Monitoraggi inesistenti, una condotta regionale dannosa per l’ambiente
Eppure in un documento regionale, tutt’ora vigente e mai modificato, sono scandite le fasi di analisi e valutazione degli impatti possibili di impianti eolici con l’avifauna selvatica, imponendo monitoraggi prima della realizzazione e negli anni successivi ad essa
No, non è la Bbc. No qui in Italia, in particolare nel sud Italia, non possiamo certo dire che si segua quel che la Bbc racconta in merito alle possibilità di ridurre al minimo o di azzerare gli impatti tra turbine eoliche e uccelli selvatici e pipistrelli. La radiotelevisione governativa britannica ha recentemente pubblicato, nella sezione business, un importante articolo dal titolo «Come proteggere uccelli e pipistrelli dalle turbine eoliche».
Il reporter Chris Baraniuk racconta come in Sud Africa, dove l’installazione di impianti eolici industriali sta procedendo molto velocemente, «le aquile di Verreaux hanno un problema. Gli stessi paesaggi che prediligono, dove le correnti d’aria lungo vaste creste le trasportano mentre salgono, sono luoghi privilegiati per gli sviluppatori di parchi eolici che vogliono utilizzare esattamente la stessa risorsa. Almeno 24 carcasse sono state raccolte sotto le turbine eoliche, afferma Megan Murgatroyd di HawkWatch International», l’associazione statunitense che sta cercando di ridurre i danni per i grandi rapaci.
La Murgatroyd, con scienziati naturalisti di varie università sud africane e statunitensi, hanno messo a punto un modello predittivo per migliorare la localizzazione di turbine eoliche e per minimizzare il potenziale rischio di impatto con i rapaci durante le fasi ascensionali. Il modello si basa sui dati di tracciamento raccolti dopo aver adattato dispositivi Gps a più di una dozzina di aquile. Lo strumento deve anche considerare dove si trovano i nidi di aquile ed i sondaggi devono essere effettuati all’interno e intorno a qualsiasi terreno destinato a nuove turbine eoliche. Per provare a convalidare il modello, Murgatroyd lo ha utilizzato per analizzare le posizioni delle turbine eoliche costruite prima che la tecnologia fosse disponibile. Il risultato è molti impatti di aquile associati a quelle turbine si sono verificati in luoghi che il modello avrebbe correttamente etichettato come ad alto rischio.
«Se il modello fosse stato utilizzato — dice Murgatroyd — si sarebbe potuto evitare fino al 79% di quelle morti». Fin qui l’ottima ricerca applicata fatta in Sud Africa e raccontata dalla Bbc. In Italia e, in particolare in Puglia, che cosa succede in merito allo sviluppo di metodi per ridurre i rischi di impatto degli uccelli selvatici? La Puglia ha ormai superato il burden sharing eolico, ossia la quantità di energia elettrica prodotta da turbine eoliche assegnata alla regione dalle norme nazionale di riduzione di gas serra. Eppure le istanze per installare nuovi impianti sta ingolfando le amministrazioni locali e pure il ministero della Transizione ecologica, competente per potenze superiori a 30 MW. Le linee guida ministeriali del 2010 per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili dicono ben poco e quel poco è ripreso da un documento che proprio la Regione Puglia ha elaborato nel 2004 ma che è stato presto dimenticato. Si tratta della deliberazione della Giunta regionale n. 131 del 2 marzo 2004 «Direttive in ordine a linee guida per la valutazione ambientale in relazione alla realizzazione di impianti eolici nella Regione Puglia».
Quell’amministrazione regionale aveva visto lontano. Anche perché in quegli anni era cominciata, ma non con la veemenza distruttrice di paesaggio ed ambienti di qualche anno dopo, l’aggressione delle rinnovabili al territorio. In quel documento regionale, tutt’ora vigente e mai modificato, sono scandite le fasi di analisi e valutazione degli impatti possibili di impianti eolici con l’avifauna selvatica, imponendo monitoraggi prima della realizzazione e negli anni successivi ad essa.
Monitoraggi che, come nell’esperienza sud africana, avrebbero consentito di localizzare gli impianti di rinnovabili dove non potessero arrecare danni o ne potessero arrecare molti meno. Sta di fatto che, al di là di un paio d’anni di applicazione corretta, quella deliberazione (vincolante per il proponente di impianti) non è più stato tenuto in considerazione in particolare nei procedimenti di valutazione di impatto ambientale e di incidenza nei Siti Natura 2000. I monitoraggi non sono stati effettuati, i dati ex ante ed ex post l’intervento non esistono ed i pochi rilevati, ormai datati, non sono disponibili al pubblico. La transizione energetica va per i fatti suoi ed andrà sempre più così perché, in realtà, non c’è nulla di ecologico in quel che sta accadendo.
Fabio Modesti