Contro i superbatteri antibiotici usati con intelligenza

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È inutile impaurirsi dinanzi all’avanzata di superbatteri killer se utilizziamo in modo improprio i (buoni) antibiotici che abbiamo o se abbiamo la pretesa di guarire anche solo da un semplice raffreddore in poche ore

Questa rubrica è dedicata alla salute ed a tutto il mondo che gira attorno ad essa. Poche parole, pensieri al volo, qualche provocazione, insomma «pillole» non sempre convenzionali. L’autore è Carlo Casamassima, medico e gastroenterologo, ecologista nonché collaboratore di «Villaggio Globale». Chi è interessato può interagire ponendo domande.

 

L’allarme recentemente lanciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità a proposito dello sviluppo di antibioticoresistenza da parte di alcuni batteri (perciò chiamati un po’ enfaticamente superbatteri killer) ripropone una volta di più la questione del corretto atteggiamento da utilizzarsi al momento di affrontare uno di quei malanni che sono tipici e frequenti nella incipiente stagione invernale.
Intanto alcuni dati e qualche informazione: klebsiella (pneumoniae), stafilococco (aureo) ed escherichia (coli) stanno imparando sempre più a dribblare gli antibiotici comunemente usati nella cura delle malattie polmonari (e non solo) e riescono a produrre danni ingenti alla salute dell’uomo al punto che si parla di 25.000 persone, nella sola Europa, decedute annualmente a causa di queste varianti più robuste di microbi (peraltro da sempre esistiti e noti all’uomo ed alla scienza). Una resistenza ai farmaci passata dall’1,6% del 2009 al 27% del 2011 (dati Aifa) destano timore e suscitano la necessità di predisporre linee di condotta aggiornate ed efficaci. Si studiano nuovi antibiotici o nuove combinazioni fra antibiotici già esistenti (così come noi medici abbiamo già cominciato a proporre, da alcuni anni) con l’obiettivo di non lasciare i pazienti «scoperti» di fronte ad attacchi di ceppi batterici che prendono di mira innanzitutto i più anziani, i più deboli, i più defedati.
Un’ulteriore possibilità è data dalla riproposizione di vecchie molecole (per certi versi quasi dimenticate) rispetto alle quali i «superbatteri» non hanno avuto modo di sviluppare resistenza proprio per il fatto che non hanno avuto modo di cimentarsi con esse. Sarà di certo una delle sfide più importanti dei prossimi anni, una sfida in cui avranno un ruolo crescente la genetica e l’infettivologia di eccellenza.
Ma non si può né si deve scordare un dato che è alla portata del comportamento di chiunque e che rappresenta, per ora, la chiave di volta di una parte decisiva del problema. Parliamo dell’uso inappropriato dei farmaci e degli antibiotici in particolare che spingono i batteri a corazzarsi contro di essi, modificandosi al punto da riuscire a risultare inattaccabili da molecole che sino a poche settimane prima erano per loro mortali.
Purtroppo nella nostra società (sempre più medicalizzata e nevrotizzata dalla paura delle malattie) è diffusa un’idea che sta creando non pochi problemi: prendo subito tante medicine (possibilmente fortissime, preferibilmente per via parenterale) e sconfiggo immediatamente ogni malattia. «Dottore, dobbiamo aspettare di far aggravare i problemi?» o «dottore, mi dia subito un po’ di penicilline così domani sto già meglio» sino all’ineffabile «dottore, domenica ho la comunione di mio figlio: facciamo subito le iniezioni e non se ne parla più»: sono le frasi che quotidianamente ci si sente rivolgere da persone che non comprendono che agire così superficialmente rappresenta il modo migliore per dare il la a quelle forme di antibiotico resistenza che poi, però, ci fanno paura. Il concetto di appropriatezza prescrittiva, in questo modo, si diluisce in un mare magnum in cui ogni raffreddore rischia di essere curato come fosse una bronchite ed ogni tonsillite rischia di essere gestita come se si trattasse di una polmonite di grave entità.
È inutile impaurirsi dinanzi all’avanzata di superbatteri killer se utilizziamo in modo improprio i (buoni) antibiotici che abbiamo o se abbiamo la pretesa di guarire anche solo da un semplice raffreddore in poche ore: la migliore risposta a certi malanni è data dalla risposta dell’organismo, che ha bisogno dei propri tempi (e magari di un po’ di riposo al caldo). Spesso mi tocca dire a pazienti frettolosi ed impazienti (ancorché «raffreddati» ed in cerca dell’ultimo inutile antibiotico) che a volte tocca rimandare impegni ed aver pazienza: anche il Papa, con il raffreddore, è costretto a non dir Messa.