Rischio antrace per i pastori siberiani

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Un team italiano ha pubblicato su «Scientific Reports» uno studio con un modello matematico. A causa dei cambiamenti climatici e per le estati sempre più miti, lo scongelamento del permafrost rilascia spore del batterio letale. Tra le misure possibili l’adattamento dei tempi della stagione del pascolo

Il cambiamento climatico può favorire direttamente epidemie letali per gli animali e per l’uomo. Un caso emblematico è il crescente rischio di diffusione di antrace in Siberia a causa dello scongelamento del permafrost durante la stagione estiva.

Scienziati dell’Università Ca’ Foscari Venezia, dell’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche e del Politecnico di Milano hanno studiato il primo modello matematico sulla diffusione del batterio dell’antrace nelle zone artiche, pubblicando i risultati oggi sulla prestigiosa rivista scientifica «Scientific Reports». Hanno scoperto che il rischio è legato più alla durata della stagione «calda» rispetto alla profondità di scongelamento del terreno.

L’ultima grave epidemia di antrace in Siberia è stata registrata nel 2016, nella penisola del Taymyr, la propaggine più settentrionale dei continenti euroasiatici. Morirono un dodicenne e oltre 2.300 renne.

Le spore del batterio, che si diffondono nel suolo a partire dalle carcasse degli animali che muoiono per l’infezione, sopravvivono per decenni nel permafrost congelato. Quando le temperature salgono e la morsa del gelo si allenta, le spore tornano a diffondersi nel suolo e ad infettare gli erbivori al pascolo. Sono proprio gli animali a infettare poi le popolazioni indigene, che nella pastorizia hanno una tra le principali fonti di sostentamento.

«È come se il permafrost fosse un grande serbatoio che viene aperto dalle temperature sempre più miti — spiega Enrico Bertuzzo, professore all’Università Ca’ Foscari Venezia e autore corrispondente dello studio —. Abbiamo analizzato con un modello i possibili percorsi del batterio proprio considerando l’ambiente e il ruolo della pastorizia».

Gli scienziati hanno utilizzato i dati temporali di profondità di scongelamento dello strato attivo sopra il permafrost, da correlare al rischio di trasmissione. Il modello distingue spore che vengono rilasciate dai nuovi casi infetti e spore che possono essere riattivate in seguito ai processi che si sviluppano dallo scongelamento del suolo.

«Gli animali sono maggiormente esposti durante il pascolo estivo, quando si ha maggior scongelamento dello strato attivo sopra il permafrost, e degli strati più superficiali di permafrost — aggiunge Elisa Stella, ricercatrice del Cnr e prima autrice dell’articolo — dal nostro studio è emerso che il rischio di trasmissione è probabilmente legato maggiormente alla durata del periodo di scongelamento rispetto alla profondità di scongelamento».

La ricerca offre un nuovo strumento per lo studio del fenomeno, ma sono molti gli interrogativi a cui rispondere per mitigare il rischio a cui sono esposti gli abitanti della regione siberiana. Non è disponibile, tra l’altro, una mappa delle sepolture degli animali infetti. Questo espone a rischio di attraversare aree contaminate.

Una misura suggerita dai ricercatori italiani è di anticipare o posticipare il pascolo stagionale, evitando il periodo più caldo e riducendo la permanenza del bestiame nelle aree a rischio.

 

(Fonte Università Ca’ Foscari Venezia)