L’Italia in coda alle classifiche. Mancanza di un contesto sociale che aiuti le donne a gestire in autonomia il proprio corpo, carenza di consultori e strutture di supporto per la formazione e l’informazione delle adolescenti, assenza di qualsivoglia programma educativo a livello scolastico finalizzato non solo alla conoscenza del proprio corpo ma anche ad avvicinare i più giovani ad una maggiore consapevolezza nei confronti dell’attività sessuale
Questa rubrica è dedicata alla salute ed a tutto il mondo che gira attorno ad essa. Poche parole, pensieri al volo, qualche provocazione, insomma «pillole» non sempre convenzionali. L’autore è Carlo Casamassima, medico e gastroenterologo, ecologista nonché collaboratore di «Villaggio Globale». Chi è interessato può interagire ponendo domande.
A 50 anni dall’arrivo della pillola anticoncezionale in Europa ed a 41 dalla sua introduzione in Italia la percentuale di donne che la usano, nel Belpaese, rimane significativamente bassa pur in presenza di un sensibile abbassamento dell’età in cui ragazzi e ragazze cominciano a fare sesso.
Mentre infatti nel resto d’Europa le percentuali di donne che scelgono l’estroprogestinico per via orale per controllare la propria fertilità vanno dal 59% delle portoghesi al 52% delle tedesche al 41% delle francesi, in Italia quella percentuale si aggira su un 16% che lascia spazio a diverse considerazioni.
Meno interesse per il sesso? Pare proprio di no, se sono veri i dati secondo cui anche da noi l’età media del primo rapporto sessuale si è abbassata e si è stabilmente collocata a cavallo del biennio che va dai 14 ai 16 anni. Si abbassa l’età del primo rapporto, si innalza la percentuale di popolazione che pratica attività sessuale con una certa regolarità, non si alza, però, il numero di donne che si proteggono da un’eventuale gravidanza indesiderata. Con tutti i rischi e le conseguenze che si possono prevedere ed immaginare.
La stessa variabilità territoriale nell’uso della pillola può essere fonte di ulteriori riflessioni: a parte il 30% della Sardegna (che sembra rappresentare, da questo punto di vista, una sorta di «isola felice»), il resto d’Italia sembra dividersi fra una parte che si pone a cavallo di un circa 20% di utilizzo di estro progestinici orali (Valle d’Aosta, Liguria, Piemonte, Lombardia, Emilia, Toscana, Trentino e Friuli) ed una parte che si colloca ben al di sotto della media nazionale, con il caso estremo della Campania che presenta allo stesso tempo due peculiarità abbastanza inquietanti: ad un 7,2% di uso di pillola si associa la leadership della classifica delle ragazze madri (ben il 2% delle partorienti a Napoli è minorenne). Poco più su, dal 7 al 9% di utilizzo, sono collocate altre regioni del Sud come la Basilicata, la Calabria, il Molise e la Puglia.
Un quadro che può avere diverse chiavi interpretative (c’è chi ritiene che questo possa significare un minor utilizzo della chimica nella gestione del proprio corpo) ma che noi valutiamo, insieme alla stragrande maggioranza degli osservatori scientifici, come l’ennesima dimostrazione dell’arretratezza culturale in cui l’Italia in genere ed il Sud in particolare continuano a galleggiare.
Mancanza di un contesto sociale che aiuti le donne a gestire in autonomia il proprio corpo, carenza di consultori e strutture di supporto per la formazione e l’informazione delle adolescenti, assenza di qualsivoglia programma educativo a livello scolastico finalizzato non solo alla conoscenza del proprio corpo ma anche ad avvicinare i più giovani ad una maggiore consapevolezza nei confronti di un’attività sessuale che non può essere negata ma che diviene fonte di rischi sia in ordine alla possibilità di malattie sessualmente trasmissibili (e in questo senso naturalmente il ruolo più importante è quello del profilattico) sia per ciò che riguarda la possibilità di andare incontro a gravidanze indesiderate anche in giovanissima età.
Purtroppo le uniche strutture che fanno «educazione sessuale» in tanta parte di quel Sud che fa finta di ignorare il sesso sono rappresentate dai corsi di preparazione al matrimonio svolti nelle parrocchie in cui non di rado cattiva informazione e terrorismo psicologico si mescolano senza molti scrupoli. In quei corsi spesso si sente dire che la pillola induce il cancro (non è assolutamente vero, visto che tutti gli studi più recenti dicono esattamente l’opposto), che i contraccettivi sono comunque un elemento di innaturalità (come se fosse naturale misurarsi la temperatura prima di decidere se e come avere un rapporto sessuale), che è possibile «governare» la propria fertilità ricorrendo a conti e conticini (che sono la migliore strada d’ingresso alle gravidanze indesiderate).
Risultato: una irrazionale consuetudine all’utilizzo della pillola del giorno dopo, una troppo facile propensione alle interruzioni di gravidanza, uno stress psicologico non trascurabile.
Carlo Casamassima, medico e gastroenterologo