Serve più economia responsabile

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Loretta Napoleoni: «L’Europa incapace di vera solidarietà nei momenti di crisi. È la nostra democrazia ad essere fallita, non solo l’economia». «In Italia troppo facile ottimismo»

È il tema delle economie responsabili ad aprire la settima edizione di Terra Futura, la mostra convegno internazionale delle buone pratiche di sostenibilità, alla Fortezza da Basso fino a domenica 30 maggio. In uno scenario di crisi mondiale è necessario ricostruire economie sane e responsabili. E per farlo si deve partire dal basso, guardare alle esperienze e ai nuovi modelli nati sui territori locali. È la strada che da tempo indicano i promotori di Terra Futura, Fondazione culturale Responsabilità Etica Onlus per il sistema Banca Etica, Regione Toscana e Adescoop-Agenzia dell’Economia Sociale, insieme ai partner Acli, Arci, Caritas Italiana, Cisl, Fiera delle Utopie Concrete e Legambiente. E lo ribadiscono  ancora una volta.

Ugo Biggeri, presidente di Banca Popolare Etica, aprendo i lavori di questa prima giornata ha detto: «Oggi il tema della responsabilità d’impresa non riguarda soltanto le multinazionali per cui la condizione è molto critica, ma anche le piccole imprese. Un segnale positivo è che in tante oggi si interrogano in merito alla responsabilità sociale d’impresa e alle conseguenze ambientali e sociali di comportamenti irresponsabili e insostenibili. Ma di fatto è un momento particolare rispetto a questi temi: quando il referente della responsabilità sociale d’impresa in un’azienda coincide con l’ufficio comunicazione o l’ufficio marketing è evidente che siamo di fronte a una contraddizione. Questo si chiama green washing non responsabilità sociale, e piega al marketing senza sostanza un bisogno sentito ormai da molti cittadini. La responsabilità sociale deve entrare piuttosto nelle aree gestionali della produzione e del commercio».

Deciso l’intervento diLoretta Napoleoni, economista, che ha evidenziato come oggi manchi la solidarietà, «elemento portante dell’economia». «E manca anche nell’Unione europea – ha insistito -. Il Dubai ha dato una grande lezione in tal senso: solo sette mesi fa aveva un debito pubblico 35mila miliardi che non riusciva a pagare, ma è stato però subito garantito e ristrutturato dall’emirato di Abu Dhabi. Adesso il Dubai è pronto a ritornare nel mercato internazionale dei capitali. Questo è un sintomo dell’invecchiamento della nostra democrazia, che è da riformare. Noi rischiamo di perdere l’Euro e l’Europa per appena 9mila miliardi di euro di debito. Nel 2008 avremmo dovuto capire che era necessario iniziare a pagare i debiti e quantomeno a ristrutturarli in solidarietà con l’Unione europea. Invece nessuno Stato è disposto ad aiutare gli altri: tutti concentrati nei propri interessi. E intanto si rischia lo sfascio come nel caso della Grecia. Bisogna muoversi subito, invece i politici europei si limitano a presentare politiche austere che di fatto danneggiano la ripresa nel lungo periodo».«L’economia è complessa e serve tempo – ha concluso – ma noi non ne abbiamo. Io personalmente sono pessimista, mentre in Italia si è eccessivamente ottimisti. È necessario essere realisti».

E rispetto alle difficoltà pesanti in cui versano da ormai due anni tante imprese, la Napoleoni ha commentato: «Il Governo sembra non potere dare aiuto, tende piuttosto a ridurre la spesa pubblica per soddisfare il mercato». E i nuovi modelli economici, quelli che si muovono su percorsi di sostenibilità e di responsabilità? «Il sistema di solidarietà, la banca etica, le cooperative, le imprese etiche potrebbero sopravvivere meglio delle altre perché hanno una rete di supporto, ma in questa rete ci sono poche imprese. Se avessimo sviluppato una rete regionale più fitta e solida dal 2008, con l’aiuto del Governo, la situazione sarebbe migliore. Il movimento solidale ed etico sa reggersi da solo e far fronte a momenti di grande difficoltà. Ma da solo non può fare miracoli».

«Non credo troppo nella responsabilità d’impresa – ha obiettato Susan George, presidente onorario di Attac Francia e membro della presidenza del Transnational Institute –. La questione prioritaria è piuttosto il pagamento delle tasse: questa è la prima forma di responsabilità da chiedere – ha aggiunto -. Le imprese transnazionali fanno falsi bilanci per non pagare quello che devono. La responsabilità sociale, poi, da sola non basta: è un intero sistema da convertire verso l’economia verde. E ancora le imprese devono essere responsabili insieme, capaci di social trade, come quelle 1.500 imprese di Porto Alegre, in Brasile, che hanno saputo far rete e sono reciprocamente fornitori e acquirenti».

È la Rete brasiliana di economia solidale «Solidarius», Euclides Andrè Mance, della Rete:«La finalità dell’economia è garantire i mezzi per il buen vivir, ossia il benessere delle persone, non è fare profitto: significa produrre, accumulare e ridistribuire valori per promuovere libertà. Se hai fame, non esisti per il mercato perché non hai denaro o non hai qualcosa da scambiare… Questo spiega la crisi di sovrapproduzione a fronte del miliardo e 20 milioni di persone che soffrono la fame. Produrre e distribuire è il percorso dell’economia solidale. Occorre fare rete tra organizzazioni di economia solidale per riorganizzare i flussi economici perché se non ci sono datori di lavoro né c’è sfruttamento il valore economico rimane accumulato, bisogna riorganizzare un?economia produttiva delle filiere produttive da parte delle economie solidale. Due assi sono fondamentali: l’espansione dell’economia solidale per riaggregare gli esclusi che non vogliono vivere nell’economia egemonica e l’equilibrio ecologico, perché la produzione dei mezzi che soddisfano il “ben vivere” va coniugata con il rispetto per l’ecosistema».

InfineLaura Pennacchi, economista e direttrice della scuola per la buona politica «Vivere la democrazia, costruire la sfera pubblica»,ha concluso:«Penso che la cosa più importante su cui interrogarci nella nuova fase della crisi in corso, che drammaticamente causa disoccupazione, sia non tanto la questione del come e del perché la finanza sia diventata il bene comune a cui gli Stati hanno dedicato tante risorse, perché questo era inevitabile per salvare il mondo dal collasso. Il punto invece è che dopo aver fatto questo intervento pubblico gli Stati ora dovrebbero creare crescita per affrontare la disoccupazione e per elevare il benessere generale (il nuovo bene comune). L’intervento pubblico dovrebbe ora avere obiettivi di crescita, di qualità, ma rinnovando modelli di consumo, stili di vita e responsabilità collettiva».

(Fonte Ikon Studio)