La storia americana è scritta nei cipressi

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Analizzando le cerchie annuali di alberi millenari, gli scienziati cercano di fare luce sulla storia delle civiltà precolombiane e si scoprono le siccità che hanno causato la caduta di popoli e la nascita di nuove civiltà

Che cosa sappiamo dei popoli che abitarono l’America prima dell’arrivo degli Europei? Risposta: poco. O meglio, abbiamo un quadro abbastanza generale, dovuto soprattutto alla scoperta degli edifici, degli strumenti e degli scritti che ci hanno lasciato, ma riguardo i luoghi e le difficoltà che dovettero superare per colonizzare quei territori, brancoliamo nel buio.

A differenza dei Romani, infatti, non ci hanno lasciato trattati di botanica o cronache degli eventi cui assistettero, per cui non possiamo sapere se si trovarono di fronte all’eruzione di un vulcano, a un maremoto o ad un’alluvione. Almeno fino ad oggi.

Gli scienziati dell’Arkansas, infatti, hanno intrapreso uno studio sul profilo dei tronchi della specie Taxodium mucronatum, i cipressi di Montezuma. Questi alberi, simbolo botanico del Messico, sono gli unici esemplari, insieme alle sequoie (Sequoia sempervirens) degli Stati Uniti, a superare i mille anni d’età. Per questo motivo è possibile ripercorrere in modo dettagliato la storia climatica del Centro America a partire dall’800 d.C., svelando dettagli ancora sconosciuti sulle grandi civiltà precolombiane.

Guardando il tronco di un albero tagliato, appaiono evidenti anelli concentrici, detti cerchie annuali, che rappresentano la successione dei canali attraverso cui la linfa scorre dalle radici verso le foglie più alte. Nuovi canali (in gergo, tubi xilematici) vengono deposti ogni anno a seguito di un processo detto cavitazione: durante il pompaggio della linfa, infatti, si formano bolle d’aria che ne ostruiscono il passaggio e per questo la pianta produce nuovi dotti, aumentando il diametro del fusto. Le dimensioni dei canali sono una conseguenza dell’ambiente e delle condizioni climatiche: quando c’è molta acqua nel suolo, l’albero aspira a pieno ritmo e per questo i tubi xilematici sono di grandi dimensioni; nei periodi di siccità, invece, si riduce la quantità di liquidi aspirati e per questo i canali sono più sottili.

Partendo da queste considerazioni, il gruppo di lavoro coordinato da David Stahle ha ripercorso a ritroso la storia e ha individuato 4 lunghi periodi di siccità che hanno condizionato lo sviluppo delle piante, ma soprattutto delle società che abitavano queste terre. I risultati preliminari sono stati pubblicati sul «Geophysical Research Letters», giornale dell’American Geophysical Union ed hanno fatto emergere particolari interessanti.

Nel periodo 1149-1167 d.C. la cosiddetta MesoAmerica subì la prima grande siccità che portò ad una perdita ingente dei raccolti di mais e causò la scomparsa dell’impero Toltec, prima grande società guerriera che ha lasciato reperti.

Le successive due stagioni di aridità, invece, sono da ricollegare all’ascesa degli Aztechi, popolo che intorno alla capitale Tenochtitlan costruì un vasto impero militare, e alla sua successiva caduta, condizionata dalla diffusione di malattie portate dai Conquistadores europei.

Dall’analisi dei tronchi e dei detriti di fondale dei laghi del Messico e dei Caraibi, infine, è emerso che un lungo periodo senza piogge causò anche la scomparsa dei Maya, civiltà del Centro America precedente all’anno 1000.

I dati ottenuti dall’analisi dendrologica sono per ora parziali, ma offrono comunque un quadro d’insieme superiore a ciò che si conosceva perché fin ad ora erano stati studiati alberi di quattrocento anni al massimo. Applicando questi stessi metodi in altre realtà, si potrà in futuro fare luce su aspetti nuovi che, magari, mai nessun dipinto, scritto o strumento avrebbe potuto far emergere.