L’agonia della Natura, l’agonia dell’uomo

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I problemi del pianeta non si risolvono inventando nuove voci per camuffare antichi mestieri facendoli passare per nuovi mestieri. Va allargato l’orizzonte scientifico per non dare tutta la croce dei cambiamenti all’antropizzazione

Le generazioni nate negli anni della seconda guerra mondiale e successivamente negli anni 50 e 60 del secolo scorso, hanno vissuto il grande terrore psicologico della guerra fredda che avrebbe potuto sfociare nella guerra atomica. Nacque così la generazione «beat» e ci furono gli anni delle canzoni apocalittiche di Gianni Morandi, del «ra-ta-ta» del giovane cantante Gipsy costretto ad andare in guerra in Vietnam. Queste generazioni provate dalla guerra fredda e dalla guerra psicologia di quei tempi non possono, attualmente, avere paura del dilagante senso di spavento presente nei giovani, creato dalla propaganda della emergenza dello «spread», della guerra economica imposta dagli speculatori finanziari internazionali e da alcune manovre di politica economica tedesca. Al momento questa guerra economica ha prodotto danni economici paragonabili a quelle della seconda guerra mondiale.

In questo tipo di ecologia di pensiero si collocano i vari tentativi dei moderni movimenti ecologici tedeschi apparentemente straripanti ma, in fondo, semplicemente conservativi, alla stessa stregua dei movimenti ecologici dei verdi e del tipo della Legambiente e degli Amici della Terra.

Periodicamente, negli ultimi due secoli, i tedeschi tornano all’attacco per tentare di governare economicamente i popoli europei e, al limite, il popolo mondiale. Normalmente il periodo di accadimento di tali situazioni di psicologia tedesca si aggira attorno a 30 anni. Questa volta invece il periodo si è allungato parecchio: siamo a quasi 70 anni. Meno male!

In fondo anche loro dimostrano di avere paura delle guerre atomiche e quelle moderne di natura biologica e chimica!

Frattanto la Natura, almeno quella terrestre, viene assoggettata a tutta una serie di sollecitazioni ambientali provenienti da attività solari anomali: flares e onde di calore che attraversano facilmente la distanza sole-terra.

Così la parte centrale della terra, il nucleo, subisce una serie di bombardamenti di particelle del tipo neutrini provenienti dai flares solari che, assieme con minime variazioni di campi gravitazionali, innescano fenomeni termodinamici di innalzamento di temperatura interna e sommovimenti di magma che, propagandosi con onde di vibrazioni primarie e secondarie, in qualche maniera, provocano perturbazioni varie che arrivano agli strati alti della crosta terrestre provocando terremoti e tsunami.

La fenomenologia della nascita degli accadimenti sismici è quindi molto più complessa del pensiero sul riscaldamento globale e sull’inquinamento legato alla crescita dell’anidride carbonica CO2. Non si può negare la esistenza di una componente antropica al riscaldamento globale negli ultimi 60-70 anni, ma che questa componente sia la più importante o la unica a produrre l’effetto serra e l’inquinamento è una favoletta per bambini come lo è la favoletta (fatta notare da Franco Battaglia) che racconta la Rachel Carson sulla «Primavera Silenziosa» (1962) oppure sugli effetti catastrofici e deleteri che l’uomo produrrebbe alla madre Terra sino, eventualmente, a distruggerla completamente (vedi caso Ddt e ripresa di effetti di malaria, gli Ogm ecc.).

Invece se si accettasse che la causa primaria dei mali del nostro Pianeta Terra, sia prodotta da cause esterne come i vari «flares» solari e altre attività solari e, in genere, attività del sistema solare, allora non si potrebbe, a maggiore ragione, credere che la componente umana sia, davvero, la componente che provocherebbe l’Agonia della Natura.

Questa visione nuova che fa risalire le catastrofi terrestri a fenomeni fisici incontrollabili che si verificano al centro della Terra a causa di fenomeni fisici nel Sole consente di rendersi conto di parecchi fenomeni strani e soprattutto di ridurre l’effetto serra non solo all’aumento di anidride carbonica CO2. In questo contesto si è sviluppata la nuova moda della «green economy». Questi ecologi dal pensiero facile hanno inventato questa espressione per coprire la necessità della propensione moderna ad imporre il risparmio. Dietro questa espressione si cela la falsa conoscenza che viene amplificata, osannata, santificata come la panacea che tutto risolve e che farà uscire il popolo dalle secche della crisi economica ed energetica.

La pratica del risparmio era parte integrante della vita di campagna, della vita contadina: le espressioni del tipo «green economy» sono solo forme che vengono impiegate per fare finta di essere «chic» o «à la page». Pseudo intellettuali che hanno bisogno di dimostrare che conoscono un po’ di lingua inglese, oppure che menano vita internazionale, si riempiono la bocca con la «green economy»: la economia verde o economia del risparmio. A Trastevere, qualche intellettuale moderno, invece, usa tradurre la nuova espressione con «economia al verde» ossia una nuova sorta di economica della povertà che sta per arrivare senza alcuna possibilità di intervenire anche in termini di pronto soccorso. Questa nuova economia si prefigge di raggiungere il bilancio contabile con la inclusione delle esternalità sociali e ambientali, e quindi degli attivi e passivi contabili.

Invece, la storia ci insegna che le componenti antropiche che l’uomo moderno deve temere sono state, sono e saranno sempre le componenti classiche del malpasso dell’Umanità: le guerre, le carestie e le epidemie. Questi vecchi concetti sono ormai conditi con i temi della minaccia climatica, delle migrazioni, della sicurezza alimentare e quella idrica. I nuovi movimenti ecologici mondiali, a cominciare da Rio+20, devono adesso affrontare nuove sfide indotte da culture pseudo-ambientaliste superficiali, che creano falsi lavori «verdi», che credono nelle favolette della «green economy» che qualcuno invece denomina «greed economy» ossia economia avida di risorse che spreca in nome del risparmio. Anche in questo caso, sembra che questa tipologia di nuovi economisti si sia completamente dimenticata dell’antica vera cultura contadina rurale che non sempre, anzi quasi mai, si identifica con quella della Confagricoltura e dei suoi interessi. Purtroppo, il solo pensiero che ci sia gente convinta che ormai l’agricoltura sia un sottosistema del petrolchimico è tipica forma di follia da superpotere che fa accapponare la pelle.

La vera cultura contadina antica, che lo stesso Galileo amava e rispettava come risulta dai suoi scritti, non condivide queste nuove istanze di «green economy» che si inventa con nuove voci, antichi mestieri facendoli passare per nuovi mestieri.

In questa visione la via dello sviluppo, dell’equa distribuzione della ricchezza continua ad essere lastricata di sangue del popolo e non si radica nella vera realtà italiana ma, soprattutto, anche in tutto il Pianeta Terra.

 

Giuseppe Quartieri, Presidente del Comitato scientifico dei Circoli dell’Ambiente e della Cultura Rurale