In pericolo l’Indri che si nutre di terra

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indri in pericolo
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È il più grande di tutti i lemuri: l’ultima ricerca dall’unico di team italiano che lo studia in Madagascar. Dalle analisi chimiche e microbiologiche dei campioni prelevati, viene fuori che alcuni funghi e micronutrienti sono presenti sia nel suolo della foresta di Maromizha sia nelle feci degli indri

Se i ricercatori non riusciranno a a comprendere in tempo le esigenze nutritive ed ecologiche del più grande tra tutti i lemuri, l’indri sarà destinato a proseguire irreversibilmente il proprio declino verso l’estinzione. «Criticamente minacciato» secondo la Lista Rossa Iucn, tutti i tentativi di garantirne la tutela sono falliti: non può essere spostato in aree di foresta meno minacciate dalla frammentazione né il suo areale può essere circoscritto, non può essere aiutato dall’uomo a reperire cibo né si conoscono abbastanza le condizioni della sua sopravvivenza. A parte una: di lui sappiamo che si tratta di un primate geofago, che ogni giorno scende dagli alberi per nutrirsi della terra del sottobosco.

Indri MadagascarEd è proprio su questo aspetto che si sono concentrati gli unici ricercatori italiani a studiare questa specie in Madagascar, nell’ultimo studio pubblicato su «Microbial Ecology» dal titolo «I Like the Way You Eat It: Lemur (Indri Indri) Gut Mycobiome and Geophagy». Un team targato Italia, composto dalle Università di Bolzano, Torino, Bologna, Cattolica di Roma, dal Parco Natura Viva e da centri di ricerca malgasci.
«Diversamente da quanto accade in moltissimi altri animali — spiega Camillo Sandri, autore dello studio e veterinario curatore del Parco Natura Viva di Bussolengo — la geofagia per l’indri è una modalità quotidiana di alimentazione che non si limita a costituire una semplice integrazione occasionale».

Dalle analisi chimiche e microbiologiche dei campioni prelevati infatti, viene fuori che alcuni funghi e micronutrienti sono presenti sia nel suolo della foresta di Maromizha sia nelle feci degli indri. «Se da una parte i funghi ingeriti con il terreno sembra abbiano un ruolo importante nella digestione delle foglie attraverso la degradazione della cellulosa — prosegue Sandri — manganese e ferro potrebbero essere utili in altri processi fisiologici mentre altri componenti potrebbero agire come agenti detossificante».

Esiste dunque una correlazione diretta tra le caratteristiche chimiche di quel preciso suolo forestale, l’alimentazione dell’indri e la sua sopravvivenza legata ad uno specifico luogo. Potrebbe essere il primo tassello che compone il mosaico necessario a capire come tutelare una specie sull’orlo della scomparsa, che ha perso l’80% dei propri esemplari, in un habitat in cui negli ultimi 40 anni è scomparso il 37% di foresta vergine.
«Il prossimo passo dunque — conclude Sandri — sarà quello di indagare ulteriormente il legame per la sopravvivenza tra l’indri e il suolo di cui si nutre, analizzando la composizione del microbiota intestinale degli indri e quella del terreno». Una seconda luce su una specie che rischiamo di perdere prima ancora di averla conosciuta.

 

(Fonte Parco Natura Viva)