Darfur, genocidio e disastri

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Il governo sudanese, pur negando ufficialmente di sostenere i Janjawid, ha fornito loro armi e assistenza in più di un’occasione e ha partecipato concretamente ad attacchi congiunti rivolti contro i gruppi etnici Fur, Zaghawa e Masalit. Come se tutto questo non fosse già abbastanza ieri è venuta giù una miniera d’oro nel cuore del deserto sudanese. Sessanta le vittime per ora accertate, ma sicuramente superiore risulterà il numero finale dei morti

Una terra disgraziata il Darfur: il conflitto armato che interessa questo territorio (conosciuto anche come il «genocidio del Darfur») è attualmente ancora in corso, sebbene viga una tregua.
Questa regione è situata nell’ovest del Sudan, Stato dell’Africa subsahariana delimitato da Ciad, Egitto, Etiopia, Libia, Repubblica Democratica del Congo, Uganda, Repubblica Centroafricana e Kenya.
Il sanguinoso scontro, iniziato nel febbraio del 2003, vede contrapposti i Janjawid (letteralmente «demoni a cavallo»), un gruppo di miliziani arabi reclutati fra i membri delle locali tribù nomadi dei Baggara, e la popolazione non Baggara della regione, principalmente composta da tribù dedite alla lavorazione della terra.
Il governo sudanese, pur negando ufficialmente di sostenere i Janjawid, ha fornito loro armi e assistenza in più di un’occasione e ha partecipato concretamente ad attacchi congiunti rivolti contro i gruppi etnici Fur, Zaghawa e Masalit.
L’unico obiettivo: sterminio progressivo e sistematico a sfondo razziale.

Come se tutto questo non fosse già abbastanza, ecco che la natura infierisce ulteriormente laddove la disperazione di un popolo già assume toni di tragedia umanitaria: ieri è venuta giù una miniera d’oro nel cuore del deserto sudanese, proprio nella zona del Darfur. Sessanta le vittime per ora accertate, ma sicuramente superiore risulterà il numero finale dei morti.
I soccorritori continuano a cercare, a mani nude. Da escludere a priori l’ausilio di braccia meccaniche che potrebbero solo aggravare la già traballante condizione della terra circostante.
Il rischio di nuovi cedimenti del terreno è difatti elevatissimo: le miniere limitrofe al luogo dell’incidente potrebbero anche loro venire giù come carta pesta, innescando una vera e propria reazione a catena dai risvolti drammatici.

L’identità delle vittime non è ancora nota e sicuramente resterà anonima: nessuno conosce i nomi di chi lavora nelle miniere sudanesi, perché molte di queste sono state aperte senza licenza.
Tutto questo con la complicità delle istituzioni governative, loro stesse colpevoli di aver dilatato in maniera esponenziale la richiesta di oro.
Il Sudan necessita difatti di una valida alternativa al greggio, dopo la separazione dal sud del Sudan, uno dei principali estrattori e produttori di oro nero dell’intera Africa.
Oro in cambio di vite umane.
Un po’ come per i diamanti insanguinati della Sierra Leone.