Dubbi espressi dalla Commissione e dal Consiglio. Si vogliono allargare le maglie ma esperti e medici non sono d’accordo
Il Parlamento Europeo e la Commissione stanno operando affinché ad inizio del 2008 entri in vigore una nuova direttiva relativa alla qualità dell’aria, che vada a sostituire in toto quelle già esistenti (a partire dalla direttiva quadro del 1996 e quelle direttamente derivate da quest’ultima del 1999, 2000 e 2002).
Nella prima lettura la direttiva ha avuto il placet del Parlamento, mentre sia la Commissione sia il Consiglio hanno espresso dubbi su alcuni passi della nuova normativa. Il contrasto tra Parlamento e Commissione verte in particolare sulle polveri sottili (PM10 e PM2,5). Nella proposta della Commissione vengono mantenute le misure già previste dalla normativa vigente, e quelle più restrittive che dovrebbero entrare in vigore nel 2010.
Nella prima lettura al Parlamento Europeo e stato invece suggerito di modificare alcuni punti, tra cui portare a 55 dagli attuali 35 i giorni in cui e possibile superare il valore limite giornaliero di PM10, prolungare i termini di adeguamento ai valori limiti spostando la dead line dal 2010 al 2014, e abbassare il valore limite annuale di PM10 da 40 microgrammi al metro cubo alla soglia di 33 (anche se questa riduzione è solo apparente, in quanto, da un punto di vista tecnico, determina solo l’equivalenza dei due limiti: media annuale e numero di superamenti).
Contestualmente si fissa il valore limite per PM2,5 a livello di 25 microgrammi al metro cubo come media annuale. Questo orientamento, già definito «un netto passo indietro» da Roberto Bertollini, direttore del Programma Speciale Salute e Ambiente dell’Oms Ufficio Regionale per l’Europa, in una sua intervista ad Arpat news dello scorso ottobre, ed oggetto di numerose prese di posizione, e stato recentemente criticato anche dalla Società Europea di Medicina Respiratoria (European Respiratory Society, Ers), un’organizzazione medica internazionale no-profit con circa 9mila iscritti distribuiti in oltre 100 paesi. L’Ers, che si occupa principalmente di malattie polmonari e di promuovere ricerche e progetti educativi sulle loro cure, ha pubblicato un rapporto dove si dichiara in «disaccordo con le posizioni più recenti prese dalla Commissione del Parlamento Europeo e del Consiglio dei Ministri della Unione Europea (UE)» affermando tra l’altro che l’indicazione del valore limite annuale per le PM2,5 di 25 µg/m3 e inadeguato a proteggere la salute in base alle indicazioni contenute nelle Linee Guida sulla qualità dell’aria dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO Air Quality Guidelines – WHO 2006).
Infatti, secondo l’OMS i valori limiti per le medie annuali dovrebbero essere, per le PM10, 20 µg/m3, e per le PM2,5, 10 µg/m3. La protezione della salute umana ed in specie dei bambini, deve essere considerata una priorità nella legislazione dell’Unione Europea. Molti rapporti recenti indicano effetti deleteri attuali dovuti all’inquinamento da traffico tra i neonati ed i bambini nella Unione Europea ed altrove. Le conclusioni dell’Ers, dopo la presentazioni di alcuni studi effettuati in tutta Europa che provano la correlazione tra polveri sottili e malattie polmonari, sono fortemente critiche, affermando che la direttiva impone misure cautelari per la salute pubblica notevolmente meno tutelanti inferiori rispetto agli standard statunitensi (media annuale inferiore a 15 µg/m3) ed a quelli indicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Infatti, raggiungere 15 µg/m3 di PM2,5 ridurrebbe il rischio di mortalità dovuta alla esposizione a lungo termine del 6% rispetto al valore di 25 µg/m3. Inoltre il documento Ers afferma che l’applicazione della direttiva porterebbe ad uno stato di squilibrio ambientale tra i vari paesi dell’Unione europea, penalizzando quelli del Sud e dell’Est Europa che subiscono un carico maggiore dovuto al maggior inquinamento atmosferico. L’ulteriore danno dell’adozione della direttiva così come e stata preparata, chiosa la Società Europea di Medicina Respiratoria, è una perdita di credibilità dell’Unione Europea nella legislazione ambientale, ma anche la perdita di prestigio a livello internazione nel campo dei cambiamenti climatici e del loro controllo.
(Fonte Arpat)