Ambiente, norme Ue e la solita Italia

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A breve ci sarà la disponibilità dei fondi del programma europeo Next Generation Eu. Ma sembra che in Italia si continui ad aggirare le norme comunitarie per la protezione di specie ed habitat naturali perdendo tempo e denaro. È il caso della Orte-Civitavecchia su cui si è pronunciata la Corte di Giustizia Ue. La sentenza è un monito per il futuro

Infrastrutture bloccate dalla «burocrazia ambientale»; il vetero ambientalismo che ostacola la realizzazione di opere pubbliche; la crescita economica messa a repentaglio da procedure ambientali farraginose. Sarà tutto vero ma di certo i problemi non si risolvono aggirando le leggi, soprattutto quelle comunitarie. La conferma arriva da una sentenza della Corte di Giustizia Ue, relativamente recente (luglio 2020), riguardante una questione che si trascina ormai da anni ossia la realizzazione della tratta della strada statale n. 675, tratta lunga circa 18 km e che collega Monte Romano Est a Tarquinia Sud nel Lazio. L’opera dovrebbe facilitare il collegamento tra, da un lato, il porto di Civitavecchia e l’autostrada A1 Milan-Napoli, e, dall’altro, il nodo intermodale di Orte, l’area industriale di Terni e l’itinerario Ancona-Perugia. Nel 2004 il ministero dell’Ambiente, Autorità nazionale competente per Valutazione di impatto ambientale e di valutazione di incidenza, esprime un parere favorevole al cosiddetto «tracciato viola». Il progetto viene approvato dal Cipe, il Comitato che decide sui finanziamenti delle infrastrutture, nel 2011.

Gli anni passano

Sono già passati 7 anni. Nel 2015, dopo altri 4 anni, però, l’Anas, soggetto proponente dell’intervento, elabora un altro progetto (detto «tracciato verde») perché il primo era troppo dispendioso. Il ministero dell’Ambiente esprime parere negativo dicendo che per ridurre i costi sarebbe stato possibile suddividere la tratta in due tronconi perché il nuovo progetto «non conteneva uno studio approfondito della sua incidenza ambientale e avrebbe interessato un sito di importanza comunitaria incluso nella rete Natura 2000, vale a dire la zona “Fiume Mignone (basso corso)”». L’allora Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi, chiede al ministero dell’Ambiente di rivedere le proprie valutazioni proponendo misure di mitigazione e di compensazione. Il dicastero risponde «picche» e, ciononostante, Renzi, a dicembre 2017, dopo ulteriori 2 anni, decide di adottare un provvedimento di compatibilità ambientale del progetto preliminare corrispondente al «tracciato verde», motivando la decisione con ragioni di rilevante interesse pubblico, vale a dire il completamento di un itinerario strategico rientrante nella rete transeuropea dei trasporti Ten-T.

Il valutatore scelto a piacere

Ma, di più, tre mesi dopo, a febbraio 2018, il Cipe approva anche questo nuovo progetto incaricando l’Anas di predisporre quello definitivo e lo studio di incidenza ambientale ed incaricando la Regione Lazio, guidata già allora da Nicola Zingaretti (invece del ministero dell’Ambiente) di valutarlo, «al fine, in particolare, di individuare le eventuali ulteriori misure di mitigazione e di compensazione necessarie». Insomma, per il Governo italiano non esiste il «valutatore naturale», quello stabilito dalla legge, ma ce lo si può nominare a piacere. Contro la deliberazione del Consiglio dei Ministri e contro la deliberazione del Cipe propongono ricorso al Tar Lazio una serie di associazioni ambientaliste ed anche privati interessati. Il Tar Lazio ha posto alla Corte di Giustizia Ue sette quesiti in merito all’interpretazione delle Direttive «Uccelli» ed «Habitat» nel caso in oggetto. E la Corte Ue non ha lesinato bacchettate al Governo italiano.

Le bacchettate della Corte di Giustizia

La prima dichiarazione della Corte di Giustizia è: l’Autorità pubblica può proseguire la procedura autorizzativa per la realizzazione dell’infrastruttura in un Sito Natura 2000 per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, anche con valutazione di incidenza negativa, «a meno che non esista una soluzione alternativa che comporta minori inconvenienti per l’integrità della zona interessata, circostanza che (in questo caso N.d.R.) spetta al giudice del rinvio verificare». E non è cosa da poco. In realtà le Autorità pubbliche non conoscono affatto la necessità di alternative di progetto e chi valuta deve affrontare solo e soltanto una ed una sola ipotesi progettuale. Quindi, niente scherzi, se ci sono alternative migliorative, vanno valutate. Se non ci sono, va motivato perché.

La seconda dichiarazione statuisce che non è possibile per uno Stato membro giocare con la procedura di Valutazione di Incidenza. Se l’Autorità pubblica decide di realizzare l’infrastruttura per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico nonostante una Valutazione d’Incidenza negativa, non può ripetere ex novo la procedura valutativa inserendo in essa misure di mitigazione (che nella Direttiva Habitat non esistono) ma può inserire, solo nella procedura originaria, proposte di compensazione purché siano soddisfatte le altre condizioni poste dalla norma comunitaria.

La terza dichiarazione stabilisce che uno Stato membro non può consentire che il soggetto proponente recepisca «prescrizioni, osservazioni e raccomandazioni di carattere paesaggistico e ambientale dopo che quest’ultimo (piano o progetto N.d.R.) abbia formato oggetto di una valutazione negativa da parte dell’autorità competente, senza che il piano o il progetto così modificato debba costituire oggetto di una nuova valutazione da parte di tale autorità». Il governo italiano ha tentato di aggirare la norma comunitaria giocando a nascondino e mischiando le carte per eludere le regole.

La quarta statuizione è ancora più definitiva ed afferma che lo Stato membro, pur nella propria autonomia ordinamentale, non può incaricare Autorità diversa da quella prevista dalla legge per proseguire una procedura di valutazione di incidenza dopo che quell’Autorità abbia concluso con un parere negativo.

La responsabilità non è della tutela

Insomma, ci sono voluti oltre 16 anni per comprendere quel che era già scritto nella norma comunitaria e che il Governo italiano ha volutamente tentato di aggirare. Ma la cosa più preoccupante è che almeno 13 di questi 16 anni sono stati impiegati per aggiustamenti tecnici del progetto e procedure amministrative non ambientali. Cioè, il progetto era malfatto ma quello era e nessuna alternativa era possibile perché più costosa. In attesa delle risorse economiche del Recovery Fund non abbiamo fatto molta strada ed il rischio di trovarci esattamente come nella condizione della Orte-Civitavecchia è talmente alto da divenire realtà. E la «burocrazia ambientale» non c’entra nulla mentre la pessima qualità dei progetti, sì.

 

Fabio Modesti