Curarsi sì ma… «Slowmedicine»

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Una medicina più «slow» e più sobria, più rispettosa ed in fin dei conti più giusta nei confronti di chi sta male, in opposizione (o in completamento) ad un modello di medicina «fast», più tecnologica e strumentale ma percepita e vissuta come una sorta di piccola (o grande violenza) verso il corpo e la mente di chi si trova a vivere l’esperienza a volte traumatizzante della perdita del benessere fisico o emozionale

Una medicina che sia troppo aggressiva, troppo medicalizzata, troppo farmacologica, con tempi e modi poco rispettosi dell’integrità psicofisica del paziente, che sia poco propensa al dialogo col malato e che si fidi eccessivamente degli algoritmi diagnostico terapeutici proposti da linee guida non sempre ispirate al buon senso ed alla ragionevolezza. È quella che sempre meno piace ai tanti che invece vorrebbero un rapporto più gratificante e colloquiale col medico, per raccontarsi e raccontare, individuando ragioni spesso nascoste dei propri malesseri e scegliendo terapie più a misura d’uomo, meno meccanicamente legate alle possibilità di guarigione legate all’ultimo avveniristico esame, ad una pillola, ad una iniezione, ad uno sciroppo.
Una medicina più «slow» e più sobria, più rispettosa ed in fin dei conti più giusta nei confronti di chi sta male, in opposizione (o in completamento) ad un modello di medicina «fast», più tecnologica e strumentale ma percepita e vissuta come una sorta di piccola (o grande violenza) verso il corpo e la mente di chi si trova a vivere l’esperienza a volte traumatizzante della perdita del benessere fisico o emozionale.
È la scommessa che ha animato gli ideatori di «Slow medicine», un’esperienza che, anche nel nome, non vuole affatto nascondere il fatto di discendere in qualche modo dall’approccio complessivo alla vita ed all’alimentazione di «Slow food» che tanti proseliti e tanta autorevolezza ha conquistato in ogni parte del mondo proprio partendo dal nostro Paese.
Slowmedicine (www.slowmedicine.it) è innanzitutto una rete, un luogo d’incontro (reale e virtuale) di un gruppo sempre più ampio di professionisti della salute e di operatori nel campo della sanità (ma anche di semplici interessati al tema) che pur partendo da esperienze diverse fra loro negli ultimi trent’anni hanno ritenuto di dar vita ad un vero e proprio progetto condiviso che analizzi le criticità del sistema salute, così come lo viviamo oggi, per proporre un approccio complessivo ed un ventaglio di soluzioni che cerchino di stare più all’interno di una visione «dolce» della vita e della medicina. Ridurre i costi della sanità, migliorarne le performance, eliminarne gli sprechi, favorire l’appropriatezza gestionale è possibile, secondo Slowmedicine, dando (e dandosi) come parole guida e come filosofia comportamentale quelle della sobrietà, del rispetto e della giustizia.
Ma cosa significa in pratica tutto questo e che senso e che portata possono avere queste parole nell’esperienza sanitaria quotidiana sia di operatori sia di cittadini-pazienti?
L’assunto di partenza è quello che una medicina di buona qualità non può non tener conto del rispetto verso chi soffre e delle sue aspettative anche emotive. Che una medicina di alta qualità non deve essere né sentirsi nevrotizzata dall’idea che «fare di più significhi fare meglio» perché uno dei limiti dell’approccio odierno alla condizione della perdita di salute è rappresentato proprio dal convincimento che velocità, tecnologia, automatismi medico scientifici e costi non sempre appropriati (insieme a cure non infrequentemente irragionevoli) possano risolvere ogni problema.
Una medicina più giusta, più sobria, più rispettosa si pone il problema dell’uguaglianza sostanziale per tutti i cittadini nei confronti dell’accesso alle cure, si preoccupa della necessità di una comunicazione efficiente con il malato e la sua famiglia, supera la frammentarietà del sistema sanitario ed opera in una logica di squadra in cui il malato non viene più visto come corpo da guarire bensì come persona di cui prendersi cura. Il tutto in modo «Slow» che non significa, ovviamente e banalmente mancanza di attivismo, quanto necessità di riflessione e ponderazione, così da darsi tempo e modo per comprendere se ciò che si sta facendo vada veramente nella direzione della difesa dei diritti e della salute dei malati.
Bisognerà pur cominciare a riflettere sul fatto che (dati pubblicati dall’autorevole Clinical Evidence Handbook) ben il 51% delle prestazioni sanitarie proposte ed effettuate risultino alla fine inutili (ed il 3% addirittura dannoso), o che alcuni approcci di screening siano così contestati per la loro sostanziale inutilità che alcuni Stati abbiano deciso di rinunciarvi, o che i parametri di riferimento di alcune malattie (si pensi ai valori di presunta normalità della pressione arteriosa o quelli massimi consentiti della colesterolemia) subiscano regolarmente modificazioni anche sostanziali spingendo tutti, medici e pazienti, ad uno sfibrante approccio tecnicistico e laboratoristico quando invece la ragione direbbe ben altro ed approfondirebbe maggiormente stili di vita ed elementi di rischio.
È quello che su altri versanti continua a ripetere «Choosing Wisely», l’organismo internazionale che si preoccupa dell’abuso degli esami e dei trattamenti inutili e di cui più volte ci siamo interessati anche noi nelle pagine di «Villaggio Globale» a proposito della ginecologia, del cesareo  e della buona medicina, e che non a caso è uno dei grandi riferimenti scientifici di Slowmedicine.
Infine il grande riferimento all’ambiente ad alle sue modificazioni: non si potrà vivere in buona salute all’interno di un ecosistema malato e sarà sempre illusorio fornire risposte parziali (ancorché sempre più tecnologizzate) ad una perdita di benessere che provenga da una scomparsa di equilibri nel e col mondo circostante.
Una bella sfida al nostro comune e consueto modo di pensare e di agire, in campo medico e sanitario. Una sfida che non solo ha senso e ragione d’essere ma che è l’unica strada per consentirci di riacquistare un rapporto più equilibrato sia col nostro corpo e con la nostra salute sia con i professionisti che si occupano di gestirne le fasi critiche. Probabilmente, ed ancora una volta, essere ragionevolmente slow porterà a risultati migliori che inseguire una nevrotica medicina da videogames.

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