Rifondare la relazione ma attenti alle… ipoteche

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La reciprocità è strumento imprescindibile per agevolare l’uscita dall’autismo. La reciprocità è il sistema innovativo per trasformare le convivenze in comunità, le vicinanze in rapporti, le esposizioni in reti capaci di intercettare bisogni, attese, soddisfazioni e trasformare i contrasti in varietà di valori in pace

Il 6 marzo scorso proponevo un decalogo di indicazioni utili per impostare i comportamenti rinnovati, a seguito degli isolamenti imposti dal Coronavirus. Continuiamo a riflettere sugli itinerari per arricchire di valori la relazione. Speriamo che «a cose fatte», dopo la tempesta in corso, la ripresa possa tendere verso la certezza del senso.

L’evoluzione tecnologica ci espone a usi incondizionati degli strumenti e spesso il mezzo da strumento si fa contenuto variando la sua costituzione: si modificano i rapporti e si radica nell’utente il senso dell’onnipotenza.

Il decalogo proposto il 6 marzo in sintesi proponeva dei processi interattivi finalizzati a produrre la relazione; li ripercorriamo ora per ragionare su rapporti educati che alimentino il conseguimento del senso:

  1. Rispetto dell’essere altrui per come è e sarà. La singolarità della persona è il condensato di natura, originalità, desideri, conquiste, affetti e speranze. Si tratta di esistenze in tensione con ritmi individuali, sollecitate da conquiste e anche sconfitte, in ambiti soggettivi familiari e sociali il cui risultato è l’essere aperto ad ogni contatto. Se così stanno le cose non si può sostituire l’esistenza altrui con le proprie impressioni o con gli atteggiamenti e ancor meno tracciare giudizi. Ciò provocherebbe il pregiudizio che è unilaterale, acritico, ingannevole e sicuramente ignorante, non conoscente il valore-persona, che è invece il risultato di itinerari processuali in cui si condensano i connotati dell’individuo ricco anche delle tensioni di quanti si sono coinvolti nel suo agire e nel suo sperare. Inoltre l’individuo con cui si entra in relazione è già proiettato verso un non-ancora che sfugge allo stesso soggetto, immaginarsi a chi dall’esterno non può entrare nel mondo dell’interiorità. Ebbene, verso questo essere-che-sarà ogni intervento improvvido provoca turbamento. Per questo è indispensabile che attraverso il dialogo e l’attento esame delle tensioni manifestate l’educatore/formatore individui i mezzi e le iniziative capaci di facilitare il processo evolutivo, aiutare il superamento degli ostacoli, corroborare le debolezze emergenti connaturate o indotte dall’ambiente di riferimento. Il lavoro è tanto.
  2. Impiego equilibrato e proporzionato dei canali comunicativi. La comunicazione è l’anima del rapporto. Il suo tenore la condiziona ora positivamente favorendola ora negativamente impedendola. La regola da seguire sta proprio nei due termini: equilibrio e proporzione. Mentre il primo è ad appannaggio del mittente per cui è il risultato di un modello assunto come stile di rapporto il secondo è dettato unicamente dalla condizione personale mentale e psicologica del destinatario. La formazione e l’educazione non possono prescindere da queste due condizioni. Nel momento in cui l’adulto responsabile è chiamato a esprimere il giudizio di quantità e qualità degli obiettivi raggiunti dai soggetti affidati dovrà chiedersi con esame di autocritica quali siano stati i criteri della sua comunicazione. La valutazione infatti non si risolve in senso unico ma ingloba l’esame critico del sistema, dei contenuti e del veicolo comunicativo impiegati. La proporzione si stabilisce sia sull’emissione dei contenuti sia sulla capacità di accoglimento che i soggetti in formazione offrono.
  3. Uso delle parole generatrici di promozione. Conseguenza vitale di quanto detto, prodotta dall’attenzione e dall’equilibrio, è l’atteggiamento dell’educatore ispirato dalla positività. Qual è il fulcro su cui si fa leva? Che cosa i soggetti sanno, sono, possono, posseggono? Questo è lo zoccolo duro che permette la crescita e la novità. Confidare con fiducia nella disposizione positiva significa rigenerare la sinergia tra formatore e soggetto affidato e sollecitare in questo la forza per procedere verso ulteriore significativo traguardo. Infatti non è l’esortazione né il rimprovero né la punizione che suscitano spinte positive quanto il riconoscimento e la gratificazione di successi anche parziali che inondano di benessere la nuova iniziativa. Da questa prospettiva l’individuazione dei limiti e degli errori è recuperata dalla positività. Siamo convinti che anche il più ostinato dei bulli possegga un substrato di positività: la ricerca fatta con lui di questo quarto di luna consentirà una migliore possibilità di vedere la strada da intraprendere per scoprire il lato nascosto del pianeta della notte. L’impiego del Circle-talk in situazioni scolastiche o in altre circostanze di incontri di gruppo risulta un metodo efficace di ascolto in cui la sinergia facilitata e promossa tra i partecipanti offre occasioni di accoglimento delle persone da parte anche di coloro che si sono manifestati oppositori verso i compagni. La dinamica di gruppo guidata da un esperto è un sistema dialogico positivo: non si tratta di un metodo ma dell’applicazione dell’interattività i cui le forze in gioco non si sommano, ma si moltiplicano, secondo l’intuizione straordinaria di Platone che ha spiegato la dinamica come «moltiplicazione».
  4. Impedire l’impiego della supremazia per raggiungere il potere. L’impiego del gioco come mezzo educativo, ha un ruolo determinante, purché si osservino alcune regole che facilitino il processo finalizzato di formazione. Spesso il trattenimento in giochi di gruppo prevede la fase escludente del perdente a cui si applica una forma di «pegno». Questo sistema va corretto: il gioco deve essere sempre includente, per evitare che il divertimento si trasformi in successo e supremazia. Le prestazioni con il canone della vittoria frustrano i partecipanti perdenti, fomentano il disappunto, suggeriscono forme di «falli» adoperati come azione scoraggiante impediente (vedi nel calcio). I tornei non risultano migliori mezzi educativi, per le ragioni dette. A parte l’esempio del gioco, l’educazione alla parità pur nella diversità è frutto di processi di analisi e giudizio della realtà sociale da cui è sempre positivo far emergere il valore della cura verso i propri simili e verso le cose, antitetica all’esclusione, alla prestanza, al potere. L’esempio del gioco aiuta a immaginare e progettare le forme adeguate nella varietà delle iniziative da intraprendere per educare alla pari dignità quanto al colore, al sesso, alla cultura, alla religione, al ceto sociale. Includere, infatti, è frutto del convincimento sulla varietà positiva delle diversità. Questo è l’osso duro dell’educazione civica che nutre di senso gli annunzi sulla società democratica. La norma anche costituzionale non basta a determinare il passaggio dalla supremazia all’accoglienza e all’integrazione.
  5. Relazionarsi in funzione individuale e sociale. Le due tendenze, quella individuale e l’altra sociale, sono tra di loro interdipendenti. La disposizione alla socialità si radica dentro la percezione del rapporto. Va superato il criterio delle buone maniere, regolate dai principi del galateo: è dentro di noi che si alimenta il valore del rapporto come dimensione equanime che dispone alla percezione degli altri come portatori di valori. La dimensione educativa si basa sull’aiuto a impiegare lenti di lettura dei valori altrui che spesso sono annebbiate dal proprio criterio di giudizio o da pregiudizio. Inoltre il condividere spazi, azioni, ricerche e progetti sono realizzazioni e banco di prova di microcosmi sociali. Ripercorrere insieme tutti gli stadi che hanno condotto al vissuto partecipato induce a prendere coscienza della validità e opportunità del vivere-insieme-democratico.
  6. Formazione della persona all’«essere-con». Quanto sopra esposto spiega l’ampiezza del valore con, nella sua accezione secondo l’antico termine greco «sun». Non è la somma che costituisce l’insieme ma la «sinergia» che spiega l’interattività, lo scambio fecondo, la pluralità dello stare «insieme» non come collocazione ma come interfunzionalità. Siamo nel campo dei risultati ottenuti attraverso l’impiego dei vari coefficienti sopra illustrati. L’informazione dei dati non basta è necessario mettere i soggetti affidati nella situazione del realizzarli e far provare la bellezza delle conquiste a cui si aspira.
  7. Scoperta del senso, pienezza della realizzazione del sé. La strada per la conquista del senso è più agevole quando usciamo dai blocchi e dallo smarrimento. È un itinerario inverso a quello del decadimento, perché è nel rialzarsi che si affronta il bisogno, originato dalle molteplici perdite, e si rivalutano gli appoggi per facilitare la ripresa e il rilancio della positività. Cogliere il senso è contiguo alla percezione del proprio valore; questo stesso connesso con la finalità dell’essere e del vivere. Si tratta di rispondere alla grande domanda del «chi sono, che cosa sono e perché cosa sono»: dall’essere alla sua finalità, quello che si direbbe il senso della vita. Nei rapporti individuali, in una classe, generalmente sfugge questo complesso interrogativo, dimenticando che tra pagine e pagine dei programmi disciplinari, si svolge il nastro dell’esistenza con tutti i suoi dubbi e le sue speranze. Se, in sosta con i programmi, potessimo parlare dell’esistenza! Un giorno, tra due ragazzini, sulla soglia di casa si svolgeva un dialogo sommesso; uno dei due chiede all’altro: «che cos’è che ti ha cambiato la vita?». La domanda sicuramente faceva seguito a una comunicazione precedente. Comunque si trattava di giudizio sull’esistenza, appunto, del senso.
    Educare al senso non vuole dire avere rivelazioni sul privato ma disporsi a cercare la destinazione dei valori personali. Solo su questo itinerario si può riaccostare l’esistere al modello perfettivo.
  8. Disposizione al «dono», dinamica esistenziale di comunità. Dalla percezione del valore posseduto e della sua perfettibilità scaturisce la dimensione del donare. Se l’altro con cui si ha confronto è percepito come portatore di altrettanti valori sorge spontaneamente la disponibilità a concorrere al suo benessere. Non perché ne possa derivare utilità ma perché la relazione induce a rendere reciproco il godimento di risposte alle necessità insorgenti. In questa prospettiva il dono non viene concepito come ricchezza personale, dote, bensì come apertura e consegna di beni finalizzati alla migliore realizzazione del sé-con-gli-altri-sé.
  9. Realizzare la pace collaborativa. Dall’equilibrio tra le persone deriva la fondazione della pace sociale. Partecipare, intervenire, difendere, promuovere, donare sono le cinque dita di una mano aperta che cerca quella dell’altro per la costituzione della catena inglobante. La collaborazione è il lavoro vissuto insieme, cum+labor , la fatica condivisa, la spartizione dei beni, la ricerca di una corsa senza vinti, il traguardo pacifico stimato e raggiunto nel nome e nella condizione della comunanza.
  10. Relazionarsi in reciprocità. Tutti gli aspetti indicati descrivono l’articolazione della comunicazione, strumento qualificato per il raggiungimento della «reciprocità». In questo tempo della comunicazione efficiente, della diffusione dei social che annullano le distanze operando l’unificazione globale della narrazione corre di pari passo la solitudine estesa e complessa contro la quale non basta la presenza virtuale se la richiesta di aiuto contro le violenze rimane voce inascoltata. Alla reciprocità ci si educa. Qual è il suo modello? Non si discosta da quello dell’amicizia. L’etimologia del termine «reciproco» descrive: recus = che sta indietro + procus = che sta avanti; quindi che «va e viene», scambio di posizione, rapporto tra grandezze reciproche. Perché l’accostamento con l’amicizia? Aristotele nell’Etica a Nicomaco (IX, 1170,b) la indica come «riconoscimento dell’essere dell’altro», raggiunto «nella comunanza di idee e di discorsi». Il Filosofo indica i due pilastri del rapporto amicale «idee, discorsi». Il loro utilizzo ingloba i fattori del pensiero e del dialogo. Ecco la comunicazione che non è solo il parlare ma l’interloquire, l’ascoltare come accoglimento del messaggio e condivisione delle idee nutrite e coltivate. Insomma tutto quello che è contro il silenzio della sordità. C’è l’altro silenzio, quello della cura delle idee e dell’ascolto in cui la mia voce cessa perché si fa viva quella di colui che mi parla. L’articolazione di questo viaggio, come etimologicamente lo indicavamo, è la cura educativa della relazione che realizza la sua pienezza nella reciprocità.

La reciprocità è strumento imprescindibile per agevolare l’uscita dall’autismo. La reciprocità è il sistema innovativo per trasformare le convivenze in comunità, le vicinanze in rapporti, le esposizioni in reti capaci di intercettare bisogni, attese, soddisfazioni e trasformare i contrasti in varietà di valori in pace.

Uscire dal Coronavirus avendo scoperto il valore e il senso dello stare insieme supera di molto la concezione della compagnia: anche nell’esercito il piccolo raggruppamento agli ordini di un caporale si chiama «compagnia». Aristotele ci avverte che quell’insieme non è amicizia, non è apprezzamento dell’essere. Suonare dai balconi delle nostre città per lanciare un nuovo modo di relazionarsi!

Come quando al canto dei Beatles dall’alto del palazzo al n. 3 di Savile Row a Londra la grande folla adunatasi fu dispersa della polizia provocando un grande silenzio ora per noi, all’armonia di tanti suoni diffusi dai balconi delle nostre città bloccato il virus, potrebbe subentrare il delirio di un ordine strutturale famelico di produzione ma privo di reciprocità.

In questo stesso tempo, in cui fioriscono esperienze spontanee di soccorso, per riconoscenza verso coloro che lottano per risanare gli infetti e verso chi cura l’ordine, assistiamo ad apparizioni sui media per ostentare la preghiera verso i defunti! Non ci vuole molto per capire che si affilano le lame oggi per sferrare attacchi politici nel prossimo futuro quando si sciorineranno le falle e lancerà l’opa sul parlamento e sull’elettorato suscettibile. Qui la reciprocità risulta: Cicero pro domo sua! Per questo tipo di «virus» non ci sarà vaccino!

 

Francesco Sofia, Pedagogista, Socio onorario dell’Associazione nazionale dei pedagogisti italiani