Quei treni del Sud

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treno binari
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Dai baci e abbracci alla mascherina

Oggi, le nostre piazze deserte, il papa rinserrato, treni assaltati per fuggire dal nord verso il sud, come braccati dal virus, le croci non appartengono alle processioni, sono dipinte sulle autoambulanze, negli stemmi delle giubbe dei volontari; ecco la nostra santità laica a cui son affidate le nostre vite

Nel tempo dei miei studi giovanili avevo necessità di viaggiare su treni affollati che dal Sud correvano verso Nord e verso l’estero; i compagni di viaggio accatastavano nel bagagliaio dei compartimenti valige di cartone serrate da robusti spaghi affinché le cerniere non crepassero per la pressione della roba compressa dentro utile a parare i freddi del nord o per quella stipata per sobri cibi misti a nostalgici ricordi della terra del sole, lontana e rinsecchita da povertà diffuse.

Dopo li ho ritrovati gli esuli nelle baracche di Norimberga o nei casermoni di Francoforte quando il freddo della mattina nevosa riversava sulle strade i nostri da netturbini solerti per liberare le strade ai tedeschi frettolosi e laboriosi.

Fuggiti dal sole del sud che continuava a maturare uve e ad appassire pampini nel tardo autunno ricostruivano città sconfitte, segno ancora del tracotante impero della shoah. Nelle baracche a schiera di Norimberga, alla fioca luce notturna argentea della nebbia gelida gli esuli tenevano sulla parete lungo la cuccetta i santini del loro Patrono insieme alle foto sbiadite di mogli, figli e genitori lontani.

Parlavo nei convegni dell’emigrazione ad ascoltatori attoniti che non sapevano minimamente che quegli esuli avevano seguito dei «contro-Mosè», occulti condottieri di politiche che avevano spinto fin lì e anche oltre la gente ignara del sud perché restituisse ai nostri anni 50-70 almeno 250 milioni di dollari oro annui, il benessere sperato dal dopoguerra, in ubbidienza ai «poteri forti» di oltreoceano.

Poi il tempo della risalita si è affievolito ma ho ritrovato alla stazione di Bologna treni assaliti dai nostri che ritornavano al sud, in estate: assalti dai finestrini per vantare un posticino, valige spinte a gran forza per non lasciarle sulla panchina ancora affollata, quella calda sera di agosto per correre all’incontrario, per baci e abbracci di poco tempo e poi, ancora, la litania della risalita per rincorrere speranza.

Una corsa, oggi, per una processione laica! Ci siamo abituati a seguire sui monitor proposti in Tv lo scorrere delle cifre a crescita vertiginosa per salutare le provvide donazioni in accumulo di Telecom… ora seguiamo l’evoluzione delle cifre che indicano contagiati, guariti, deceduti, superfici rosse di zona, lo stillicidio oggettivo e sgradevole che sgomenta e ci fa premere lo stop, infastiditi.

Nella storia religiosa delle nostre popolazioni abbiamo Santi che hanno protetto, risanato abitanti, preservato città e paesi e poi ecco le processioni a devoto omaggio e lumini a non finire nei templi raccolti a far luce su visi mistici di statue onorate.

Santi Camillo, Egidio, Rocco… ogni città ha la sua storia e il suo santo, la sua peste e la sua risurrezione.

Oggi, le nostre piazze deserte, il papa rinserrato, treni assaltati per fuggire dal nord verso il sud, come braccati dal virus, le croci non appartengono alle processioni, sono dipinte sulle autoambulanze, negli stemmi delle giubbe dei volontari; ecco la nostra santità laica a cui son affidate le nostre vite: medici e infermieri imbavagliati e inguantati a studiare, curare, intubare, ventilare, da cui dipendono tutti i cittadini del mondo; che siano la lunga mano della Provvidenza? Sono certamente quella della speranza: ragazze precarie, alla scoperta delle notizie del virus, grazie a loro per questa festa della donna, speranza per tutti nell’8 marzo del 2020.

Francesco Sofia