La nube islandese e il clima

462
Tempo di lettura: 2 minuti

Spenti i riflettori sui disagi immediati, si comincia a pensare a quegli aspetti che possono essere di lunga durata e avere, nello specifico, effetti rilevabili, ad esempio, sul sistema climatico

Il 14 Aprile 2010 aveva inizio l’eruzione del vulcano islandese Eyjafjallajökull. Come conseguenza della sua attività, lo stesso ha proiettato in atmosfera, ad una quota di 4/5 Km, una massa calda di polveri e gas. A peggiorare gli effetti, un nucleo di alta pressione al largo delle coste irlandesi che, associato ad una bassa pressione sulle Azzorre, componeva una configurazione della circolazione atmosferica nota, ai meteorologi, con il nome di blocco atlantico. Questa configurazione, contraddistinta da venti forti da nord sull’Europa, è in grado di mantenersi per diversi giorni. Ed è stato proprio questo blocco atlantico a trasportare rapidamente la nube di polvere verso l’Europa dove, aiutata da condizioni particolarmente favorevoli, si è dispersa rapidamente sul continente. Come già successo per altri eventi vulcanici di ampie dimensioni, l’eruzione, come effetto immediato, sta causando gravi danni al traffico aereo, danni soprattutto computati al denso traffico esistente nella zona colpita, zona di transito per la maggior parte delle rotte polari di collegamento tra l’Europa e l’America del nord.

Ma la situazione del traffico aereo sta progressivamente tornando alla normalità ed è ora che, spenti i riflettori sui disagi immediati, si comincia a pensare a quegli aspetti che possono essere di lunga durata e avere, nello specifico, effetti rilevabili, ad esempio, sul sistema climatico. E per fare questo, bisogna ritornare ad esaminare i materiali eruttati dal vulcano nel corso della sua attività.

Gli esperti dell’Enea, nello specifico, spiegano che l’anidride carbonica potrebbe portare l’aumento temporaneo dell’intensità dell’effetto serra, ma l’effetto di gran lunga più rilevante è quello delle polveri. Queste ultime, infatti, a seconda della consistenza e del tipo di eruzione, potrebbero creare uno strato di rivestimento esteso lungo tutta l’atmosfera terrestre. Questo potenziale strato funzionerebbe da schermo e da specchio per la radiazione solare provocando un rilevante riscaldamento della stratosfera (sopra la nube) anche di 0,5°C e un raffreddamento dei bassi strati dell’atmosfera (sotto la nube), con conseguente impatto sulla circolazione atmosferica.

Eruzioni storiche, come quella dell’Aprile del 1815 del Monte Tambora in Indonesia, provocarono un abbassamento così importante della temperatura da trasformare il 1816 in un anno senza estate. Quando l’eruzione terminerà, continuano i ricercatori, si potranno eseguire stime quantitative delle sue conseguenze sul sistema climatico. Non si tratterà comunque di un effetto permanente sulle tendenze che evidenziano un aumento costante delle temperature, ma di un evento circoscritto nel tempo la cui portata però è ancora da individuare.