La sua sopravvivenza è un miracolo messo in forte crisi proprio nell’ambiente che l’ha salvato: il parco nazionale d’Abruzzo
È davvero un «miracolo» che un piccolo nucleo di orsi bruni abbia potuto sopravvivere fino ai giorni nostri, allo stato libero e selvaggio, nel cuore dell’Appennino Centrale, ad appena un paio d’ore da Roma e da Napoli. Quel miracolo si chiama Parco Nazionale d’Abruzzo, una realtà innovatrice sorta all’inizio del secolo scorso grazie all’impegno tenace di Erminio Sipari, cugino di Benedetto Croce e parlamentare assai attivo, che seppe unire spinte culturali, entusiasmi naturalistici e desiderio locale di integrazione con il resto del Paese, fondando per iniziativa privata il primo Parco Nazionale d’Italia: inaugurato a Pescasseroli il 9 settembre 1922, e qualche mese dopo riconosciuto anche con legge dallo Stato italiano.
Non doveva esser facile, in quei tempi, convincere tutti a proteggere il plantigrado: contadini e montanari tentavano di sfruttare ogni angolo della montagna, la pastorizia dominava solenne e il bosco veniva tagliato senza sosta, fin dove ci si poteva arrampicare… E per molti era tempo di fame, miseria ed emigrazione, per non dire dei disagi provocati dal terremoto di Avezzano del 1915, e poi dall’infuriare della prima guerra mondiale. Eppure l’impresa riuscì, e rileggendo le pagine della Relazione Sipari, o il capitolo conclusivo della Storia del Regno di Napoli di Benedetto Croce, si può cogliere lo spirito che animò quei veri pionieri. I quali seppero forgiare, con pochissimi mezzi a disposizione, un modello di Parco destinato a diventare un giorno, per moltissimi altri, il più valido esempio da seguire. Un angolo di natura protetta, per preservare l’intensa bellezza dei luoghi, e con essa la preziosa vita che ancora vi si rifugiava.
Il Parco attraversò poi vicende tormentate e difficili, ma dopo gli anni più oscuri nei quali era stato «occupato» con esiti disastrosi dalla Milizia Forestale, potè risorgere dalle ceneri nell’ultimo dopoguerra, avviando una quantità di iniziative di rinascita. Ma la lotta non era affatto cessata: perché negli anni Sessanta, nella frenesia dell’espansione economica, sul Parco si riversò la furia cementifera dei nuovi vandali, lasciandolo sfregiato e senza guida per ben sei anni. E fu solo nel 1969, con l’avvento di nuove idee e di nuovi responsabili, che potè risorgere un periodo fervido di iniziative, quello che sarebbe poi stato denominato «la redenzione del Parco». Fino ad un momento prima, tutti lo davano per irreparabilmente spacciato: ma poi, s’innescò un graduale riscatto segnato da continui successi. Le costruzioni abusive furono bloccate o addirittura abbattute, i tagli dei boschi secolari vennero sospesi, e la preziosa fauna protetta tornò a crescere e a diffondersi, compreso quell’orso tanto esigente quanto incompreso, che finalmente sembrava ormai fuori pericolo.
L’Orso bruno marsicano è una buona razza della ben nota specie, diffusa quasi ovunque nell’Emisfero Boreale. Qualcuno lo vorrebbe diretto discendente dell’Orso delle caverne, una specie di Orso speleo «pigmeo» abbondante e diffuso in Europa all’epoca delle glaciazioni: e forse non ha tutti i torti, perché il marsicano sembra davvero un animale speciale, se non unico. All’inizio degli anni Settanta, la sua direzione era forte, ben pochi avrebbero osato sfidarla. E da ogni parte, studiosi e appassionati accorrevano ad ammirare orsi e camosci, lupi e cervi, linci e caprioli rifiorenti tra selve sempre più maestose.
Così, alle soglie del Terzo Millennio, la piccola popolazione si era attestata intorno al centinaio di individui, e probabilmente li superava. Nella Giornata Internazionale dell’Orso, organizzata al Parco il 12 luglio 2001 con l’intervento di molti specialisti stranieri, la popolazione appenninica di Orso bruno venne riconosciuta come la più florida e promettente dell’intera Europa occidentale, l’unica in grado di sperare in un futuro, perché capace di adattarsi a climi più caldi in ambienti misti, e di resistere pacificamente alla crescente invadenza umana. E già si stavano realizzando e progettando nuove Aree Faunistiche per l’Orso nel Lazio e in Molise, dopo il successo ecoturistico di quelle d’Abruzzo, ed in particolare di quelle di Pescasseroli e Villavallelonga: anche allo scopo di avviare il programma più ambizioso (riproduzione in cattività e ricondizionamento della prole alla vita selvatica) l’unica soluzione concreta capace di scongiurare il rischio della paventata estinzione.
Oggi, purtroppo, la gravissima crisi del Parco sembra rimettere tutto in discussione e, sul destino dello sfortunato plantigrado incombe soltanto l’ombra cupa del dubbio e dell’inquietudine.
(Nella foto di Valentino Mastrella uno splendido individuo maschio di Orso bruno marsicano)