Natura 2000, un vincolo non è espropriazione

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I giudici di Palazzo Spada hanno confermato la giurisprudenza costituzionale che ha stabilito come «l’indennizzo non spetti a coloro che subiscono limitazioni al godimento del diritto di proprietà per l’apposizione di limiti aventi finalità di natura paesaggistica e ambientale, poiché non si tratta di vincoli di natura espropriativa»

Il Consiglio di Stato torna sull’argomento con una recente sentenza della IV Sezione che sconfessa un precedente pronunciamento della II Sezione riguardante la Puglia e di cui ci siamo occupati poco più di un anno fa.

L’attuale questione attiene ad un’azienda agricola in Friuli Venezia Giulia che ha impugnato la deliberazione della Giunta regionale con la quale è stato istituito il biotopo «Risorgive di Codroipo» con la finalità di garantirne la conservazione in applicazione della direttiva 92/43/CEE «Habitat».

Il biotopo è localizzato nella proprietà dell’azienda agricola che si è prima rivolta al Tar del Friuli, ottenendone una sentenza sfavorevole, e poi al Consiglio di Stato lamentando come «il biotopo è stato istituito ad insaputa dei proprietari che subiscono tutte le limitazioni connesse al vincolo e che erano facilmente identificabili con connessa possibilità di farli partecipare al procedimento finalizzato all’istituzione dell’area protetta, nella stessa misura in cui i privati partecipano alle scelte urbanistiche del comune». Inoltre i proprietari dei suoli hanno sostenuto che «la Regione, nell’istituire il vincolo, non ha previsto un indennizzo per i proprietari che vedono ridursi in modo notevole le loro facoltà dominicali: in particolare, nel caso di specie, l’impossibilità di reimpiantare un pioppeto, oltre ad una più generale riduzione dell’attività agricola in essere sui terreni di loro proprietà». La società agricola ha chiesto anche il rinvio pregiudiziale della causa alla Corte di Giustizia dell’Unione europea affinché si chiarisca la portata degli articoli 17 della carta di Nizza e 1 del protocollo addizionale Cedu, per cui andrebbero ricompresi nell’indennizzo «anche i gravami di natura ambientale».

Il ricorso è stato dichiarato inammissibile dai giudici del Consiglio di Stato i quali, però, hanno voluto esprimersi nel merito. Ed hanno statuito che quanto «alla mancata partecipazione degli appellanti alla fase procedimentale che ha preceduto la creazione dl biotopo, non [si] tiene conto di quanto previsto dall’art. 13, legge n. 241 del 1990 che, per i procedimenti diretti alla emanazione di atti di pianificazione e di programmazione, esclude l’applicazione degli istituti di cui alla legge n. 241 del 1990; nella vicenda in esame la partecipazione degli utenti è stata assicurata in modo mediato dagli enti locali territorialmente competenti» secondo quanto previsto dalla legge regionale friulana che disciplina l’istituzione dei biotopi e dei Siti Natura 2000 da tutelare.

Poi i giudici di Palazzo Spada hanno confermato la giurisprudenza costituzionale che ha stabilito come «l’indennizzo non spetti a coloro che subiscono limitazioni al godimento del diritto di proprietà per l’apposizione di limiti aventi finalità di natura paesaggistica e ambientale, poiché non si tratta di vincoli di natura espropriativa; parimenti non è stata riconosciuta neanche la violazione per il mancato rispetto dei vincoli derivanti dalla Cedu in materia di diritto di proprietà, perché la Corte europea ha sottolineato il margine di apprezzamento delle autorità nazionali nella valutazione dell’interesse generale, anche con riferimento specifico alla materia ambientale, e ha definito il divieto di edificazione imposto per finalità di tutela ambientale come un limite volto a disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale. La chiara distinzione tra vincoli espropriativi e vincoli conformativi rappresenta un indirizzo da lungo tempo univoco nella giurisprudenza amministrativa […]».

I massimi giudici amministrativi hanno poi negato il rinvio pregiudiziale della questione alla Corte di Giustizia Ue perché il ricorso è stato comunque dichiarato inammissibile, perché non si ravvisa un interesse transfrontaliero certo come esige la Corte di Giustizia ed infine «perché la richiesta di rinvio è stata articolata in modo completamente generico e nell’errato presupposto che il vincolo ambientale abbia indole espropriativa».

 

Fabio Modesti