Non ci sono alternative. Dobbiamo capire che siamo parte della Natura e che è nostro interesse che resti in uno stato quanto più possibile favorevole a noi. Se distruggiamo la natura, se la alteriamo troppo, distruggiamo noi stessi, alteriamo le premesse di un nostro benessere futuro per un effimero e momentaneo benessere immediato. Gli economisti hanno esternalizzato i costi ambientali dalle analisi costi benefici, formalizzando l’estrazione della nostra specie dai sistemi che la sostengono. Questa visione, sintomo di una follia suicida, è il risultato di un’impostazione culturale che, tornando alla Costituzione, non considera la Natura, si pone l’obiettivo dello sfruttamento del suolo, e impone la bonifica dei terreni.
Anche allora avevamo tutte le informazioni per saperlo, basti pensare a Malthus e a Darwin, con tutti i necessari aggiornamenti, ma non abbiamo voluto ascoltare queste avanguardie. Per non parlare di Marx e delle crisi ricorrenti del sistema capitalista: si cresce, si cresce, ma poi si crolla. Poi si ricresce… fino a un crollo che potrebbe essere definitivo. In biologia questo fenomeno è stato descritto da Carson con la teoria del flush (la crescita) e il crash (il crollo).
Ora non ci sono più scuse. Ora abbiamo colonizzato ogni parte del pianeta, non possiamo pensare di ritirarci da qualche altra parte, non esiste un’altra parte. La globalizzazione è un fatto. I veleni che impieghiamo ai tropici si ritrovano nel grasso dei pinguini del polo sud e in quello degli orsi del polo nord. Finisce nei pesci oceanici che mangiamo. Non riusciamo a fuggire da noi stessi.
Noi siamo la causa di tutto questo, e noi dovremo essere la soluzione. Dovremo trovare una strategia intelligente per poter continuare a sopravvivere, garantendo un futuro alla nostra specie, guardando oltre i nostri figli e i nostri nipoti.