La Puglia vuol fermare il dilagare di eolico e fotovoltaico

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Un consumo di suolo ormai insostenibile

Il territorio provinciale di Brindisi è quello che produce più energia fotovoltaica in Italia con oltre 250 milioni di Kwh (dati Gse 2018) e fino a fine 2020 le richieste di installazione ammontavano a circa 1.000 MW per ulteriori 1.700 ettari di suolo da occupare

È stata tutta un «non praevalebunt» l’audizione organizzata dalla V Commissione del Consiglio regionale pugliese sulle energie rinnovabili. Dagli assessori Maraschio e Pentassuglia, con sfumature diverse, ai consiglieri Pagliaro, Splendido e Dell’Erba, tutti di opposizione e senza interventi di quelli della maggioranza, sembra che la Regione Puglia stia mettendo i sacchetti di sabbia davanti alle finestre e scavando le trincee contro l’aggressione di fotovoltaico ed eolico. Ora tutti strabuzzano gli occhi davanti ai dati di occupazione di suolo che si prospetta in base alle richieste pervenute a livello provinciale e regionale e su cui abbiamo richiamato l’attenzione ben prima degli altri mezzi d’informazione.

Finora il «vallo» è stato costituito dai pareri che la Soprintendenza al Paesaggio e la competente Sezione regionale hanno fornito nel corso dei procedimenti autorizzatori; il Piano Paesaggistico territoriale regionale (Pptr) è stato lo strumento che ha consentito di arginare l’invasione. Eppure i dati di produzione energetica e di occupazione di suolo continuano ad essere in aumento. Il territorio provinciale di Brindisi è quello che produce più energia fotovoltaica in Italia con oltre 250 milioni di Kwh (dati Gse 2018) e fino a fine 2020 le richieste di installazione ammontavano a circa 1.000 MW per ulteriori 1.700 ettari di suolo da occupare. Se si immagina che in quel territorio è ancora in esercizio la centrale Enel di Cerano, la seconda più grande d’Italia, che produce con combustibili fossili 2.640 MW occupando quasi 300 ettari, si comprende il livello di saturazione energetica cui si è giunti in Puglia.

E, quindi, il grido si è levato alto in V Commissione: «la Puglia ha già dato». Ma non è così semplice mettere un argine. Lo ha ricordato Pierluigi Portaluri, docente di Diritto Amministrativo all’Università del Salento, quando ha citato il recente Pniec (terribile acronimo che sta per Piano nazionale integrato per l’energia ed il clima) che, per quanto riguarda la Puglia, è totalmente in contrasto con le politiche di contenimento dell’«aggressione». Come una specie di divinità feroce, «chiede nuove aree su cui localizzare gli impianti». Per rafforzare gli argini e le difese, quindi, l’idea è mettere mano al Pptr per renderlo più risoluto nel vietare gli impianti industriali di rinnovabili a terra, incentivandoli sulle coperture oppure in aree degradate ed industriali (cosa che il Pptr già prevede). Ma il rischio che l’apertura di una finestra diventi quella di un portone per infilare devastazioni più che protezioni è dietro l’angolo anche se, come ha ricordato la Soprintendente al Paesaggio di Brindisi e Lecce, Maria Piccarreta, qualsiasi modifica va fatta d’intesa con il Mibact. Peraltro, tutto questo furore energetico rinnovabile sembra pesare in modo assolutamente non rinnovabile sulle tasche dei pugliesi.

La Puglia, infatti, ricorda l’associazione Amici della Terra, è la Regione cui corrisponde il maggior onere di incentivazione per le rinnovabili a carico della bolletta elettrica dei cittadini (la famosa componente ex A3 ora chiamata Asos) con oltre 1,5 miliardi di Euro nel 2019 di cui almeno il 70% destinato al fotovoltaico e quasi tutto il resto all’eolico. Ci è seconda la locomotiva d’Italia, la Lombardia. Ora è in scrittura il nuovo Piano energetico ambientale regionale (Pear) e si spera tenga conto di tutti gli aspetti fin qui detti perché il precedente ha determinato l’insostenibile situazione attuale.

 

Fabio Modesti