I danni ambientali costano, convinciamoci

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Deforestazione Amazzonia
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È inutile nasconderci in dibattiti ideologici, in scelte di «destra» o di «sinistra», l’uomo, l’egoismo dell’uomo, l’antropocentrismo hanno rotto gli equilibri ambientali ed ora ci tocca ripararli. Prima mettiamo mano meglio è

  • Apriamo un dibattito, sereno
  • Primo intervento questo di Francesco Sannicandro

Parlare di destra e sinistra riporta alla mente partiti e bandiere del tempo che fu. Ma nella sostanza delle parole c’è una differenza che non morirà mai. Questa, per renderla più visibile e adatta alla comprensione di oggi, direi che la discriminante, non è più destra o sinistra ma solidarietà o egoismo. La solidarietà porta con sé il concetto del cambiamento, dell’adattabilità, dell’evoluzione culturale. L’egoismo è tutto il contrario.

La situazione ambientale in cui ci troviamo oggi è figlia dell’egoismo. E dove sono gli egoisti? Con chi si deve combattere per ottenere uno straccio di solidarietà?

È inutile girarci intorno, si torna sempre all’eterno dualismo.

Dalla guerra delle aringhe in poi tutto si spiega nella logica dell’antropocentrismo. L’uomo ha creato gli squilibri e continua a gestirli. Un esempio può essere quello della caccia alle balene e alle foche. E se volete potete aggiungere la distruzione degli elefanti, dei rinoceronti, della foresta Amazzonica… e mi fermo.

E certamente è amara la riflessione di Sannicandro: alla fine c’è un costo da pagare. Ma francamente è dura da digerire questa realtà se una partita di calcio vale più della salvaguardia della nostra salute figuriamoci i cambiamenti climatici… finché ci sono i condizionatori e la corrente per alimentarli andiamo avanti. E chi se ne importa delle trombe d’aria, delle bombe d’acqua o di calore… e poi chi lo dice che debbano capitare a me?

Questo argomento non è nuovo ma è sempre stuzzicante. Lo proponiamo perché può alimentare un dibattito interessante, sempre che non sia troppo faticoso scrivere quattro righe…

 

Il giornalista Massimo Franco, in un’intervista, ricordava che un politico disincantato come Giulio Andreotti diceva che gli ecologisti erano «come un’anguria: verdi fuori e rossi dentro», e cioè di sinistra.
Certo, era un’altra epoca, e rinchiudersi nel «recinto» della sinistra è stato uno dei motivi del declino dei Verdi. Ma oggi questi movimenti formano un arcipelago differenziato in tutta Europa e danno luogo ad un’alleanza tra industrie e giovani generazioni, con un obiettivo: posti di lavoro.
Purtroppo il declino in Italia dei movimenti ambientalisti è conseguenza di due fenomeni. Il primo è che tutti i partiti si sono dati un’infarinatura ambientalista, riducendo lo spazio a una forza di questo tipo. Il secondo è che schierandosi a sinistra, i movimenti ambientalisti hanno ristretto il loro raggio di azione. È cominciata una deriva da piccolo partito che non è riuscito a imporre posti di lavoro nella manutenzione diffusa, in quella piccola parte del mondo dell’innovazione che mira a migliorare e/o a rivoluzionare il settore agroalimentare, nella tutela il territorio, o nella trasformazione dell’Ilva a idrogeno.
La chiave resta questa: far capire che la rivoluzione verde non comporta solo costi e disoccupazione ma crescita economica e occupazione.
In Svizzera il 13 giugno scorso c’è stato un referendum a favore di una normativa approvata da tre quarti del Parlamento per ridurre le emissioni di anidride carbonica. Ed è stato bocciato in 21 Cantoni su 24. Si prevedevano tasse sui carburanti, sul riscaldamento, sui biglietti aerei. È un eloquente campanello d’allarme sulla difficoltà di far approvare un’agenda sul clima.
Il passaggio da un movimento green a un modello di governo green è un salto enorme. L’ambientalismo politico è arrivato finalmente al G7 ma deve crescere nella popolazione.
In Italia rimane gracile. Anche il tentativo del M5S di intercettare il malumore è fallito: è stato un ambientalismo di bandiera.
Anche i loro governi hanno lasciato sullo sfondo i temi ambientali. Ma senza una politica vera su questi temi, la pandemia del Covid apparirà uno scherzo rispetto agli effetti del cambiamento climatico.
Se oggi da noi esistesse un leader giovane e competente, con una piattaforma green pragmatica e non estremista, porterebbe il suo partito a percentuali a due cifre in poche settimane. Già sta succedendo in alcune realtà europee.
Il filone tedesco e austriaco si è rivelato più politico e resistente. E non a caso ha contagiato l’Italia in Trentino-Alto Adige, tra personaggi come Alex Langer, Marco Boato, Mattioli e Scalia, e Ronchi e Realacci. Quelle esperienze si sono saldate con il Partito radicale di Marco Pannella, che ha puntato per primo sull’ecologia come fatto politico. Quanto alla sinistra l’ambientalismo non è nel suo alfabeto culturale.
Oltre alle diffidenze e all’ostilità degli industriali per il radicalismo anche i sindacati vogliono capire che significa rivoluzione verde. Quanti posti di lavoro fa perdere e guadagnare. E dunque come avverrà la transizione da un modello di sviluppo all’altro.
I verdi tedeschi cooperano con l’industria. Hanno orientato le scelte della Siemens e festeggiarono la vittoria con un picnic davanti all’inceneritore, al quale erano favorevoli.
Se si dovesse indicare un interprete italiano della politica verde oggi, questo non può che essere Mario Draghi. Soprattutto perché l’agenda ambientalista si è spostata al vertice del governo, e il 37 per cento degli aiuti europei andranno a quel settore. La sfida si giocherà molto dal governo, da Palazzo Chigi. Bisogna sapere che siamo già nell’era ecologista. Il problema è prepararla concretamente, e non subirla. Non è solo giusto: ci conviene.

 

Francesco Sannicandro, già Dirigente Regione Puglia e Consulente Autorità di Bacino della Puglia