Il senso del conoscere le cose

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Siamo passati nel corso della seconda metà del ventesimo secolo dal parlare dei «bisogni» da soddisfare, al distruggere sempre più risorse per far crescere «consumi» non obbligati e non necessari, per arrivare fino ad immaginare di poter «fare soldi con i soldi» scommettendo anche sulla distruzione di intere economie e sistemi sociali.

Qui, allora, non si tratta più di un semplice riportare in equilibrio l’attuale sistema di mercato, ma di ricostruire un mercato che consenta una ridistribuzione delle risorse e non solo di quelle materiali. Non si tratta di rivendicare diritti e doveri di due o più controparti, ormai inesistenti per la totale occupazione, da parte dell’economia finanziarizzata, di ogni presidio ed equilibrio delle strutture delle società umane. In particolare, un riequilibrio fra le classi tradizionali del nostro recente passato (imprenditori, borghesi, intellettuali, operai) non è più possibile per la profonda mutazione, e non solo economica, di una struttura sociale ormai tutta sottomessa alle prepotenze del mondo della finanza.

In nome di un risanamento economico-finanziario delle Nazioni si rischia (come è già avvenuto) di affidare agli stessi sistemi che provocano le crisi, le speculazioni, le bolle finanziarie… la risoluzione dei problemi che essi stessi creano. È una soluzione paradossale che deve far meditare sulla sfrontatezza con la quale agisce l’industria finanziaria. Dovremmo quindi parlare della necessità di un cambiamento epocale, quello che non ha fatto Obama negli Usa, quello che non ha fatto la Bce in Ue, quello che non conviene fare neanche ai paesi emergenti o recentemente emersi (ma che domani saranno le prossime vittime), quello che non conviene fare ad intere nazioni che da produrre beni e servizi sono passati a fare finanza, a produrre cioè soldi con i soldi e forse a favorire il caos finanziario e non solo quello drammatico di questi ultimi nostri giorni.

Dunque, oggi, è essenziale ed urgente un cambiamento che richiede però un nostro smisurato impegno perché, pur se le vecchie ideologie sono cadute, il pensiero unico economico-finanziario ne ha costruita una nuova, infida e globale: è una ideologia che sottomette ogni attività; che manipola prodotti immateriali (che mettono a rischio anche i risparmi di una vita), costruiti non si sa da chi e dove. Prodotti «tossici» che, pur se nessuno è obbligato ad acquistare, vengono acquistati da sprovveduti di ogni genere, ma anche da trader e da società che applicano sofisticate strategie per trasformare previsti e attesi disastri finanziari di altri (forse anche incentivati da deviate valutazioni diffuse da società di rating) in proprie sproporzionate ricchezze.

Una strategia che poi richiederà inesorabili risanamenti e tutti si troveranno, così, a pagare, di tasca propria, i danni economici e sociali prodotti. È una ideologia che, sostanzialmente, promuove, con i disastri finanziari e i demenziali sogni di una ricchezza senza lavoro, il sonno della ragione e incubi fino a farcene morire, se non anche fisicamente, sicuramente sul piano della nostra dignità e desiderio di conoscere, di acquisire consapevolezze, di assumere responsabilità e di esprimere valori e qualità di vita in sintonia con gli equilibri naturali.

Eppure, se si fanno quattro conti, tutti non impiegherebbero molto tempo per riconoscere il ruolo nel quale, loro stessi, sono stati confinati e quali comportamenti e modi di pensare sarebbe, invece, giusto attivare per assumere responsabilità dirette (nella gestione intenzionale di progetti di vita autonoma e di risposte attese dalle proprie vocazioni e dalle personali relazioni sociali) e per sottrarsi alle prepotenze di una globalizzazione costruita dal potere finanziario.

Diventa, così, evidente che se si vuole puntare sul cambiamento (che non sia un’inutile e forse anche sanguinosa rivoluzione), dobbiamo pensare in termini di «transizione». Abbiamo bisogno di un «tempo» per cambiare, tutti insieme e senza deleghe, i «fondamentali» umani delle società a partire dalle consapevolezze, dalle responsabilità, dalle conoscenze, dalla cultura, dalle relazioni sinergiche, per arrivare, poi, a comprendere anche quei segni della natura che sotto molti aspetti vanno letti come un libretto di istruzioni (su come «funziona» il mondo e la nostra intelligenza) utile per metterci in sintonia con equilibri vitali che sicuramente fornirebbero risultati migliori di qualsiasi progetto consumistico di «uso e abuso» del mondo.