Destinato al compostaggio nel territorio di Grumo Appula (Bari), nonostante vari iter autorizzativi sin dal 1996 non è riuscito e non riuscirà più ad entrare in funzione perché dove è sorto non poteva essere costruito per vari vincoli ed ora non è più presente nel vigente piano regionale di gestione dei rifiuti urbani
È un «pasticciaccio brutto» quello dell’impianto di compostaggio «Prometeo 2000» della famiglia Delle Foglie, sulla statale 96 in territorio di Grumo Appula (Bari) mai entrato in funzione perché mai completato. Doveva essere il più grande impianto per il trattamento di rifiuti organici d’Europa ed, invece, la cosiddetta «astronave» (per l’architettura che rimanda al modulo spaziale Lem e la cui storia risale addirittura al 1995) non è stata mai completata e mai entrata in funzione.
Il progetto ebbe, nel 1996, addirittura il parere favorevole della Commissione europea per un finanziamento Life e la strada spianata dal cosiddetto «decreto Ronchi» del 1997 (dal nome dell’allora ministro dell’Ambiente Edo Ronchi) con cui si tentò di spingere la realizzazione di impianti per il trattamento dei rifiuti contro l’emergenza «monnezza».
Ma il settore urbanistico della Regione Puglia ne dichiarò l’incompatibilità urbanistica perché l’area era destinata a zona agricola. Nonostante questo, a fine anni 90 l’avveniristico impianto, da realizzare in un sito Natura 2000 tutelato dalle Direttive Ue ed a poche centinaia di metri da quello che sarebbe diventato nel 2004 il parco nazionale dell’Alta Murgia, ottenne il via libera dalla Regione Puglia.
E lo ottenne grazie ad un procedimento di valutazione di impatto ambientale che definire superficiale è un eufemismo.
Nel 2000 l’allora giunta provinciale di Bari autorizzò definitivamente ed a spron battuto l’impianto in deroga alle previsioni del Prg di Grumo Appula. Nel 2004 la magistratura penale barese sequestrò l’impianto per violazione delle tutele naturalistiche poste dalle norme comunitarie, per violazioni paesaggistiche e per lottizzazione abusiva.
Il processo di primo grado si concluse nel 2009 con la dichiarazione di intervenuta prescrizione per tutti gli imputati (i Delle Foglie, il progettista e dirigenti provinciali e regionali) ma ritenendo sussistenti i reati e quindi confiscando in favore del comune di Grumo l’area e l’impianto realizzato.
La confisca venne confermata in Cassazione. Quell’impianto non sarebbe mai dovuto sorgere lì perché quell’area era tutelata a livello comunitario e perché violava la normativa urbanistica. I Delle Foglie rinunciarono alla prescrizione sostenendo la propria innocenza e chiedendo la riconsegna dell’impianto. Dopo l’andirivieni tra Corte d’Appello e Cassazione, si giunse nell’aprile 2017 alla loro assoluzione in Corte d’Appello «perché il fatto non sussiste». L’impianto venne loro riconsegnato sulla scorta della famosa sentenza della Cedu su Punta Perotti a Bari che aveva sancito il principio secondo il quale non può esservi confisca di beni senza colpevoli di reati.
Ma l’impianto non era completato e nel 2015 la società chiese alla Regione di poter procedere al suo completamento attivando un nuovo procedimento Via e di Autorizzazione integrata ambientale. Il parco nazionale dell’Alta Murgia, numerosi comuni del territorio ed il Comitato contro l’ecomostro, nel frattempo costituitosi, sostennero che l’autorizzazione rilasciata dalla provincia di Bari nel 2000 non era più valida e che, quindi, l’impianto dovesse affrontare una procedura autorizzativa ex novo.
La Regione non intese ragioni e a gennaio 2018 rilasciò il via libera al completamento. Ma il comune di Grumo, nel 2015, aveva adottato il nuovo piano urbanistico generale confermando quell’area come zona agricola e l’impianto esistente incompatibile con essa.
La società di Delle Foglie ricorse nel 2017 al Tar il quale, con la sentenza del 4 maggio scorso, sembra aver rimesso tutto in discussione.
Intanto stabilisce che l’autorizzazione rilasciata nel 2000 dalla provincia di Bari non è più valida perché scaduta nel 2010 e che il diniego opposto dal comune di Grumo alla richiesta di compatibilità urbanistica del completamento dell’impianto è legittimo «poiché il fatto che l’impianto sia già esistente non comporta, ex se, la compatibilità urbanistica dell’intervento di ampliamento proposto».
I Delle Foglie non ci stanno ed annunciano ricorso al Consiglio di Stato. Ora, intanto, tocca nuovamente alla Regione dire la sua approvando o meno il nuovo piano urbanistico di Grumo che sancisce l’incompatibilità dell’«astronave» con l’assetto urbanistico. Inoltre, quell’impianto non è più presente nel vigente piano regionale di gestione dei rifiuti urbani. Si vedrà come andrà a finire. Quel che si può sicuramente dire è che quell’impianto non doveva essere realizzato lì dov’è ora per evitare di violare norme ambientali e paesaggistiche e per garantire la riuscita dell’investimento privato.
Fabio Modesti