«Microplastica» dalle lavatrici al mare e… nel cibo

420
Tempo di lettura: 2 minuti

Individuata in tutto il mondo una nuova forma di inquinamento le cui conseguenze sulla salute non sono ancora ben note. Ogni singolo capo di biancheria produce in ogni lavaggio circa 1.900 microfibre, costituite da poliesteri e da materiale acrilico, che si frantumano in altrettante microparticelle

Un gruppo di scienziati irlandesi, britannici ed australiani, ha pubblicato in preview on-line sul «Journal of Environmental Science & Technology» (doi: 10.1021/es201811s) i risultati di una ricerca che ha interessato le spiagge di 18 aree costiere, di tutti i continenti dal polo all’equatore, dove è stato osservato un fenomeno di accumulo di microscopiche particelle di plastica delle dimensioni inferiori al millimetro. Queste microparticelle si trovano depositate in tutte le spiagge esaminate nelle diverse parti del mondo, indipendentemente dalla latitudine, ma gli accumuli maggiori si trovano nelle vicinanze di aree densamente popolate. Le acque e gli oceani vengono così inquinati da questa «microplastica», costituita da poliesteri e da materiali acrilici. L’analisi della composizione chimica e delle proporzioni relative fra due differenti tipi di microparticelle rilevate, ha portato alla conclusione che questo tipo di inquinamento marino è causato dalle microfibre della comune biancheria e dagli indumenti normalmente usati dalla popolazione.

I ricercatori hanno, così, scoperto che le responsabili di questo inquinamento sono le comuni lavatrici domestiche, che convogliano le microparticelle nelle acque di scarico. Date le loro piccole dimensioni questi nuovi inquinanti riescono ad arrivare facilmente al mare, superando perfino i sistemi di depurazione delle acque reflue urbane. Un esperimento compiuto su un lavaggio di indumenti ha dimostrato che ogni singolo capo di biancheria produce in ogni lavaggio circa 1.900 microfibre, costituite da poliesteri e da materiale acrilico, che si frantumano in altrettante microparticelle.

L’accumulo di questo microscopico materiale di plastica lungo le spiagge ha raggiunto in alcune aree costiere livelli tali da costituire ormai un rischio per la salute umana, oltre che per gli equilibri ambientali marino costieri e per gli ecosistemi pelagici. Queste microparticelle, infatti, entrano facilmente nella catena alimentare, poiché vengono ingerite da pesci e da altri organismi marini, si accumulano sempre di più nel corpo degli animali lungo la catena trofica e finiscono poi nel piatto di chi si nutre di pesce o di altri prodotti ittici.

Gli scienziati raccomandano di prevenire l’intensificazione di questo fenomeno di inquinamento marino dotando le lavatrici di sistemi di filtraggio idonei per impedire che tali microparticelle finiscano nelle acque di scarico e adeguando i sistemi di depurazione delle acque reflue con sistemi capaci di eliminare le microscopiche particelle in sospensione.

«Non sono ancora ben conosciuti gli effetti tossicologici di queste microparticelle e più in generale di micro e nanoparticelle che possono essere inalate o ingerite – ha affermato Francesca Pacchierotti esperta di tossicologia dell’Enea – siamo davanti ad un nuovo tipo di inquinamento, un problema che diventerà sempre più serio in futuro. Per questo l’Enea, nel suo ruolo di Agenzia per lo sviluppo economico sostenibile, in linea con la comunità scientifica mondiale e con l’Unione europea, ha già avviato studi e ricerche sull’interazione dei micro e nanomateriali con le cellule e gli organismi viventi, per capire i processi tossicologici e valutare le conseguenze sulla salute umana».

(Fonte Enea-Eai)