Non è vero che la «Xylella fastidiosa» è incurabile

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foto di A. Fiore
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Intervista al prof. Marco Nuti

Le iniziative che intende prendere l’Europa non sono puntuali. «Non si può fare tabula rasa». «Con l’aiuto di biostimolanti microbici (ai sensi del Reg. UE 1009/2019) e di altri approcci innovativi gli olivi colpiti sono stati recuperati. È sorprendente che queste evidenze non siano state seguite da approfondimenti in sede locale, quasi si avesse avuto timore di non aver accesso agli aiuti stanziati per l’eradicazione»

Si è tenuta in questi giorni la seduta del Comitato fitosanitario permanente a Bruxelles che ha discusso il nuovo testo elaborato negli scorsi mesi, nonostante i rallentamenti causati dal Covid-19, sul contrasto alla Xylella fastidiosa. Nell’assise sono stati valutati anche gli spunti ricevuti dalla consultazione pubblica voluta dall’Unione europea e conclusasi lo scorso 7 luglio. A fronte della scoperta di nuovi focolai in Francia, Spagna e Portogallo, la Decisione di esecuzione (Ue) 2015/789 diverrà un vero e proprio regolamento.

Noi di «Villaggio Globale» abbiamo voluto porre qualche domanda a Marco Nuti, Professore Emerito all’Università di Pisa e Professore Affiliato alla Scuola universitaria superiore Sant’Anna di Pisa.

Cosa prevede la decisione Ue e cosa comporterà nella sua applicazione pratica?
Rimane l’obbligo dell’abbattimento immediato delle piante verificate infette per mitigare la diffusione dell’insetto vettore. Ma i problemi non saranno risolti finché non si affronterà la loro soluzione con una approccio olistico suolo/piante ospiti/patogeni/vettori.

Pare che resterà sempre l’obbligo di eradicazione delle piante risultate positive al batterio, tranne che nelle zone definite infette.
Non ho ancora notizie in merito, ma vorrei ricordare che gli insetti vettori sono polifagi e che la Xylella fastidiosa ha diversi ospiti cosiddetti secondari. Cosa facciamo, tabula rasa di un intero territorio?

C’è un fondamento scientifico in tale misura? Ci sono prove della sua efficacia a fermare la diffusione del batterio?
Se si rimuove una causa e rimangono le concause temo che la misura non sia efficace nel tempo.

I metodi di identificazione della presenza del batterio in una pianta sono totalmente affidabili? Ad esempio, il campionamento a mani nude di rami e foglie, che vediamo praticare, può interferire con le analisi genomiche?
La validazione di un metodo rende statisticamente valida l’interpretazione del dato e la sua riproducibilità; per quanto ne so non credo che ci siano ancora metodi internazionali «validati» (sul modello delle norme Iso – Uni oppure Ocse o Eppo) per tutte le subspecie di Xylella fastidiosa.

Il campionamento a mani nude di rami e foglie può interferire con le analisi genomiche, che sono molto sensibili; richiede steps di purificazione addizionali.

Stando ad alcuni metodi adottati è ancora asseribile che le piante positive al batterio non sono curabili e sono destinate a disseccamento totale?
Non credo. Da alcune evidenze circostanziali di natura sperimentale, sembra il contrario. Con l’aiuto di biostimolanti microbici (ai sensi del Reg. UE 1009/2019) e di altri approcci innovativi gli olivi colpiti sono stati recuperati. È sorprendente che queste evidenze non siano state seguite da approfondimenti in sede locale, quasi si avesse avuto timore di non aver accesso agli aiuti stanziati per l’eradicazione.

Siamo sicuri che la Xylella fastidiosa sia l’unica causa di disseccamento?
No, non siamo sicuri; la resilienza della pianta al disseccamento (non a caso chiamato Co.Di.R.O., Complesso del Disseccamento Rapido dell’Olivo) dipende da vari fattori tra i quali l’età della pianta, una sua alimentazione equilibrata, il suo stato di «salute» immunitaria, lo stato di salute del suolo e delle acque di falda, la monocoltura/intensivizzazione (facciamo un parallelo con il Covid-19!). Una persona giovane, con un sistema immunitario a posto, ben alimentata, in buona forma e non defedata, avrà una probabilità molto inferiore di contrarre una malattia, o una capacità di recupero dal contagio molto più rapida, rispetto ad una persona anziana magari defedata, con deboli protezioni immunitarie o mal alimentata. Così un suolo «sano» privo di inquinanti e sali eccessivi, con una dotazione equilibrata di sostanza organica e di elementi minerali, un buon microbioma, non sarà certo causa di stress per la pianta che cresce e produce, anzi favorirà le capacità di recupero a seguito di stress e disbiosi. Ricordiamo che l’agricoltura a ciclo aperto, quella nella quale si porta via prodotto e residui colturali per lunghi periodi senza mai reintegrare, è oggi caratterizzata dai sintomi di un’agricoltura «malata» con piante che non riconoscono più i simbionti benefici (vedi funghi micorrizici e microbiomarizosferico), che producono prodotti con bassi livelli di antiossidanti e anti-radicalici, con dotazioni assolutamente insufficienti di sostanza organica nel terreno, quest’ultima ormai al di sotto di 1-2% (dovrebbe essere 3,5-4% per garantire la biodiversità funzionale in un terreno).

Che ruolo ha lo stato del suolo e l’uso di diserbanti?
Un ruolo comprimario rispetto alle altre concause biotiche (presenza di altri patogeni fungini) ed abiotiche; l’uso eccessivo di diserbanti come di qualunque altro pesticida o fertilizzante, manda il suolo in stress e disbiosi, alterandone la capacità di nutrire correttamente le piante. Terra malata, piante malate.

Che fondamento scientifico ha la riduzione a 50 metri del raggio di eradicazione della vegetazione intorno ad una pianta infetta?
Scarso se non sono state mitigate le cause comprimarie della diffusione. Ricordiamoci che i focolai delle olivete amatoriali abbandonate sono rimasti per mesi ed anni non censiti e non sanzionati…

Secondo lei, perché la strategia degli innesti con cultivar definite resistenti sta fallendo?
Perché le concause del Co.Di.R.O. non sono state affrontate con una visione d’insieme.

Quali sarebbero i fondamenti di una nuova strategia europea che avesse senso ed efficacia e si basasse su fondamenti scientifici veramente consolidati?
Le basi sono conoscitive, finanziarie e di volontà politica; conoscere meglio non tanto ed esclusivamente il solo batterio significa investire in una ricerca che coinvolge gruppi interdisciplinare: patologi vegetali, agronomi, olivicoltori, microbiologi agrari, neurofisiologi vegetali, immunologi vegetali, chimici e biochimici del suolo, nutrizionisti vegetali, biologi molecolari delle piante, ma anche agricoltori, produttori di mezzi di recupero biologico, vivaisti ed altre componenti della società civile (ci sono anche gli usi non agronomici delle olivete, come quelli turistico-ricreativi e paesaggistici).

Elsa Sciancalepore