Dai nuovi prodotti a nuovi modi di pensare il mondo

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La plastica, come avviene per tutti i nuovi materiali, ha sicuramente colpito la fantasia di chi l’ha toccata con mano, per la prima volta. Nell’ultimo dopoguerra e fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, si potevano incontrare raccoglitori di ferrivecchi che passavano periodicamente nelle strade delle nostre città e che in cambio di avanzi di lamiere, di pentole, di contenitori e di strumenti di metallo (tutto materiale diventato inutilizzabile) offrivano miracolose bacinelle in morbida plastica che non si scheggiavano, non si arrugginivano ed erano leggere e piacevolmente segnate da una seducente colorazione azzurra.

La plastica, oggi, richiama, nei nostri pensieri, soprattutto conoscenze scientifiche che non sono destinate, però, solo allo sviluppo di nuove tecnologie, e che pervadono, infatti, anche i significati e la pratica del nostro vivere. Il mondo di domani si propone sempre più come un luogo di beni e servizi creati su misura (come fossero abiti). Sono già oggi disponibili, per esempio, polimeri costruiti in funzione delle loro applicazioni. Le proprietà, di una stessa struttura polimerica, possono essere decise anche in contrapposizione fra loro (per esempio, già oggi abbiamo polimeri adatti per l’isolamento elettrico, ma che possono essere anche condizionati, con specifici processi chimico-fisici, per consentire il passaggio di corrente elettrica).
Anche nel modo, nella forma e nella qualità del costruire oggetti e perfino edifici, non si opererà, in un prossimo futuro, con i classici assemblaggi e raccordando fra loro le diverse parti, ma l’intera opera sarà direttamente stampata, nelle sue tre dimensioni, usando materiali plastici idonei e indicati nei progetti esecutivi. In questa prospettiva, tutti i polimeri di ogni origine e composizione, per la loro plasmabilità, sono destinati a diventare elementi fondamentali di questa nuova frontiera della produzione industriale. Oggi si vendono stampanti che riproducono in tre dimensioni la sola forma degli oggetti, ma nei laboratori di ricerca più avanzati si fanno cose che oggi molti potrebbero avere difficoltà anche solo ad immaginare sia nei loro sorprendenti processi produttivi, sia nelle loro estreme applicazioni ed eccezionali prestazioni.
Ma possiamo andare anche oltre le straordinarie realizzazioni della tecnologia che cambiano la visione delle cose del nostro mondo, i nostri modi di pensare e di comportarci e possiamo, per esempio, riflettere sui significati suggeriti dai processi che intervengono nelle reazioni chimiche e che modificano la natura delle sostanze iniziali.
Nella formazione dei polimeri (ma è così anche in tutte le reazioni chimiche, pur se con meccanismi e significati diversi) avviene un passaggio (quello indicato come «stato di transizione» di una trasformazione chimica) nel quale le molecole iniziali si rendono disponibili a ricombinare, i loro atomi e le loro parti più complesse, in modo da formare le nuove molecole dei prodotti finali. Si può ben immaginare quante combinazioni diverse siano possibili fra tali molecole e quindi la diversità che viene suggerita alla nostra attenzione. Sono sicuramente molto coinvolgenti le analogie che questo fenomeno può trovare nelle vicende che connotano lo specifico del vivere umano. La transizione è un concetto noto e, certamente, non solo nell’ambito scientifico.
«Deve passare la nottata» è un modo di dire popolare che però prende solo atto di una situazione di transizione e non si interroga su come è possibile operare, per il dopo, durante la transizione. Questa, infatti, non è un destino da subire, ma un passaggio complesso che è anche un’opportunità eccezionale verso un possibile cambiamento.
Un’occasione unica per interrogarsi sul dopo che può essere progettato proprio in quei momenti di piccole e grandi crisi dalle quali rischiamo, invece, di lasciarci paralizzare, permettendo, così, ad altri di operare senza il nostro contributo, se non proprio a nostro danno. Anche se non è ben presente alla nostra attenzione, i fenomeni sono esposti continuamente a questi stati di transizione. Noi percepiamo spontaneamente questi momenti solo attraverso i loro effetti, cioè quando i fenomeni sono diventati, di fatto, ormai immodificabili. Una condizione che si manifesta con tanta regolarità da portarci ad immaginare che tutto ciò sia naturale.
In realtà, così come noi possiamo condizionare una reazione chimica, nella fase di transizione, per indirizzarla verso un risultato predefinito, in modo analogo (pur se non in modo deterministico) possiamo favorire l’evoluzione di una transizione, in un senso piuttosto che in altri, anche nel caso di fenomeni economici, sociali, culturali, politici. Nella realtà le cose sono, poi, complesse e, per esempio, è facile che si creino condizioni, diverse dalle nostre attese, che (se non controllate democraticamente) possono definire arbitrariamente anche un nostro destino.
Siamo, infatti, di fronte a opportunità che consentono di entrare nella profondità di processi vitali che, però, non siamo in grado di gestire e tantomeno di ricreare nella loro complessità. Sono opportunità che permettono, infatti, di entrare nel merito solo di particolari fenomeni riducendoli nella forma di semplici e del tutto limitati meccanismi. Sono opportunità che devono essere gestite non certo secondo le ingenue logiche di un progressismo senza limiti che si immagina o si fa intendere come fonte assoluta e inesauribile di benessere, di ricchezze e di consumi per tutti.
Un progressismo che rimuove e sottovaluta completamente le domande sugli impatti generati da quelle modifiche artificiali che, se non sono in sintonia, per quantità e qualità dei loro processi, con le caratteristiche dei fenomeni sostenibili, possono opporsi fino a distruggere insostituibili equilibri vitali: l’ossidazione è una reazione diffusa e fondamentale nei processi naturali, ma quella che avviene con la respirazione produce fenomeni vitali, mentre quella che avviene quando brucia un bosco, pur essendo identica (si tratta sempre di sostanze organiche che reagiscono con l’ossigeno), produce la distruzione dell’equilibrio di tutto un ecosistema. In questo caso si tratta degli effetti di una diversa velocità della stessa reazione di ossidazione (che offre con la respirazione un esempio di sintonia diretta con gli equilibri naturali e che, invece, non offre il bosco che brucia).
Gli effetti distruttivi possono, però, diventare globali se si attivano reazioni e sostanze che non sono presenti in natura e se si riducono le conoscenze (necessarie per gestire gli effetti di tali fenomeni) ai soli meccanismi semplificati che la nostra mente è in grado di comprendere. In questi casi, afferma una verità solo chi riconosce che, non rilevando la presenza di criteri deterministici per queste reazioni, sono del tutto ignoti i loro effetti nel tempo e nei diversi contesti.
Se la natura non dà spazio a certi fenomeni (che l’uomo invece impone prepotentemente all’ambiente), non siamo in presenza di una sua incapacità, ma di una incapacità dell’uomo di comprenderne le ragioni e di valutare criticamente i propri propositi, anche alla luce di possibili alternative. Sui cambiamenti climatici e sulla diffusione degli Ogm in agricoltura, possiamo solo permetterci di immaginare gli sviluppi di processi ignoti e non governabili nella loro complessità. Ma qualcuno, pensando ai profitti che si possono fare (condizionando i mercati, con gli Ogm, e attivando le ricostruzioni, dopo i disastri ambientali), può considerare un vantaggio, per i propri interessi, questo possibile stato delle cose e, forse, pur riconoscendone gli effetti distruttivi, si troverà anche a sperare che si realizzino al più presto.
Oggi, dunque, dovremmo porre tutta la nostra attenzione nel rilevare, analizzare, valutare e decidere le direzioni, per gestire le nostre transizioni, in sintonia con gli equilibri naturali, prima che le decisioni siano prese a vantaggio di particolari e distruttivi interessi.