Mastino abruzzese

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La fama di questa pacifica e preziosa «Arma Bianca» si è così diffusa in molte parti del mondo, facendolo impiegare dagli allevatori, anche negli Stati Uniti d’America e in Norvegia, come «mezzo più efficace di difesa» del bestiame domestico dagli attacchi dei predatori

Trent’anni fa, nelle montagne dell’Appennino la pastorizia stava languendo, e la razza dei magnifici cani da pastore abruzzesi rischiava di scomparire. Senza greggi di pecore, l’ambiente delle praterie d’altitudine subiva profondi cambiamenti, e il sapore dei buonissimi formaggi prodotti con il loro latte incominciava a dissolversi tra i ricordi del passato. Ne avrebbero risentito di riflesso anche molti animali selvatici, e soprattutto gli errabondi e instancabili lupi, di colpo privati della loro principale risorsa alimentare.
Primo obiettivo dei naturalisti fu correre al soccorso, lanciando nell’anno 1970 la cosiddetta «Operazione San Francesco» in difesa del Lupo appenninico, una razza mediterranea adattata da millenni a convivere con le antichissime attività agro-silvo-pastorali. Un animale splendido, fiero e maestoso, sempre temuto e perseguitato, spesso diffamato sulla scia delle favole di Cappuccetto Rosso e delle leggende del «lupo cattivo». Ma al tempo stesso anche simbolo dell’antica Roma capitale del mondo, ammirato e rispettato al punto da diventare una vera leggenda.
Un contrasto però affiorava subito: se si salvava il lupo, come avrebbero potuto sopravvivere le pecore sugli alti pascoli, dove la pastorizia transumante le faceva inerpicare ogni estate dalle pianure? Trovare una soluzione al dilemma sembrava impossibile, finché non si decise di puntare tutto su lui, sul possente Mastino abruzzese: la vera «arma bianca» capace di prevenire gli attacchi non solo dei lupi, ma anche degli orsi, dei cani randagi e degli altri predatori.
Il Mastino abruzzese costituisce infatti il mezzo più economico, efficace e pratico di difesa degli animali domestici: perché vivendo tra le pecore come un fratello, senza mai assumere gli atteggiamenti aggressivi degli adulti di altre razze canine, ma conservando il comportamento tranquillo dei giovani, ne diventa il custode più fiero e sicuro.
Grazie al fiuto e all’esperienza, avverte subito la presenza del pericolo e invia chiari segnali di minaccia ai potenziali nemici, dissuadendo ogni altro animale dall’avvicinarsi, e riuscendo quasi sempre a spaventarlo, bloccarlo e metterlo in fuga. Forte e robusto, inconfondibile per il folto mantello candido e per l’aspetto distinto, presenta uno spiccato dimorfismo tra il maschio imponente, e la femmina più piccola e gentile. Rustico e frugale, si accontenta di poco, ma è capace di dare molto al suo pastore e al suo gregge.
Protettivo e misurato, ma anche indipendente e coraggioso, apprezzato per i sensi sviluppati e la vigile attenzione, è il vero guardiano ideale perché difensivo e non aggressivo, né mai superficiale o millantatore.
Questa antica razza di cani da pastore, discendente da un ceppo giunto nel nostro continente migliaia di anni or sono dall’Asia al seguito dei pastori nomadi, frutto di lunga selezione genetica e di rigoroso addestramento, veniva già impiegata dai Sanniti molto prima dell’arrivo dei Romani. E già nel primo secolo dopo Cristo, l’autore del celebre Trattato sull’agricoltura Columella raccomandava: «il cane da pastore deve essere bianco affinché all’alba, quando il lupo aggredisce il gregge e il cane combatte in sua difesa, il pastore che accorre non abbia a colpire il cane anziché l’aggressore».

Ecco perché, accogliendo i suggerimenti dei più esperti pastori dell’Alto Sangro e della Valle del Sagittario, decidemmo di scommettere su di lui, e fu davvero l’idea vincente. Rilanciammo così il vero cane da pastore abruzzese, troppo spesso confuso con quello maremmano: che rappresenta però qualcosa di ben diverso, una razza simile nell’aspetto, ma dal pelo meno folto e dalle abitudini meno rustiche, più adatta a vivere nei giardini che tra le gelide vette rocciose.
Lanciato nell’anno 1997 nel Parco Nazionale d´Abruzzo, in occasione del 75° Compleanno della più antica e famosa area protetta d’Italia, il Progetto Arma Bianca avviò un selezionato allevamento dei migliori cani da guardia per le greggi. E i cuccioli venivano affidati ai pastori pronti a collaborare, rinverdendo le autentiche tradizioni d’Abruzzo. Il dilemma «impossibile» sembrava così risolto nel modo più semplice: la pacifica arma bianca difendeva le pecore, e assicurava un futuro anche al pastore, evitando la perdita degli straordinari formaggi di montagna dell’Appennino. Ma al tempo stesso, quasi per un paradosso, salvava dall’estinzione anche il lupo, che nessuno aveva più motivo di inseguire e sterminare, essendo assai più semplice e conveniente convincerlo ad allontanarsi e fuggire.

E lui, il lupo appenninico, riusciva egualmente a sopravvivere? Certo, ritrovando gli istinti atavici e seguendo le eterne leggi di natura, perché riprendeva l’inseguimento delle molte prede selvatiche, che nel frattempo avevano ripopolato silenziosamente valli e boschi. Perché le reintroduzioni di Caprioli e Cervi nell’Appennino Centrale, intraprese negli anni Settanta dal Parco Nazionale d’Abruzzo, avevano avuto pieno successo: e ora questi splendidi animali stavano sempre più diffondendosi nella penisola, con il risultato di ristabilire equilibri ecologici da troppo tempo turbati.
La fama di questa pacifica e preziosa «Arma Bianca» si è così diffusa in molte parti del mondo, facendolo impiegare dagli allevatori, anche negli Stati Uniti d’America, come «mezzo più efficace di difesa» del bestiame domestico dagli attacchi dei predatori. Persino dalla Norvegia, nell’anno 2000, una delegazione di allevatori della regione settentrionale di Lierne, al confine con la Svezia, ha voluto constatare direttamente la realtà dell’Appennino, decidendo poi di adottare il Mastino abruzzese. E ne è rimasta tanto soddisfatta, da decidere di allevarlo e diffonderlo, soprattutto nei propri comprensori naturali che sono stati protetti come Parchi Nazionali, sul modello di quello d’Abruzzo.