Fashion Pact, impegno vero o solo pubblicità?

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Arrestare il riscaldamento globale, ripristinare la biodiversità, proteggere gli oceani, salvaguardare i suoli e la risorsa idrica, questi, ed altri, sono i temi contenuti nel Fashion Pact di Biarritz. Gli impatti sull’ambiente legati all’industria della moda che è tra le più inquinanti

Molte aziende leader a livello mondiale nel settore della moda e del tessile hanno definito insieme una serie di obiettivi condivisi, siglando il Fashion Pact. Si tratta di un impegno volontario discusso e firmato durante il G7 di Biarritz in Francia, lo scorso agosto. Con questo accordo, alcuni giganti della moda si impegnano a frenare gli impatti sull’ambiente legati all’industria della moda, che è tra le più inquinanti.

Gli obiettivi del Fashion Pact si focalizzano su tre aree principali:

  • arrestare il riscaldamento globale (global warming), creando e implementando un piano d’azione per azzerare le emissioni di gas serra entro il 2050, al fine di mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5 gradi, tra adesso e il 2100;
  • ripristinare la biodiversità, raggiungendo gli obiettivi indicati dai parametri stabiliti dall’iniziativa science-based target, per ristabilire gli ecosistemi naturali e proteggere le specie;
  • proteggere gli oceani, riducendo l’impatto negativo del settore della moda sugli oceani stessi, mediante iniziative concrete, quali ad esempio la riduzione graduale della plastica monouso.

Nei 32 marchi firmatari ci sono le tedesche Adidas e Puma, la danese Bestseller, le inglesi Burberry, Stella McCartney e i rivenditori di lusso come MatchesFashion.com e Selfridges; le italiane Ermenegildo Zegna, Giorgio Armani, Moncler, Prada e Salvatore Ferragamo; le americane Capri Holdings, Nordstrom, Gap, Pvh, Everybody&Everyone, Nike, Ralph Lauren e Tapestry. I francesi rappresentati da Kering con Carrefour, Chanel, Fashion3, Galeries Lafayette, Hermes, La Redoute. Ci sono anche gruppi di paesi non facenti parte del G7 come la Svezia (H&M) o la Spagna (Inditex) e non si sono tirati indietro neppure i colossi cinesi Fung Group e Ruyi.

Molti di questi brand avevano già firmato, nel 2018, la Fashion Industry Charter for Climate Action, che resta comunque aperta a chiunque intenda aderirvi.

Purtroppo non si specifica nel dettaglio come ridurre gli impatti negativi prodotti da questo importante comparto industriale ma … qualcosa si muove in direzione di una moda più sostenibile.

(Fonte Arpat)