Dalle analisi alle strategie e alle performance

416
Tempo di lettura: 4 minuti

Non mancano metodi provati per attivare questa «transizione», ma è necessario superare anche molti ostacoli: quelli costruiti sul senso comune delle cose (che si sostituisce alle nostre analisi, valutazioni e capacità creative), quelli causati dall’individualismo (che ci priva delle migliori energie a disposizione di chi sceglie la collaborazione piuttosto che la competizione), quelli derivanti dall’assenza di momenti di riflessione (che non permette di riconoscere le nostre aspirazioni più profonde e il piacere di dare un senso alle cose), quelli generati dallo stress per cose effimere ed inutili (che occupano la nostra vita e che non offrono nulla, di diverso da un’umiliante alienazione dell’uomo dalla realtà o il sogno televisivo di qualche ora di un’altra estranea e ingannevole vita, mentre ci stiamo perdendo la nostra…).

La storia e le consapevolezze, che raccontano e tramandano i fatti con i loro documenti, ci presentano un passato istruttivo che però non può surrogare le riflessioni e le responsabilità del nostro presente. La storia, i suoi fatti, le sue analisi offrono sicuramente uno spettro significativo di problemi concreti che non sono, però, un’invariante della condizione umana, che non possono, quindi, offrire aiuti attendibili e che, tantomeno, possono costruire le nuove strade da percorrere.

Con sospetto, dunque, vanno considerati tutti quei numerosi richiami che si fanno, oggi, non alla cultura del passato in quanto tale, ma alla sua spendibilità come soluzione degli attuali nostri problemi. Nel dibattito sul «cambiamento» è necessario, oggi, riflettere sul pericolo insito in questi richiami al passato. Sono necessarie attente valutazioni per non cadere in qualche insidioso progetto di restaurazione di «vecchi» nuovi modelli che col cambiamento annunciato possono finire solo con l’aggiustare la forma delle cose esistenti, peggiorandone la sostanza.

Oggi il problema non è la mancanza di idee (anche se spesso sono, però, ridotte a proposte banalmente populiste o a sfuggenti mistificazioni che celano, dietro principi di senso comune, la pratica delle deroghe, dei privilegi, degli abusi, delle prepotenze…), ma la frequente mancanza di verifiche sulla fattibilità di progetti che abbiano un senso umano (progetti che non siano solo economici o addirittura senza senno e ideologicamente collassati su principi assoluti, come quelli ai quali fanno riferimento il liberismo, il socialismo reale, le teocrazie, le plutocrazie, le tecnocrazie…), che siano verificabili in termini di condivisione informata e diffusa, che siano validati dalla qualità della partecipazione, che siano flessibili e revisionabili sulla base della tenuta verificabile di obiettivi e finalità.

È indispensabile dare risposte a quelle prerogative umane che sono col fiato sospeso perché sopraffatte dalle paure che creano dipendenza, dalle insicurezze fatte immaginare come effetto di certezze negate (e quindi rivendicabili ideologicamente), dal successo di un’inutile manifestazione mediatica di potenza di pochi (ma più giustamente misurata dalla deprimente imposizione del fallimento di tutti gli altri) o da improbabili speranze personali di successo (che diventano, di fatto, un’«incitamento» a coltivare sogni di improbabile realizzazione, a sprecare risorse senza senso, a costruire miserie umane) ma che, soprattutto, sono tutte occasioni per strumentalizzare le condizioni dei contesti e asservire le masse alla realizzazione di folli disegni finali di poteri assoluti.

L’uomo non può rinunciare a pensare e realizzare progetti, una capacità che sembra distinguerlo dagli altri esseri viventi. Sappiamo, infatti, fare le cose, ma soprattutto ne comprendiamo il senso e possiamo sviluppare quella cultura della responsabilità che è la misura della qualità del funzionamento delle istituzioni democratiche e, anche, della rilevanza riconosciuta ai problemi e alle loro soluzioni in una visione teleologica del nostro esistere in questo mondo. Dobbiamo occuparci delle nostre relazioni con una realtà che forse rimane troppo in attesa prima di essere scoperta. Dobbiamo occuparci delle nostre relazioni con il mondo dei giovani ai quali stiamo consegnando non solo una struttura di monopoli privati e pubblici privi di controllo di qualità (che tendono a sottrarre sempre più spazi alle alternative), ma anche un sistema che non funziona e, anzi, che fa danni.

Sicuramente sentiamo, tutti, la necessità di queste consapevolezze (e di altre ancora), ma sentiamo anche il limite del non riuscire ad affrontarle. Di fatto dalle condivisioni delle analisi non sappiamo passare alla condivisione dei progetti e della loro esecuzione. Sentiamo che manca qualcosa che è nella quantità e nella qualità dei problemi da affrontare. Qualcuno intuisce però che questo limite non può essere superato con l’avvento di «esseri superiori», ma con ciò che possiamo semplicemente apprendere dall’osservazione e riflessione sui fatti rilevanti dei fenomeni  naturali e dalla capacità di collaborare tutti nella ricerca del loro significato e del senso che possiamo trovare nella loro applicazione a favore di nostri interessi. Tutti siamo informati sulla qualità dei principi attivi (per la cura della nostra salute) contenuta ed estratta da diversi tessuti di molti specie animali e vegetali e che sono alla base della quasi totalità dei farmaci a nostra disposizione.

Così, ancora tutti abbiamo avuto modo di osservare che in questo nostro mondo non crescono singoli fili d’erba, ma interi prati; non nascono singoli fiori, ma fiori diversi in filari e selve di cespugli e in grovigli di arbusti (che sono capaci di colonizzare vaste aree di territori anche se aridi e inospitali per l’uomo); non troviamo singoli alberi, ma boschi; non troviamo singoli animali, ma intere mandrie (che si spostano sui territori così come un loro singolo e solitario elemento non riuscirebbe mai a fare) o stormi di uccelli (che si organizzano per volare insieme per avere più certezze su come raggiungere le mete) o branchi di pesci (che usano strategie sincroniche per resistere ai predatori).

Queste osservazioni mostrano, e ne siamo consapevoli, che gli esseri viventi sono anche capaci di aggregarsi e di comportarsi come se dessero origine a nuovi organismi con nuove prerogative. In particolare, nel caso degli esseri umani, anche la qualità della loro intelligenza, se ha modo di formare aggregati di elementi autonomi, può diventare una nuova e più capace forma d’intelligenza, quella «collettiva» che non è la semplice somma di singole intelligenze ma la loro integrazione (per scambio, condivisione e arricchimento), combinazione e distinzione, tutti processi che generano sinergie ed essenziali opportunità di conoscenza e di comprensione collettiva del senso delle cose.