La smania di nuovi boschi e la lezione dalla Gran Bretagna

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L’associazione britannica Woodland Trust sostiene che «nel tempo in cui la domanda di nuovi boschi e di nuovi alberi è in aumento, i nostri boschi esistenti sono oggetto di grande pressione». E si nota che la fauna selvatica dei boschi sta diminuendo

Woodland Trust, la benemerita associazione britannica che tutela i boschi secolari nel Regno Unito e che quest’anno compie cinquanta anni di attività, ha pubblicato il primo rapporto  sullo stato dei boschi e degli alberi nel regno di Sua Maestà Elisabetta II. Il rapporto evidenzia alcuni aspetti che dovrebbero far riflettere anche il nostro Paese e le nostre Regioni.

L’associazione britannica sostiene che «nel tempo in cui la domanda di nuovi boschi e di nuovi alberi è in aumento, i nostri boschi esistenti sono oggetto di grande pressione». E già quest’affermazione diventa «pesante». Recentemente, per fare un esempio, nel capoluogo pugliese, Bari, sono stati tagliati alcuni lecci di diverse decine d’anni per far posto ad un parco cittadino. Sembra di riascoltare la famosa battuta dei fumetti di Asterix dove il capo dell’esercito romano che arriva in Gallia e vede enormi distese di abeti e faggi, esclama: «Ora abbattiamo questa foresta e ci facciamo un bel parco naturale».

L’analisi di Woodland Trust ha identificato quattro risultati significativi. Il primo è che «la copertura boschiva sta gradualmente aumentando, ma la fauna selvatica dei boschi sta diminuendo». Insomma, dice Woodland , «la copertura boschiva del Regno Unito è più che raddoppiata negli ultimi 100 anni ma gran parte di questa è costituita da alberi non autoctoni. I boschi nativi esistenti sono isolati, in cattive condizioni ecologiche e c’è stato un calo della fauna selvatica dei boschi». La seconda considerazione che l’associazione ricava dal rapporto è che «i boschi e gli alberi sono vitali per una società sana e felice. Bloccano il carbonio per combattere il cambiamento climatico, migliorare la nostra salute, il benessere e l’istruzione, ridurre l’inquinamento e le inondazioni e sostenere le persone, la fauna selvatica e il bestiame».

E come non essere d’accordo. I boschi del Regno Unito contengono 213 milioni di tonnellate di carbonio (nei loro alberi viventi) di cui i boschi antichi e di lunga data detengono il 36% (77 milioni di tonnellate) anche se costituiscono solo il 25% di tutti i boschi. Questo dovrebbe far riflettere sulle smanie della piantumazione di nuovi alberi il cui contributo alla cattura di CO2 non è minimamente paragonabile a quello dei boschi maturi.

Ancora, dice il Woodland Trust, «boschi e alberi sono soggetti a una raffica di minacce coincidenti che vanno dalla loro perdita diretta a influenze più insidiose da impatti climatici, malattie importate, piante invasive, brucatura dei mammiferi e inquinanti atmosferici». L’associazione britannica ha calcolato che nel Regno Unito, a causa dei cambiamenti climatici, la primavera sta arrivando 8,4 giorni prima. E questo è catastrofico «per i pulcini di cinciarella le cui uova si schiudono più tardi dei bruchi di cui si nutrono». Infine, «abbiamo urgentemente bisogno di creare boschi autoctoni, riportare più alberi individuali nel paesaggio e ripristinare i boschi danneggiati».

A fronte di questi problemi, Woodland Trust propone di «quadruplicare l’attuale tasso di creazione di boschi e aumentare la proporzione di specie autoctone coltivate nel Regno Unito per aiutare ad affrontare gli effetti del cambiamento climatico e dare alla natura una possibilità di lotta contro il recupero». Ancora di «valorizzare e proteggere i boschi e gli alberi esistenti consentendo a boschi e alberi autoctoni di diventare una fonte di diffuso recupero della natura e di migliorare la vita delle persone».

Infine, «è necessario effettuare frequentemente inventari di boschi e alberi antichi, nonché una valutazione regolare di importanti siti faunistici. Le lacune nei dati devono essere colmate e deve esserci un monitoraggio sistematico di boschi e alberi».

Non sembra che in Italia tra gli impegni di governo e Regioni, soprattutto di quelle meridionali, queste azioni siano in lizza tra Pnrr e programmazione di fondi strutturali. Magari ci si sbaglia…

 

Fabio Modesti