La sfida delle città all’ambiente

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La città è un luogo vivo e in continua evoluzione. I problemi del traffico, delle comunicazioni, dell’espansione. Il consumo di suolo e come contenere tutti i guasti all’ambiente

Centro e periferia. Capire come si formano e si mescolano questi due elementi della città è cercare una via per comprendere meglio quest’ultima, il luogo in cui l’uomo vive e si muove, lo spazio nel quale case, uffici, centri commerciali, negozi, supermercati e luoghi di culto pullulano, il centro pulsante della gestione, dell’organizzazione e della governance del territorio, il cuore dell’intrattenimento, del divertimento e dell’istruzione. La città è tutto questo e molto e molto altro.

La città, in un’ampia prospettiva di ricerca, va intesa prendendo in esame alcuni criteri: da un lato quello politico-amministrativo (municipalità), contemplando così le autorità comunali avente potere decisionale nell’area determinata; da un altro quello morfologico, stringendo l’area stessa in un tessuto urbano suddiviso in particelle, solitamente individuate in quadrati di lato 1 km; e dall’altro ancora quello metropolitano, il quale focalizza le zone tra loro interconnesse di mercato del lavoro.

È interessante capire come cambiano e si evolvono le città, come chi le vive si sposta da una parte all’altra e per quali ragioni decide di farlo. Se la città più popolosa del mondo negli anni 50 era New York, oggi è Tokyo e nel prossimo 2030 sarà Jakarta.

La città come un essere vivente

La città non vive, però, solo momenti in cui realizza una concentrazione verso il centro, bensì è un fenomeno dinamico che percorre diverse età di vita, varie fasi di evoluzione in cui si mostra e si comporta in modi differenti. Come se si trattasse di un essere vivente, infatti, la città manifesta un proprio ciclo di vita con fasi di crescita e di contrazione delle aree metropolitane, indotte da dinamiche inerenti alla demografia, ai rapporti sociali ed economici.

Possiamo individuare una prima fase, detta di urbanizzazione, che è caratterizzata da un’attrazione verso il centro, mediante lo sviluppo di nuove attività, aumento della vivacità finanziaria, incremento e progresso delle infrastrutture. Prevale così l’effetto di richiamo in direzione del centro città. È questa la fase dei fenomeni della migrazione e del pendolarismo: la popolazione del centro cresce a livelli più elevati rispetto a quella dei sobborghi.

Segue, poi, una seconda fase, definita come sub urbanizzazione, nella quale, invece, sono le aree esterne al centro, le zone limitrofe, a svilupparsi in modo accelerato rispetto al centro stesso, che al contrario rallenta la sua crescita. Si verificano degli spostamenti nelle zone in questione di nuclei familiari a medio ed alto reddito.

Vi è, successivamente, la fase di de-urbanizzazione, in cui si registra una crescita di insediamenti nelle zone ancora più esterne che non risulta in grado di compensare la decrescita rilevante del tessuto sociale del centro. L’area della città si allarga sempre più, ed è in questo caso che si parla dell’urban sprawl, detto anche città diffusa, un fenomeno caratterizzato da una crescita disordinata che consuma suolo. Questo particolare fenomeno urbanistico si presenta nelle zone periferiche delle città, e associa all’espansione urbana incontrollata il fenomeno della bassa densità abitativa.
Questa fase di saldo negativo della popolazione urbana del centro si determina come conseguenza di una serie di elementi: la grave crisi economica, il graduale invecchiamento della popolazione urbana, lo spostamento di attività economiche e di interesse, l’insediamento di gruppi di diversa etnia nel centro, il perdurare di una situazione di degrado, l’insediamento di centri commerciali, oltre ad un numero elevato di attività industriali, che rendono economicamente indipendenti dal centro i sobborghi, ed infine situazione di massima concentrazione nelle zone, cosiddette dell’hinterland, o per meglio dire di sazietà delle zone più vicine al centro, che comporta lo spostamento delle strutture residenziali in aree più distanti.

Un’ultima fase, detta di re-urbanizzazione, prevede una fase di restaurazione del centro urbano, una maggiore attenzione ed interesse per le questioni ambientali e l’incremento di attività del settore terziario ad alta tecnologia, finanziarie e amministrative.

Si realizza così una crescita della popolazione nel centro, mentre per l’hinterland si registra una decrescita e una riduzione della popolazione che, in parte continua a spostarsi nelle zone più esterne, come causa di un processo irreversibile, precedentemente verificatosi.

La città diffusa

Con la sub urbanizzazione inizia a perdere rilievo il fenomeno della città compatta, in favore di un modello di dispersione e ingrandimento dell’area urbana.

Gli effetti della sub urbanizzazione sono rilevanti: come primo elemento caratteristico, si osserva ad esempio l’aumento della superficie edificata in modo non proporzionale all’andamento demografico, registrandosi al contrario in quest’ultimo ambito un calo.

Emerge come si è detto il fenomeno di città diffusa, concetto completamente opposto a quello di area metropolitana: se quest’ultimo era tradizionalmente associato a metropoli ordinate ed efficienti, quest’ultimo va in un’altra direzione, essendo figlio di un individualismo capitalistico e di un sentimento di appropriazione che ha come obiettivo primario quello di costruire in un dato spazio il proprio modello ideale di abitazione individuale (ma anche di impresa commerciale).

Non di rado ormai anche in Europa è diventato frequente osservare come molte periferie delle grandi città siano interessate da questo fenomeno della città diffusa.

Complice anche il costo inferiore del terreno, la tendenza è sempre più quella di allontanarsi dal grande centro urbano, restando comunque all’interno del cosiddetto «hinterland», che diventa disseminato di agglomerati urbani sparsi, senza una apparente pianificazione.

I principali effetti negativi dell’urban sprawl (o «città diffusa») sono, oltre alla mancata pianificazione dell’espansione della città, l’elevato consumo del suolo a fronte di una scarsa densità abitativa.

Va da sé, che questi fattori non giovino minimamente all’ambiente e al contenimento del consumo energetico, così importante per la salvaguardia del nostro Pianeta.

I danni

Oltre ad un notevole consumo di suolo, non più ammissibile in tempi moderni, questa diffusione crea inoltre i cosiddetti quartieri dormitori. Parliamo di quei pezzi di «città» sprovvisti perfino di minimi servizi, in genere costituite da abitazioni servite da strade vicinali e niente altro.

È intuitivo comprendere che tutto questo non ha nulla a che vedere con il vero concetto di città.

Oltre appunto al fenomeno del consumo del suolo, che già potrebbe essere sufficiente a catalogare questa espansione diffusa come non ecosostenibile, questa esplosione della città porta gli abitanti delle zone a bassa densità a doversi spostare quotidianamente. Di conseguenza, utilizzando spesso auto di proprietà per raggiungere il luogo di lavoro e servizi, dislocati all’interno della città compatta, si ha la tendenza ad incrementare l’inquinamento atmosferico da polveri sottili.

È evidente che la proliferazione di nuove costruzioni e dell’infrastruttura stradale avviene a discapito delle risorse naturali, scarse e non rinnovabili, come i terreni agricoli e gli spazi verdi. Di analoga evidenza è, inoltre, la forte dipendenza della popolazione dall’auto privata per gli spostamenti quotidiani, sia di breve sia di media-lunga distanza, verso il luogo di lavoro, le scuole e, in generale, il centro. L’utilizzo più intensivo del mezzo privato implica, a sua volta, un consumo maggiore dell’energia per il trasporto e l’incremento della congestione del traffico e dell’inquinamento atmosferico.

In questo ben noto scenario, si discute sull’elaborazione e l’implementazione di politiche di pianificazione urbana, che guidino le città verso uno sviluppo strutturato, preservando le aeree agricole e gli spazi verdi. Appositi studi evidenziano, tuttavia, che non esiste un’unica dimensione ottima della città, ma piuttosto un intervallo di dimensioni ottime che dipendono dalle specificità dell’agglomerato urbano, dalle caratteristiche dell’industria e della struttura sociale.

La mobilità

D’altro canto, nel breve termine, è concretamente possibile attuare delle misure volte a contenere gli impatti ambientali piuttosto gravosi dello urban sprawl, prodotti, come prima evidenziato, dalla dipendenza della popolazione dalla vettura privata.

L’Italia, dopo il Lussemburgo, è il secondo paese europeo per tasso di motorizzazione, ed è il quarto paese, considerando i paesi dell’Europa, più il Canada e gli Stati Uniti, per livello di congestione del traffico.

Tuttavia, vi sono alcune soluzioni e tecnologie, la cui diffusione è auspicata anche dalla Commissione europea (Europa 2020), orientate alla smart mobility che, se introdotte e adottate su larga scala, sono in grado di modificare profondamente il settore dei trasporti.

Le più note soluzioni di smart mobility, alcune delle quali già sperimentate, sono: il Car sharing e il Car pooling, sistemi nati nell’ottica di condivisione per condividere l’automobile, nel primo caso presa a noleggio e nel secondo caso di proprietà di uno dei passeggeri; i sistemi intelligenti di Bike sharing, che si fondano sul concetto di trasporto sostenibile e fungono anche da connettori fra le zone raggiunte dal trasporto pubblico e la destinazione finale; le connected car, ovvero le automobili dotate di connessione Internet, in grado di ricevere le informazioni in tempo reale sul traffico e di identificare i percorsi stradali alternativi, meno congestionati; lo smart parking, in grado di ridurre la congestione dovuta alla ricerca del parcheggio; la mobilità urbana integrata e intermodale, che mette sinergicamente a sistema le varie alternative modali (car sharing, bike sharing e trasporto pubblico) e le presenta come un unico mezzo di trasporto; la mobilità elettrica, a basso impatto ambientale, che richiede la realizzazione dell’infrastruttura necessaria per la ricarica delle automobili. Fra i servizi offerti dalle connected car vi è anche la geolocalizzazione delle colonne per la ricarica.

La recente legge Delrio 56/2014 affida alle Città metropolitane (il cui territorio coincide con quello della provincia corrispondente) la competenza della pianificazione urbana, dello sviluppo e della gestione della mobilità e delle infrastrutture. Fra le possibili politiche di smart mobility, gli organi di governo delle Città metropolitane dovrebbero considerare la realizzazione di quelle in grado di alleviare, già nel breve periodo, le esternalità negative dello urban sprawl.

Lo sviluppo e il potenziamento della mobilità urbana integrata e la promozione della mobilità elettrica rappresentano le principali soluzioni di medio termine in grado di incentivare la riallocazione modale a favore di mezzi di trasporto più sostenibili e ridurre consistentemente gli impatti ambientali dello urban sprawl, non solo l’inquinamento e la congestione ma anche il consumo energetico del sistema di trasporto urbano.

In conclusione, centro e periferia sono gli elementi imprescindibili della città, che appare come un organismo vivente, come specchio di chi la vive e di tante altre variabili, che ne modificano in itinere volto e conformazione. La città non è immobile, ma dinamica e in continua trasformazione. La città, giorno dopo giorno, cambia e si evolve. Molte delle città contemporanee, soprattutto europee, stanno attraversando la fase di de-urbanizzazione e protagonista è il fenomeno dell’urban sprawl, che, come già detto, è portatore di innumerevoli effetti negativi.

La sfida da sostenere oggi è proiettata verso politiche di riqualificazione dei territori già urbanizzati, così da incrementare la loro efficienza e capacità liberatoria del fabbisogno abitativo, senza dover ricorrere a nuovi consumi di suolo di altre zone esterne. L’obiettivo è ripartire dalle periferie già esistenti, senza costruirne altre, e far sì che quelle esistenti possano essere nuovi centri autosufficienti, e non spazi in cui ci si senta soli e «fuori». Le periferie dovranno poter essere nuovi centri, collegati al centro originario, perché solo l’interconnessione efficiente tra i vari centri sarà in grado di offrire benefici agli abitanti della città.

 

Francesco Sannicandro, già Dirigente Regione Puglia e Consulente Autorità di Bacino della Puglia

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