«L’Urlo» di Munch soffre di umidità

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È l’umidità, non la luce, il principale fattore di degrado dei pigmenti gialli di cadmio impiegati dal pittore nel suo celebre quadro. La scoperta è frutto di un’indagine condotta da un team internazionale coordinato dal Consiglio nazionale delle ricerche. Grazie all’utilizzo di metodologie spettroscopiche non-invasive del Cnr Molab, e micro-analisi presso l’Esfr di Grenoble, si è giunti ad un risultato che suggerisce le condizioni ambientali ottimali per esporre l’opera, finora raramente fruibile a causa delle sue delicate condizioni

«L’Urlo», capolavoro, di Edward Munch realizzato nel 1910, principale attrazione dell’omonimo museo di Oslo, potrà presto tornare ad essere godibile dal pubblico, grazie ad uno studio scientifico che ne ha rivelato la causa principale di deperimento: l’umidità. La ricerca fornisce ai conservatori le indicazioni per esibire permanentemente il dipinto in condizioni di sicurezza: l’esposizione a livelli di umidità relativa percentuale non superiori a circa il 45% e mantenimento dell’illuminazione ai valori standard previsti per i materiali pittorici stabili alla luce, come il giallo di cadmio utilizzato nella tavolozza.

Il risultato si deve ad un team internazionale guidato dal Consiglio nazionale delle ricerche.

Dal 2006 il capolavoro è stato raramente esibito a causa del fragile stato di conservazione, dovuto non solo a cause ambientali, ma anche alla natura stessa dei pigmenti utilizzati e in conseguenza dei danni subiti dopo il furto avvenuto nel 2004 che lo ha sottratto al Museo per due anni.

Per ottenere il risultato «diagnostico», sono state utilizzate presso il Munch Museum di Oslo, le strumentazioni portatili, basate su metodi non-invasivi di spettroscopia, della piattaforma europea Molab (finanziata dalla Commissione europea nel contesto del progetto Iperion-Ch), un laboratorio mobile coordinato da Costanza Miliani, direttrice dell’Istituto di scienze del patrimonio culturale (Ispc) del Cnr; successivamente, presso l’infrastruttura europea Esrf (European synchrotron radiation facility, Grenoble, Francia) sono stati effettuati esperimenti con sorgenti ai raggi X su micro-frammenti prelevati dall’opera. Lo studio è stato pubblicato in «Science Advances».

Munch ha realizzato varie versioni di questa opera, tra cui i dipinti datati 1893 e 1910, sperimentando nuove combinazioni di colori. «L’artista – spiega Letizia Monico ricercatrice presso Istituto di scienze e tecnologie chimiche “Giulio Natta” del Cnr di Perugia – ha miscelato diversi leganti, quali tempera, olio e pastello con pigmenti sintetici dalle tonalità vibranti e brillanti per creare colori di forte impatto. Sfortunatamente, l’ampio utilizzo di questi nuovi materiali rappresenta una sfida per la conservazione a lungo termine delle opere d’arte del pittore norvegese».

Ma come si presenta la superficie del dipinto sotto la lente scientifica? «La versione del 1910 mostra evidenti segni di degrado in diverse aree dipinte con gialli di cadmio, una famiglia di pigmenti costituiti da solfuro di cadmio – spiega la ricercatrice -. L’originale colore giallo brillante di alcune nuvole del cielo e del collo del soggetto centrale, appare oggi sbiadito. Nella zona del lago, le dense ed opache pennellate di giallo di cadmio mostrano invece tendenza a sfaldarsi».

Le micro-analisi effettuate al sincrotrone hanno permesso di individuare che l’umidità è una delle cause principali di degrado dei pigmenti gialli di cadmio del dipinto. Infatti diversamente da quanto si pensava, la luce ha un impatto irrilevante sul deperimento di tali pigmenti rivelatisi più stabili alla fonte luminosa di quanto non siano i gialli di van Gogh nella serie dei Girasoli, ampiamente analizzati dallo stesso team Molab-Cnr.

«Lo studio del dipinto è stato integrato con indagini sui provini pittorici di laboratorio invecchiati artificialmente, preparati utilizzando una polvere storica ed un tubetto ad olio di giallo di cadmio appartenuto a Munch, aventi composizione chimica simile al pigmento giallo del lago del dipinto. Lo studio mostra che il solfuro di cadmio originale si trasforma in solfato di cadmio in presenza di composti contenenti cloro ed in condizioni di elevata umidità relativa percentuale; ciò accade anche in assenza di luce», aggiunge Letizia Monico.

La novità dello studio consiste anche nella integrazione di differenti tecniche d’indagine con un approccio che potrà essere utilizzato con successo per esaminare altre opere d’arte che soffrono di simili problemi. Infatti, «esistono differenti formulazioni dei pigmenti gialli a base di solfuro di cadmio. Esse non sono presenti solo nelle opere d’arte di Munch ma anche in quelle di altri famosi artisti a lui contemporanei, come Henri Matisse, Vincent van Gogh e James Ensor», continua Costanza Miliani direttrice del Cnr – Ispc.

Numerose le istituzioni coinvolte nella ricerca: l’Università degli Studi di Perugia (Italia), l’Università di Anversa (Belgio), il Bard Graduate Center di New York (USA), il sincrotrone tedesco DESY (Amburgo) ed il Munch Museum (Oslo).

 

(Fonte Cnr)