In città si muore d’aria

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Lo studio italiano Misa-2 ha stimato il numero di decessi (per tutte le cause naturali, per cause cardiovascolari e respiratorie) e di ricoveri ospedalieri (per cause cerebrovascolari e respiratorie) attribuibili a tale fenomeno, mettendo in evidenza che la mortalità risulta maggiore tra gli anziani e i neonati, l’impatto sanitario varia da città a città e in estate tutti gli inquinanti risultano più dannosi

Lo studio italiano Misa-2, coordinato da Annibale Biggeri, Università di Firenze, Pierantonio Bellini,Università di Padova e Benedetto Terracini, Università di Torino, si affianca ad altri studi europei e statunitensi dei quali condivide la metodologia pervenendo a risultati comparabili.
Un pool di esperti distribuito nelle 15 più grandi città italiane ha stimato il numero di decessi (per tutte le cause naturali, per cause cardiovascolari e respiratorie) e di ricoveri ospedalieri (per cause cerebrovascolari e respiratorie) attribuibili all’inquinamento atmosferico. Si è visto così che nel periodo in studio il PM10 (la componente dell’inquinamento atmosferico costituita di particelle con diametro inferiore a 10 micron) ha provocato circa 900 decessi in più all’anno. Anche gli inquinanti gassosi (biossido d’azoto, NO2 e monossido di carbonio, CO) provocano un gran numero di vittime: si sono contati ogni anno circa 2.000 morti in più attribuibili all’NO2 e 1.900 morti attribuibili al CO. Per quanto riguarda l’anidride solforosa (SO2), rispetto agli anni Novanta, si registra un dato positivo. La riduzione dell’uso del gasolio negli impianti di riscaldamento, infatti, ha contribuito a far diminuire la concentrazione di questo inquinante che, ora, in almeno sei città su 15, si è assestata al di sotto del limite di rilevabilità (5 mcg/m3).
«Qui però va fatta una precisazione – dice Bene-detto Terracini, direttore di Epi-demiologia & Prevenzione, uno dei coordinatori del MISA-2 – se si vuole comprendere il senso di queste stime. A rigore, infatti, questi inquinanti sono tutti espressione di un unico fenomeno più complesso, l’inquinamento atmosferico, e sono correlati tra loro (dove c’è un contaminante, spesso c’è anche l’altro) cosicché è impossibile scinderne gli effetti. In pratica, non si possono sommare i morti da PM10 con quelli da altri inquinanti, perché ognuno di essi è solo un indicatore degli effetti della contaminazione complessiva. Per questo motivo sono utili, ma non sono sufficienti, i provvedimenti tesi a ridurre i singoli componenti: l’inquinamento va ridotto nel suo complesso».
I risultati dello studio smentiscono, ancora una volta, che l’effetto negativo dell’inquinamento atmosferico si limiti all’anticipazione di pochi giorni del decesso di soggetti già fortemente compromessi. MISA-2 mostra un eccesso di morti statisticamente significativo che va ben al di là della semplice anticipazione di decessi che si sarebbero verificati comunque. L’aumento di mortalità cardiovascolare si manifesta entro i 4 giorni successivi al picco di inquinamento. L’aumento di mortalità per cause respiratorie si protrae per almeno 10 giorni.
Di inquinamento, dunque, si continua a morire. E per la prima volta in Italia sono stati studiati anche gli effetti dell’aria di città sulle fasce estreme di età (neonati e ultra ottantacinquenni). La relazione tra concentrazioni degli inquinanti e mortalità e ricoveri ospedalieri è risultata tendenzialmente maggiore tra gli anziani, in particolare tra i soggetti con più di 85 anni, e, per NO2 e CO, per i neonati fino a 24 mesi. Ciò non significa che gli effetti deleteri dell’inquinamento riguardino solo un sottoinsieme della popolazione, perché sono stati osservati rischi anche in quelle fasce giovani-adulte che si ritenevano meno suscettibili. Con una differenza, comunque: mentre nei più anziani l’inquinamento può uccidere, perché peggiora le condizioni di un fisico già debilitato, nei più piccoli gli effetti si manifestano appieno solo a lungo termine, con la comparsa di ulteriori malattie. «Ecco perché – come auspica Buggeri – gli effetti cronici degli inquinanti, andrebbero investigati con studi ad hoc, che oggi mancano del tutto».
Per la prima volta in Italia – spiega Buggeri -, lo studio MISA-2 ha potuto misurato direttamente gli effetti del PM10 presente nell’aria delle nostre città. «Negli studi precedenti si è misurato il particolato totale da cui si riusciva solo a inferire, grazie all’utilizzo di fattori di conversione, la concentrazione delle particelle con diametro inferiore ai dieci micron. Nello studio odierno siamo stati per la prima volta in grado di misurare direttamente la concentrazione delle particelle PM10. E abbiamo così potuto confermare che, tra le 15 città esaminate, quattro (Bologna, Genova, Milano e Tori-no) hanno superato il livello di 50 mcg/m3, sono quindi ben al di sopra del limite dei 20 mcg/m3 come media annuale stabilito dalle direttive europee che entreranno in vigore tra 5 anni».
A proposito di direttive: dai dati dello studio si ricava che, se in Italia il limite previsto dall’Unione europea (Direttiva UE 1999/30/CE, Direttiva UE 2002/3/CE) fosse già stato rispettato, si sarebbero potuti risparmiare tutti i morti in eccesso da PM10 (900) e due terzi dei morti da NO2 (1.400). Ma non basta: MISA-2 offre un’altra indicazione importante. I risultati mostrano che rispettare i limiti può non essere sufficiente: per il CO, infatti, siamo già al di sotto dei limiti previsti dall’UE. Nonostante ciò, di monossido di carbonio si continua ad ammalarsi e morire: se si fosse ridotta la media giornaliera delle concentrazioni di CO di un ulteriore mg/mc si sarebbero risparmiati più di 800 decessi annui.
MISA-2 mostra anche che l’impatto sanitario dell’inquinamento varia da città a città. Il carico di morti e ricoveri è maggiore nelle sedi in cui il traffico veicolare (specialmente da veicoli diesel) rappresenta la sorgente principale di particelle sospese (informazione che i ricercatori desumono dal calcolo del rapporto tra NO2/PM10). Inoltre, in estate tutti gli inquinanti risultano più dannosi. Perché? «Difficile dirlo con certezza. Questo fenomeno è stato rilevato in tutti gli studi americani ed europei sull’inquinamento atmosferico. E’ possibile che la temperatura elevata renda i singoli composti chimici più pericolosi e che d’estate nelle città rimangano le persone più deboli: anziani e malati. Infine, non va trascurato che tenendo le finestre aperte, ci si espone più a lungo agli inquinanti atmosferici esterni». Suggerimenti? «C’è solo una direzione sensata in cui muoversi – conclude Lorenzo Simonato, del-l’Università di Padova -. Occorre diminuire drasticamente il traffico nelle città affrontando la questione della mobilità urbana nel suo complesso. Sul fronte del-la ricerca, poi, occorre allestire una rete di monitoraggio che già nella fase di progettazione tenga conto della necessità di raccogliere dati per lo studio dei rapporti tra inquinanti e salute: non c’è ancora, infatti, una sinergia di intenti tra tutti coloro che si occupano di misurare e di studiare gli effetti sulla salute degli inquinanti ambientali. Inoltre, è necessario predisporre ricerche che analizzino gli effetti non più dei singoli inquinanti, ma della miscela che si respira ogni giorno. Perché il killer non è ancora stato identificato, e non è nemmeno detto che sia uno».
Va aggiunto infatti che il particolato è di per sé costituito di una miscela di composti azotati e solfatati, oltre a contenere residui carboniosi, metalli e idrocarburi policiclici: questo spiega la correlazione rilevata tra inquinanti diversi e complica ulteriormente le possibilità di identificare l’effetto preponderante di un singolo componente.
Insieme a molti altri soggetti, al progetto MISA partecipa anche Arpa Toscana. Per quanto riguarda l’Agenzia sono coinvolti due Dipartimenti provinciali (Firenze e Pisa ) per i dati ambientali sugli inquinanti dell’aria. Inoltre, il collega Daniele Grechi è responsabile del gruppo sulla valutazione dell’esposizione. Nel corso del 2005 è previsto uno specifico collegamento con lo studio Airpollnet Mortalità e morbosità attribuibile a inquinanti atmosferici chimici e naturali (pollini e spore fungine aerodi-sperse), finanziato dal ministero della Salute, a cui Arpa Toscana partecipa con la sezione di Agrobiologia del Dipartimento di Pistoia.

(Fonte Arpa Toscana)