Parco del Gargano, una interpretazione singolare

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foto di V. Stano
Uno scorcio del Gargano. Foto di Vito Stano
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Una variazione colturale con intervento di spietramento senza autorizzazione, dei sigilli violati e una interpretazione della magistratura di Foggia che dissequestra

Può accadere che un’attività soggetta ad autorizzazioni perché in area protetta possa essere realizzata nonostante l’assenza di quelle? Sembra di sì in Puglia, precisamente nel parco nazionale del Gargano e forse anche altrove. Ma il caso garganico è oltremodo curioso.

Si parte da una denuncia del Wwf Foggia che segnala ad aprile del 2022 «trasformazioni e messa a coltura di mandorleto» in alcune particelle in agro di Rignano Garganico, nella zona 2 del parco. I carabinieri forestali, rispondendo alle richieste del Wwf e dell’ente parco, scrivono che già a novembre 2018 avevano deferito alla Procura della Repubblica di Foggia i legali rappresentanti della società proprietaria di quegli appezzamenti di terreno e della società che stava eseguendo i lavori.

La polizia giudiziaria contestava che i lavori di movimento terra, spietramento e soppressione di macchia mediterranea su 5 ettari fossero stati realizzati «in assenza dei prescritti permessi e/o titoli abilitativi richiesti dalla normativa vigente». Per questo aveva formulato la notizia di reato per violazione delle norme penali sulla tutela delle bellezze naturali, delle norme di tutela del parco e del Codice del paesaggio e dei beni culturali, sequestrando preventivamente le aree. Il sequestro era stato poi convalidato dall’autorità giudiziaria nel gennaio 2019.

Custodi inaffidabili

Due mesi dopo i Carabinieri forestali hanno contestato ai custodi giudiziari delle aree sequestrate la violazione dei sigilli avendo rilevato che i lavori erano proseguiti illecitamente con ulteriore comunicazione di notizia di reato alla Procura di Foggia. Nel marzo 2021 la stessa persona già denunciata è stata trovata intenta a svellere ulivi ed a spietrare frantumando meccanicamente le rocce calcaree affioranti in altre particelle di terreno di 2 ettari, sempre in agro di Rignano Garganico e sempre nel parco nazionale. I reati contestati sono stati sempre quelli di violazione di norme paesaggistiche e di tutela del parco e le aree sono state sequestrate.

Lo strano dissequestro

Ma questa volta è accaduto un corto circuito giudiziario perché la Procura di Foggia, il 21 aprile del 2021, ha disposto il dissequestro delle aree motivandolo col fatto che «le attività agricola e silvo-pastorale non richiedono titoli abilitativi». Ora, se così fosse non si comprende come mai non siano state dissequestrate anche le aree sequestrate nel 2018. Ma il problema è che questa interpretazione per la quale le norme del Codice del paesaggio non si applicherebbero ai lavori agricoli e selvicolturali regge ormai poco. Soprattutto perché si sta parlando di aree tutelate da un parco nazionale e dal piano paesaggistico regionale.

Due anni fa il Consiglio di Stato, con il parere n. 1233 del 30 giugno 2020 reso alla presidenza della Repubblica nell’ambito di un ricorso straordinario al Capo dello Stato attivato da alcune associazioni protezionistiche, ha chiarito che l’esclusione dall’autorizzazione paesaggistica degli interventi agro-silvo-pastorali riguarda, nei territori tutelati, soltanto gli interventi minori e certamente tali non appaiono lo svellimento di ulivi e le trasformazioni agrarie con spietramento meccanico profondo. È anche vero, sia detto per inciso, che a volte le Soprintendenze si addentrano, nelle loro valutazioni, in argomenti per i quali non sono competenti e non hanno professionalità adeguate (ad esempio per interventi forestali e per scelte botaniche nei progetti per i quali devono esprimersi).

Dal caso garganico fin qui detto emerge come a volte la magistratura penale lasci interdetti per decisioni che sembrano assunte fuori da valutazioni di diritto e dettate, invece, da imperscrutabili ragioni.

 

Fabio Modesti