Sisma, solo fra 50 anni un livello ragionevole di sicurezza

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La ricerca ci fornisce sempre nuove soluzioni, in termini di materiali e tecnologie per la protezione sismica. L’obiettivo è quello di arrivare a considerare il terremoto come un evento normale del nostro territorio, col quale convivere ma dal quale difendersi costruendo adeguatamente…

 L’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea) ha organizzato una giornata di studio sui «Terremoti nel Centro Italia: Il contributo della ricerca nell’emergenza e nella ricostruzione» avente come obiettivo quello dell’incontro volto ad avanzare proposte ed idee concrete per la ricostruzione di aggregati urbani smart, sicuri, duraturi e sostenibili.
All’incontro hanno partecipato le principali istituzioni politiche e scientifiche coinvolte nelle fasi dell’emergenza e della ricostruzione a seguito degli eventi sismici svoltisi, i primi quasi un anno fa, nel Centro Italia che hanno visto anche Enea collaborare nella fase di emergenza e post-emergenza al fianco del Dipartimento della Protezione Civile e delle altre istituzioni coinvolte. Noi di «Villaggio Globale» abbiamo voluto fare qualche domanda a Paolo Clemente, Ingegnere strutturista, Dirigente di Ricerca del laboratorio Ingegneria Sismica e Prevenzione Rischi Naturali dell’Enea.

Quale lo stato dei fatti in tema di ricostruzione post sisma?

Innanzitutto si è convenuti sulla necessità di cooperare, mettendo a sistema le forze delle singole istituzioni. Sono state avanzate alcune proposte specifiche, relative alla valutazione della pericolosità di base, alla microzonazione sismica e alla salvaguardia del patrimonio storico, che andranno approfondite nelle sedi opportune. È stato ribadito che studi e ricerche vanno eseguiti soprattutto in tempi di pace, anche al fine di anticipare, finalmente, l’evento naturale. Altrimenti non possiamo parlare di prevenzione.

L’Enea è un Ente impegnato nello sviluppo e nell’applicazione di dispositivi e sistemi antisismici innovativi, ruolo questo riconosciuto sia a livello nazionale sia internazionale. È stato il primo Ente di ricerca italiano a svolgere studi e vaste campagne sperimentali agli inizi degli anni 90 promuovendo inoltre l’applicazione dell’isolamento sismico e della dissipazione energetica a strutture di ogni tipologia, dalle centrali nucleari, agli edifici strategici e residenziali, al patrimonio storico… Quali le proposte Enea in tema di emergenza e ricostruzione?

Per quanto riguarda l’emergenza abbiamo un sistema di protezione civile che funziona molto bene. Tutto è migliorabile e ogni esperienza è utile al riguardo, ma partiamo da una base solida e ben collaudata, come dimostrato a seguito degli eventi calamitosi degli ultimi decenni. In emergenza il compito dell’Enea, insieme agli altri enti di ricerca, è quello di contribuire alle attività di rilievi macrosismici, ossia della distribuzione dei danni sul territorio, e geologici e alle verifiche di agibilità delle strutture, soprattutto quelle strategiche o di interesse storico. Nella fase di ricostruzione il contributo dell’Enea, come anche degli altri enti di ricerca, può essere ad ampio spettro. Nel caso specifico, il sisma ha causato circa 300 vittime, crolli di strutture civili, industriali e di interesse storico-artistico ma anche ingenti danni ai settori produttivi locali, quali l’agricoltura e la pastorizia ma anche il commercio e il turismo. Il territorio colpito non è facile: è molto vasto, quasi totalmente montuoso, con centri abitati estremamente frazionati. La ricostruzione non potrà che partire dal riavviare le attività produttive, fondamentali per l’economia locale, favorendo anche l’artigianato e le attività artistiche e valorizzando le ricchezze naturali del territorio. Tra i primi aspetti da curare c’è senz’altro la viabilità, assolutamente carente e non idonea a garantire gli spostamenti necessari per la stessa ricostruzione ma anche un’adeguata gestione dell’emergenza in caso di eventi futuri. Andrà poi definita una nuova distribuzione abitativa, sulla base dei risultati delle indagini geologiche e geotecniche, e quindi delle pericolosità delle aree, puntando ad una minore frammentazione delle aree abitate. Infine, andranno scelte tipologie costruttive che rispettino la memoria storica, laddove possibile, ma garantiscano un grado di sicurezza compatibile con gli standard attualmente accettati. Dovendo ricostruire, spesso totalmente ex novo, dovranno essere realizzati sistemi green, ad esempio per la gestione della frazione organica dei rifiuti tramite il compostaggio di comunità/prossimità e per la gestione del ciclo integrato dell’acqua, e sistemi smart, per un’ottimizzazione delle risorse, il controllo dei consumi e della sicurezza delle costruzioni.

L’Italia è tra i Paesi leader mondiali per numero di strutture protette da sistemi antisismici, quinta dopo nazioni molto più popolose come Giappone, Cina, Russia, Stati Uniti, e prima in Europa per l’applicazione dell’isolamento e dissipazione di energia su edifici, ponti e viadotti. E allora perché quando la terra trema gli edifici collassano e si fa la conta di feriti, sfollati e morti? Quali gli errori che ancora vengono commessi e come evitarli?

Nonostante i progressi e le numerose applicazioni degli ultimi anni, le strutture protette da moderne tecnologie sono ancora poche, in tutto il mondo e anche in Italia. Per quanto riguarda la sicurezza, va ricordato che la classificazione sismica in Italia è iniziata dopo il grande terremoto di Messina e Reggio Calabria del 1908 e si è evoluta molto lentamente. Si progettava tenendo conto degli effetti del sisma solo laddove il sisma si era recentemente verificato, dimenticando la storia precedente alla costituzione del Regno. Ma anche dove le norme c’erano, non sempre si è costruito a regola d’arte. Spesso si è costruito a seguito di eventi eccezionali, come guerre ed eventi catastrofici, senza i controlli necessari, con risultati molto scadenti. Non va poi dimenticato che abbiamo un costruito storico che dobbiamo e vogliamo salvare e tramandare alle future generazioni, per il quale l’equilibrio tra conservazione e sicurezza è molto complicato. Dal punto di vista tecnico abbiamo conoscenze adeguate per costruire bene edifici nuovi, scegliendo siti idonei e progettando e realizzando a regola d’arte le strutture mediante, ove possibile, moderne tecnologie che consentono di ottenere un grado di sicurezza non perseguibile con tecniche tradizionali. Penso all’isolamento sismico e ai sistemi di dissipazione di energia. Abbiamo anche adeguate conoscenze per intervenire sull’esistente sia con tecniche tradizionali sia con moderne tecnologie. La situazione delle costruzioni esistenti, però, è più complessa: innanzitutto non c’è l’obbligo della valutazione della sicurezza, se non in casi particolari; inoltre, gli interventi non sono obbligatori in caso di inadeguatezza rispetto alle ambientali, non controllabili dall’uomo, come quelle sismiche. In sostanza ci portiamo dietro gli effetti di un passato, anche relativamente recente, in cui non si è costruito bene pur rispettando le norme vigenti. Per invertire la rotta è necessario mettere a punto una strategia per il miglioramento della sicurezza delle nostre costruzioni, creando un sistema virtuoso che possa anche favorire il rilancio del settore edile, da sempre forza trainante per la ripresa economica. Questo sistema virtuoso deve partire con l’anagrafe del costruito, intesa come strumento di conoscenza di tutti i beni immobili e consistente, in una prima fase, nella raccolta di tutta la documentazione tecnico-amministrativa disponibile e in eventuali indagini visive, i cui costi, in linea di massima contenuti, potrebbero essere defiscalizzati. Laddove necessario,andranno eseguite ulteriori indagini per giungere alla valutazione della sicurezza statica e sismica e, quindi,alla classificazione sismica di tutti gli edifici, attualmente prevista soltanto per chi voglia usufruire del sisma bonus. L’anagrafe del costruito è anche propedeutica all’istituzione di un’assicurazione obbligatoria a fronte dei disastri naturali, per la quale Enea, Federproprietà e altre istituzioni hanno messo a punto una proposta presentata in Senato (ddl n. 881/XVII), che prevede: 

– l’istituzione di un’assicurazione obbligatoria che sollevi lo Stato dalle spese di ricostruzione a seguito di eventi calamitosi ma, soprattutto, stimoli proprietari e assicurazioni a verificare l’effettiva affidabilità delle costruzioni, anche al fine di differenziare i costi di assicurazione tra i vari immobili in funzione del rischio effettivo; 

– l’istituzione di un Fondo per la sicurezza strutturale e l’efficienza energetica, che potrebbe alimentarsi anche con quota parte del premio di assicurazione obbligatorio di cui sopra, che riduca gradualmente i costi di emergenza e ricostruzione.

Quando si potrà dire di non avere più timore nel vivere in zone sismiche perché si avrà la sicurezza di abitare in case sicure?

Il processo sarà lungo, non potrà esaurirsi nell’arco di una generazione. Bisogna, però, avere il coraggio di avviarlo e di sostenerlo, partendo dalle aree a maggior rischio. La sicurezza deve diventare una costante nel nostro modo di pensare, deve influenzare le nostre scelte e, a tal fine,deve influenzare anche il valore di mercato di un edificio. Pensiamo che con l’istituzione dell’insieme assicurazione e fondo di cui detto, ci vorrebbero circa 40-50 anni per arrivare a un miglioramento significativo, se non risolutivo, della situazione della sicurezza sismica in Italia.

Quali le prospettive future in tema?

La ricerca ci fornisce sempre nuove soluzioni, in termini di materiali e tecnologie per la protezione sismica. L’obiettivo è quello di arrivare a considerare il terremoto come un evento normale del nostro territorio, col quale convivere ma dal quale difendersi costruendo adeguatamente. È un obiettivo possibile e dobbiamo intraprendere il cammino giusto per raggiungerlo al più presto.