Un gruppo di nutrizionisti dell’Università di Giessen, in Germania, ha coniato nel 1986 il termine ecologia della nutrizione, per indicare una nuova scienza interdisciplinare che studia tutte le diverse componenti delle catene alimentare e ne analizza gli effetti secondo quattro aspetti: salute umana, ambiente, società ed economia.
Viene seguito passo passo tutto il procedimento della catena alimentare, dalla produzione al consumo, incluso lo smaltimento dei materiali di scarto delle varie fasi.
Questa nuova scienza si sta rivelando un efficace strumento per valutare la sostenibilità dei vari stili alimentari, e ha rivelato in maniera inopinabile che il consumo di carne bovina è il principale responsabile dell’impronta ecologica dei paesi sviluppati.
Il mercato dei prodotti di originale animale è ben quattro volte superiore al fabbisogno giudicato adeguato. L’allevamento dei quadrupedi ha subito un aumento del 60% dal 1961 ad oggi, e quello dei volatili del 25%.
L’allevamento di bovini nei paesi industrializzati, al momento non è né ecosostenibile né efficiente; per far aumentare di un Kg l’animale, sono necessari 11 Kg di vegetali, valore questo calcolato senza contare gli scarti di macellazione, che lo porterebbero a circa 15 Kg; la stessa cosa vale per le proteine: per produrre un Kg di proteine animali servono 16 Kg di proteine vegetali. L’inefficienza ecologica dell’allevamento di bovini abbraccia anche il consumo di acqua: per produrre 5 Kg di manzo è necessaria la stessa quantità di acqua che una famiglia media consuma in sei mesi; quantità di cui solo una porzione minima viene utilizzata per abbeverare l’animale, mentre il resto viene usate per irrigare i campi di allevamento e per la manutenzione del sistema.
Gli allevamenti intensivi sono una delle maggiori cause d’inquinamento, non solo per le notevoli emissioni di metano che le enormi quantità di deiezioni animali causano, ma anche per la deforestazione che li precede.
L’88% della foresta amazzonica è stata abbattuta per essere adibita a pascolo: dati del Centro internazionale dell’Ecologia della Nutrizione rivelano che nel 2003, la deforestazione è cresciuta del 40% rispetto all’anno precedente.
Nelle terre semiaride dell’Africa invece, i suoli sfruttati per l’allevamento di bovini che vengono poi esportati in Nord America e in Europa, nel giro di pochi anni si trasformano in terre completamente improduttive. Dati delle Nazioni Uniti indicano che il 70% delle terre ora adibite a pascolo sono in via di desertificazione.
Non solo la stragrande maggioranza delle terre nei paesi del sud del mondo vengono impiegate per il pascolo di bestiame di cui si nutrono i paesi del Nord, ma la maggior parte delle terre rimanenti, sono utilizzate per la coltivazione di mangime per gli animali d’allevamento.
Nella stessa Europa, il 77% dei cereali vengono prodotti non per il consumo umano, ma come mangime animale; e su scala mondiale, i due terzi delle terre fertili vengono utilizzare per lo stesso scopo. I paesi poveri del sud del Mondo in cui si soffre la fame, sono i principali esportatori di mangime: il Brasile, che conta 16milioni di persone che soffrono la fame, esporta ogni anno 16 tonnellate di mangime, che potrebbero facilmente risolvere il problema della malnutrizione interna se quelle stesse terre venissero coltivate per la consumazione umana.
La malnutrizione dei paesi poveri, causata da mancanza di cibo ed acqua, è quindi dovuta ad un sistema agricolo e di allevamento che comporta allo stesso tempo un altro tipo di malnutrizione in paesi ricchi, dovuta ad un eccesso di proteine e grassi animali.
La soluzione a questo paradosso alimentare ed economico è nelle mani dei singoli individui, nelle loro scelte quotidiane; diversi studi hanno dimostrate che un’alimentazione onnivora ha un impatto ambientale che è fino ad otto volte maggiore di quello di una alimentazione vegetariana. Consumiamo troppo carne ed il mondo non sarà in grado di supportare ancora a lungo la nostra ingordigia, semplicemente perché il passaggio da vegetale ad animale, intrinseco nel consumo di carne, è totalmente inefficiente da un punto di vista ecologico, oltre che proteico.