I danni dei Pfas e i ritardi della scienza

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Intervista al professor Carlo Foresta, Ordinario di endocrinologia presso l’Università degli Studi di Padova. «Nelle popolazioni già esposte per molto tempo ai Pfas, data l’elevata durabilità di queste sostanze, è fondamentale attuare interventi sanitari mirati ad eliminare queste sostanze dal sangue, ma ad oggi non sono ancora disponibili interventi terapeutici mirati e riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale»

I Pfas interferiscono con la vitamina D favorendo lo sviluppo dell’osteoporosi. Sono queste le conclusioni venuti fuori da una indagine condotta su oltre cento giovani e i cui risultati, presentati durante un convegno avvenuto a Padova e presieduto dal professor Carlo Foresta, sono stati pubblicati sulla rivista scientifica «Endocrine». Si tratta di una forma diffusa di inquinamento che pare interferisca anche con la fertilità e che poteva essere evitata da anni.

L’80% della popolazione italiana è carente di vitamina D e sono sempre più evidenti e note le ricadute di questa deficienza non solo come causa della osteoporosi, ma come fattore che associa molte patologie come malattie degenerative, come l’alzheimer, il parkinson, le patologie polmonari e il diabete. La vitamina D, inoltre, per l’80% si forma attraverso l’esposizione al sole ed è contraddittorio che nei paesi mediterranei come l’Italia e la Spagna si sia verificata una condizione generalizzata di ipovitaminosi D.

Abbiamo voluto porre alcune domande al professor Carlo Foresta, Ordinario di endocrinologia presso l’Università degli Studi di Padova.

Come i gli inquinanti ambientali, i Pfas, interferiscono con il recettore della vitamina D? Quali i risultati scientifici derivanti dalle ricerche?

I risultati che hanno dimostrato un’interferenza dei Pfas a livello del recettore della vitamina D sono stati ottenuti attraverso diversi approcci sperimentali. In prima analisi è stata calcolata attraverso strumenti bioinformatici la possibilità di legame e la sua forza tra Pfas e il recettore stesso, mostrando una affinità solo di poco inferiore a quella della vitamina D stessa. Successivamente abbiamo valutato se questa interferenza si traducesse anche in una alterata funzionalità della vitamina D e del suo recettore. Un bersaglio tipico della vitamina è lo scheletro e abbiamo pertanto riscontrato come i Pfas riducano l’espressione di alcuni geni normalmente attivati dalla vitamina D e che sono fondamentali nella funzionalità degli osteoblasti. A questo punto abbiamo verificato se le cellule scheletriche mostrassero anche alterazioni strutturali in risposta ai Pfas, e abbiamo osservato una ridotta mineralizzazione, fondamentale per lo sviluppo della massa ossea e normalmente indotta dalla vitamina D.

Quali le ripercussioni sociali di tale interferenza?

Questa attività di interferenza endocrina ha importanti ripercussioni sanitarie, più che sociali. Abbiamo già avuto modo di verificare che nei soggetti della zona rossa il paratormone, ormone fondamentale nel rimodellamento osseo e nell’omeostasi del calcio e coinvolto nella regolazione della vitamina D, risulta infatti aumentato, suggerendo conseguenze cliniche a livello scheletrico nelle popolazioni esposte. Difatti uno studio appena pubblicato dal nostro gruppo di ricerca riporta come in giovani uomini tra i 18 e i 22 anni residenti nella zona rossa vi sia una significativa riduzione della densità minerale ossea, con conseguente aumentato rischio di sviluppare osteoporosi, nonostante la giovane età.

Quali gli strumenti di difesa suggeriti dalla medicina?

Gli strumenti di difesa sono innanzitutto preventivi, mirati a ridurre il più possibile il rischio di esposizione della popolazione a queste sostanze. Nelle popolazioni già esposte per molto tempo ai Pfas, data l’elevata durabilità di queste sostanze, è invece fondamentale attuare interventi sanitari mirati ad eliminare queste sostanze dal sangue, ma ad oggi non sono ancora disponibili interventi terapeutici mirati e riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale.

Elsa Sciancalepore