che non ha senso. Spingere su questo è un po’ sospetto. Per quanto riguarda il Coronavirus è un po’ incoerente pensare ad un vaccino così mutabile. Diventa plausibile se viene generata la paura della peste o dello sterminio di massa».

Big Pharma

A questo punto si fa strada il timore che dietro questo allarme ci sia Big Pharma e quindi l’idea di vaccinarsi anche per cose che non lo necessiterebbero. La seconda cosa è un’idea di non casuale allarmismo al fine di un governo mondialista capace di misure coattive nei confronti di singoli Paesi non allineati. Le pare una visione pessimista? Viene chiesto al dott. Ceruti.

«Il timore che dietro questo allarme ci sia Big Pharma e quindi l’idea di vaccinarsi anche per cose non lo necessiterebbero. La seconda cosa è un’idea di non casuale allarmismo al fine di un governo mondialista capace di misure coattive nei confronti di singoli Paesi non allineati. Le pare una visione pessimista?

«Io credo che sia verosimile, e il discorso che stiamo impostando non è su io penso lei pensa ma si basa su dati. Negli ultimi vent’anni l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato ben quattro volte una pandemia, con una modifica avvenuta in corso del concetto stesso di pandemia, che stacca la diffusione territoriale della malattia dal numero delle persone malate. Per cui se il virus del morbillo è diffuso in tutto il mondo, si parla di pandemia senza guardare quanti morti si contano causati dal morbillo. La definizione di pandemia è stata cambiata e questo uno dei principi che causa confusione ed è vero anche che sono stati riscontrati conflitti di interessi tra gli esperti che dichiarano la pandemia e la vendita di vaccini, poiché alcuni all’interno dell’Oms hanno interessi enormi nella vendita dei vaccini. Al momento della dichiarazione di pandemia di tipo VI gli Stati acquistano in massa un certo numero di vaccini che non vengono mediamente utilizzati. Quindi lo Stato spende migliaia di euro senza avere un ritorno. L’unico che ci guadagna in tutto questo è Big Pharma e sicuramente ci guadagna questo controllo almeno psicologico e anche fisico sulle persone. Intendo dire le persone sono tutte in buona fede, però a grandi livelli la percezione è differente, come nel caso del virologo Giulio Tarro e della chiamata in causa dell’Oms presso il Consiglio d’Europa per rispondere delle ultime quattro dichiarazioni di pandemia ingiustificate, oltre che dal conclamato conflitto di interessi in seno all’Oms. I dati hanno dimostrato che per esempio in Polonia, che non comprò il vaccino per combattere l’influenza suina, il numero dei casi fu in linea con gli altri Paesi che invece si erano dotati del vaccino. Quindi diventa anche ingiustificabile il vaccino. Il caso di cui discutiamo oggi è dunque un problema interno al sistema sanitario dei Paesi: interroghiamoci come mai non ci sono sufficienti posti di terapia intensiva, piuttosto che allarmarsi per una mortalità bassa».

Il governo mondiale

Il conflitto di interessi a tutti i livelli tra Big Pharma, sistema bancario e sistema mediatico è davanti agli occhi di tutti. L’intervistatore puntualizza come noi spesso intendiamo separati l’informazione, le banche e Big Pharma, quando di fatto quattro grossi gruppi finanziari controllano le 200 banche più importanti del mondo che controllano sia Big Pharma sia la stampa e i media a livello internazionale, quindi siamo di fronte a poteri forti finanziari. Quindi il rischio è che il futuro ci potrebbe riservare un’evoluzione dolce, suadente e seduttiva di un totalitarismo sanitario bio-politico. In Cina hanno fatto ricorso all’Intelligenza Artificiale, a 700 milioni di telecamere, al software di riconoscimento facciale per controllare la popolazione anche durante l’«epidemia», le reti 5G potrebbero concorrere a questo aumento di controllo e si va verso una riduzione crescente delle libertà personali.

Ed ancora, chiede Matteo D’Amico, la vulnerabilità psicologica dei popoli occidentali secolarizzati vede emergere un uomo incredibilmente fragile emotivamente vulnerabile che ha un atteggiamento pagano rispetto al suo essere in vita. C’è un degrado spirituale.

«Despiritualizzazione dell’Occidente. Perdita conseguente delle libertà profonde. Il pericolo della morte qualche secolo fa non avrebbe ingenerato il panico, a differenza dell’attuale senso delle cose: divertimento tout-court, senza trovare il modo di pensare all’ineluttabilità della morte è chiaro che una paura reale o solo paventata può condurre a fare cose che normalmente non farei. Mentre per chi ha un orizzonte di fede più ampio, la situazione per quanto degna di attenzione non genera panico, che invece è il segno rivelatore di chi non ha una fede alla quale riferirsi. Il panico genera anche violenza, come dimostrato da una situazione capitata in Ucraina con un spostamento di cittadini cinesi in un luogo di contenimento dell’infezione che sono stati attaccati con pietre contro l’autobus che li trasportava e come è anche avvenuto in altri episodi altrove».

Concludendo ed in estrema sintesi, i dati dunque dimostrano che la mortalità è bassa, la terapia intensiva è in crisi per altra ragione indipendente dalla malattia e che la gestione della crisi può generare più danni di quanti se ne prefiggono di rimediare. Evitare la medicocrazia, no alla paura generalizzata.

 

Ignazio Lippolis