Covid-19, la vita, le feste e la felicità

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Aristotele: «…sarebbe quindi assurdo se l’uomo scegliesse non la vita a lui propria, bensì quella propria di altri … quello che a ciascuno è proprio per natura è la cosa per lui migliore e più piacevole. E per l’uomo ciò è la vita conforme all’intelletto, se pur in ciò consiste soprattutto l’uomo. E questo modo di vita sarà dunque anche il più felice»

In un articolo pubblicato alle prime avvisaglie della pandemia in Italia, stigmatizzai il comportamento degli italiani e, soprattutto, la mancanza di intelligenza e conoscenze. È da qui che discendono i comportamenti e la capacità di essere efficaci nelle azioni. Da qui si spiega la schizofrenia ambientale che si traduce in mancanza di rispetto per la natura perché alla base c’è un deficit di conoscenze ed anche il perdurare degli stili di vita egoistici che stanno compromettendo gravemente la salute del pianeta.

Le festività religiose, di tutte le religioni, sono insegnamenti pedagogici collettivi, momenti per riflettere che da sempre scandiscono i nostri momenti umani. Sia per i credenti sia per i non credenti, la riflessione è un bene umano che serve a tutti. Francesco Sofia, porge la sua riflessione facendosi «aiutare» da Aristotele e, chissà perché, a me viene in mente Cecco Angiolieri con tutto il suo carico di una vita vissuta all’attacco. E mi passa dalla mente l’immagine della solitudine di Francesco che porge il suo insegnamento in una piazza ed in una chiesa vuote. Un forte insegnamento non chiaro a tutti. (I. L.)

 

Un messaggio giornalistico di pochi giorni fa ha invitato tutti a «prenderla con filosofia». L’esperienza di distanza dalle persone di questo tempo duro e luttuoso obbliga tutti a rientrare in noi stessi e a intraprendere un discorso interiore: i grandi interrogativi della vita!

In queste pagine leggete spesso risposte a quesiti riferiti all’educazione, alla scuola, alla famiglia, a noi stessi. Oggi vorrei sospendere queste parole in libertà e, dato questo nostro tempo e il periodo dell’Alleluja prossimo, lascio lo spazio a parole antiche, un chiacchierare sommesso e rianimante dell’antico maestro Aristotele (384/383 a. C. – 322 a. C.). Sono parole del Libro X dell’Etica Nicomachea (L. X, 1177b-1178°) resa pubblica per la prima volta tra il 50 e il 60 a. C.

«In ciò che riguarda la felicità non vi è nulla di incompiuto. Ma una tale vita sarà superiore alla natura dell’uomo; infatti non in quanto uomo egli vivrà in tal maniera, bensì in quanto in lui v’è qualcosa di divino; e di quanto esso eccelle sulla struttura composta dell’uomo, di tanto eccelle anche la sua attività su quella conforme alle altre virtù. Se dunque in confronto alla natura dell’uomo l’intelletto è qualcosa di divino, anche la vita conforme ad esso sarà divina in confronto alla vita umana. Non bisogna però seguire quelli che consigliano che, essendo uomini, si attenda a cose umane e, essendo mortali, a cose mortali, bensì, per quanto è possibile, bisogna farsi immortali e far di tutto per vivere secondo la parte più elevata di quelle che sono in noi; se pur infatti essa è piccola per estensione, tuttavia eccelle di molto su tutte le altre per potenza e valore. E se essa è la parte dominante e migliore, sembrerebbe che ciascuno di noi consista proprio in essa; sarebbe quindi assurdo se l’uomo scegliesse non la vita a lui propria, bensì quella propria di altri … quello che a ciascuno è proprio per natura è la cosa per lui migliore e più piacevole. E per l’uomo ciò è la vita conforme all’intelletto, se pur in ciò consiste soprattutto l’uomo. E questo modo di vita sarà dunque anche il più felice» (L. X, 1177b-1178a).

Buone parole per un esteso augurio!

Francesco Sofia, Pedagogista, Socio onorario dell’Associazione nazionale dei pedagogisti italiani