Transizione, una via piena di trappole

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I guai economici in cui ci troviamo dipendono dall’impostazione dei sistemi di produzione e consumo attualmente esistenti. Dobbiamo, pertanto, transitare dagli attuali sistemi di produzione e consumo ad altri sistemi che, per far crescere il capitale economico, non distruggano il capitale naturale, sociale e umano

Tra le questioni aperte dopo la formazione del governo Draghi, quella sul ministero della Transizione ecologica appare particolarmente rilevante, non fosse altro perché parte dei fondi del Recovery and Resilience Facility e della sua traduzione nel nostrano Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) verranno gestiti attraverso questo dicastero.
Istituire il ministero della Transizione ecologica è una buona idea. Ma occorre fare chiarezza sul concetto stesso di transizione ecologica, chiarire struttura e competenze del nuovo dicastero.
La transizione ecologica prevede fortissimi investimenti di riqualificazione del territorio e di innovazione tecnologica che ci permettano di produrre e consumare senza devastare il capitale naturale.
I guai economici in cui ci troviamo dipendono dall’impostazione dei sistemi di produzione e consumo attualmente esistenti. Dobbiamo, pertanto, transitare dagli attuali sistemi di produzione e consumo ad altri sistemi che, per far crescere il capitale economico, non distruggano il capitale naturale, sociale e umano.
Ci stanno dando i soldi per farlo: il new green deal ha questo obiettivo!
Quello di una transizione ecologica è da tempo un concetto centrale per i movimenti ambientalisti: comporta la trasformazione del sistema produttivo verso un modello più sostenibile, che renda meno dannosi per l’ambiente la produzione di energia, la produzione industriale e, in generale, lo stile di vita delle persone.
Oggi esiste già un dipartimento per la Transizione ecologica e gli investimenti verdi: fa parte del ministero per l’Ambiente. Il dipartimento cura le competenze del ministero in materia di economia circolare, contrasto ai cambiamenti climatici, efficientamento energetico, miglioramento della qualità dell’aria e sviluppo sostenibile, cooperazione internazionale ambientale, valutazione e autorizzazione ambientale e di risanamento ambientale.
Un ministero per la Transizione ecologica è segno della volontà di portare avanti un vero e proprio programma ambientale e climatico di governo.
Le risorse del Recovery and Resilience Facility sono tante e devono essere spese tutte e bene con i progetti giusti: con eolico e fotovoltaico, con impianti per l’economia circolare. Da qui la necessità di snellire la burocrazia, rafforzare i controlli ambientali e professionalizzare la pubblica amministrazione.
Un ministero della Transizione ecologica esiste già in Francia e in Spagna. In Francia si chiama ministero della Transizione ecologica e solidale, a indicare che un nuovo modello di sviluppo non può (o non dovrebbe) prescindere dalla giustizia sociale: si occupa di politiche di protezione ambientale, ma anche di trasporti, energia, politiche abitative e di difesa della biodiversità e gestisce quasi 50 miliardi di euro all’anno. Il ministero spagnolo ha due principali obiettivi: una legge sui cambiamenti climatici e la creazione di un piano energetico. In Svizzera, il ministero riunisce in sé le competenze in materia di ambiente, trasporti, energia e comunicazioni.
In Italia il ministero della Transizione ecologica dovrà lavorare su questi due punti a livello nazionale e internazionale: aumento dell’efficienza energetica e decarbonizzazione dell’offerta di energia. E forse non è un caso che sia stato chiamato a guidarlo uno scienziato esperto di nuove tecnologie. Gli incrementi di efficienza energetica si ottengono dapprima a livello prototipale, e successivamente alla condizione definitiva con l’adozione di nuove tecnologie a tutti i livelli: di singolo impianto industriale e negli usi finali.
La decarbonizzazione è figlia del cambiamento di mix dell’offerta/domanda di energia. Più gas naturale e meno carbone nell’ambito dei fossili; più rinnovabili e meno fossili in generale.
Correnti minoritarie di pensiero sostengono che il risultato della riduzione della CO2 andrebbe realizzato soprattutto mediante una ridotta crescita economica (la decrescita felice) e un maggior controllo delle dinamiche di crescita della popolazione (nei Paesi in via di sviluppo, perché alle nostre latitudini il problema è casomai opposto).
La transizione ecologica implica anche una transizione energetica, la cui definizione è meno sfuggente della prima. La prima rivoluzione industriale inglese è stata essenzialmente una transizione energetica. I canali che trasportavano merci e persone nel Regno Unito di allora sono stati rapidamente sostituiti da ferrovie e locomotive a carbone, a riprova del fatto che, per una transizione, ci vogliono diverse componenti: una fonte di energia «nuova», una tecnologia altrettanto nuova e, come risultato, un enorme incremento di produttività con il relativo benessere generalizzato.
In questo momento storico è difficile capire come potrà avvenire la nostra transizione. Non abbiamo una fonte «nuova» e non si vede una tecnologia che potrà affermarsi grazie alla nuova fonte, come invece è stato nei casi di carbone-vapore-locomotiva e, più tardi, di petrolio-mobilità-motore a scoppio.
Le transizioni energetiche sono avvenute sempre in tempi molto lunghi. Ad esempio il primo trattore è stato introdotto alla fine dell’Ottocento, ma tra gli agricoltori non si è diffuso in maniera significativa fino agli anni Sessanta del Novecento
Il nuovo ministero ha davanti a sé un compito certamente difficile, il suo ministro saprà cogliere la sfida? Lo speriamo, per lui e per tutti noi.

Francesco Sannicandro, già Dirigente Regione Puglia e Consulente Autorità di Bacino della Puglia