E c’è chi punta ad un «cambiamento di fatto»

2183
Fondazione buone pratiche
Tempo di lettura: 6 minuti

Intervista a Massimo Blonda. La Fondazione di partecipazione delle Buone pratiche continua il suo cammino puntando fuori dalla mischia e dalla confusione dialettica soltanto a pratiche, azioni che siano ripetitive offrendo alla comunità gli esempi di chi è riuscito a realizzarle e promette una nuova etichetta su azioni antropiche

Arrivano dal pianeta sempre più scricchiolii sinistri. Non c’è settore che non ne sia coinvolto, anche se le grandi lobby hanno speso tutte le loro forze (e ancora lo fanno) a tenere divise le diverse realtà: una trappola in cui sono cadute le forze politiche sempre più prigioniere dei signori dell’economia. Come se un fiume, l’aria o un animale conoscessero i confini politici dell’uomo…

Ma come è sempre accaduto nella storia, mentre il potere, tronfio della sua presunta forza, procede sulla sua strada pensando di dominare popolazione, eventi e il pianeta intero, la cultura, quella vera, erode con le conoscenze e il buon senso, tutta una serie di posizioni di potere.

I fossili e le rinnovabili

Appena qualche anno fa coloro che volevano puntare alle energie alternative erano derisi e la lotta dei signori del fossile è stata titanica. Ma ora, di fronte agli scricchiolii del clima, della biodiversità, della salute stessa degli uomini, e anche dell’economia che traballa sotto i colpi degli eventi estremi e di leggi sempre più pressanti che fanno saltare gli equilibri della globalizzazione… ogni resistenza è destinata ad essere irrisa ed ignorata.

Chi l’avrebbe detto, appena qualche anno fa, che oggi avremmo visto circolare auto elettriche? Vedere soccombere la plastica? Mettere in discussione, concretamente, lo strapotere delle multinazionali?

Segnali ce ne sono stati ma venivano abilmente circoscritti, complice una diffusa ignoranza esistente o creata…

Nuovi stili di vita

Al di là del rumore di fondo creato dal chiacchiericcio della polemica costante, della campagna elettorale perenne, dei Social avvitati su loro stessi e su un ancora diffuso qualunquismo, aumentano in modo esponenziale le iniziative dal basso che diffondono conoscenza, politiche locali di cambiamento, accompagnamento di buone pratiche perché l’unica cosa che realmente può spostare equilibri e cambiamenti sociali sono nuovi stili di vita.

Se ne parlava da decenni fra scienziati, ricercatori, informazione ambientale ma solo ora il messaggio è arrivato forte e chiaro coinvolgendo coloro che fino a ieri erano distratti.

Si poteva evitare di andare a sbatterci il muso ma forse è proprio l’uomo che non conosce altro sistema di procedere.

Le Buone pratiche

Quello che oggi rappresenta un vero cambio di marcia è che ricercatori e professionisti escono dal loro stretto campo di lavoro e si compromettono con la società civile valutando, segnalando, premiando e riconoscendo azioni che vanno nel segno di buone pratiche che modificano nel concreto i nostri stili di vita.

La Fondazione di partecipazione delle Buone pratiche è una iniziativa nata a Bari che si distacca dalle altre iniziative perché l’etichetta Buona pratica, rilasciata dalla Fondazione è come un marchio di fiducia, una segnalazione ai cittadini perché la Buona pratica deve essere ripetibile da chiunque. Quindi non un’iniziativa d’élite, episodica perché legata a un finanziamento, ma un’azione ecologica indicata a tutti.

A meno di un anno dalla nostra prima intervista, in cui Massimo Guido tratteggiò le caratteristiche della fondazione e Massimo Blonda pubblicò quello che chiamammo «manifesto politico», questa Fondazione di professionisti e ricercatori sta sviluppando il suo programma ed ha in cantiere altre iniziative per arrivare ai cittadini, rivelare quello che alcuni realizzano, valutarne fattibilità e qualità e lanciarla alla ripetitività come modello di Buona pratica.

Si tratta di aiutare la crescita e la diffusione di azioni virtuose. Niente di cattedratico, nessuno spirito professorale ma lo scoprire dal basso quello che si fa ed indicarne la ripetitività, spingere all’emulazione, creare occasione di confronto, dibattito, divulgazione.

In un’inchiesta di cinque anni fa il nostro grande collaboratore Giorgio Nebbia, in uno dei suoi numerosi e lucidi interventi scriveva: «la vita quotidiana richiede materie che possono essere tratte solo dalla natura. “La natura è la fonte di ogni valore d’uso e di essa è fatta la ricchezza reale”. È passato un secolo e mezzo da quando Marx ha scritto queste parole, del tutto valide ancora oggi in un mondo che vuole fare credere che la ricchezza reale sia fatta di soldi, senza contare che non c’è un solo soldo che si sposti da una tasca all’altra senza “portarsi dietro” un pezzo di materia e un pezzo di natura».

E lui, antesignano da sempre, già sosteneva che «ciascuno di noi può dare un piccolo contributo rivedendo i propri consumi e sprechi di merci, ciascuna delle quali richiede materie prime e risorse naturali scarse e sottratte ad altri popoli, e genera scorie che contaminano aria e acqua e mari da cui dipende la vita e il benessere di altri popoli». E sottolineava la grande importanza che riveste «una maggiore conoscenza e attenzione per la storia naturale delle merci. Ciascun oggetto che usiamo come è fatto, quali materie contiene, ciascuna di queste materie da dove viene?» e da docente convinto vedeva nella scuola «un ruolo importante, anche se delude la neutralizzazione di discipline naturalistiche, geografiche, merceologiche».

L’intervista

Ma la Fondazione barese che cammino ha fatto fino ad ora? Giriamo la domanda a Massimo Blonda, che ha favorito l’aggregazione attorno a questa iniziativa.

Dopo gli atti formali per la costituzione della Fondazione, abbiamo avviato le attività da poco più di due mesi, attraverso una pagina Facebook con la quale, per ora, intendiamo farci conoscere, spiegare che cosa vogliamo fare, stimolare i promotori di buone pratiche a farsi avanti e sulla quale alterniamo notizie sulle buone pratiche a indicazioni su come valutarle.

Come intende muoversi o come si sta muovendo?

Dobbiamo parallelamente consolidare l’organizzazione della fondazione, anche invitando qualche nuovo partecipante a impegnarsi, in modo da attrezzarla per la piena fase operativa, nella quale il rilascio dell’etichetta sia più veloce e contemporaneamente sia strutturato l’accompagnamento alla riproduzione delle buone pratiche. E si tratta di un grosso impegno, per chi come noi intende tenersi alla larga dalla circolazione di fondi e sponsorizzazioni condizionanti.

In che campo sono venute le assegnazioni delle prime etichette?

Abbiamo due diversi ambiti di attribuzione dell’etichetta di Buona pratica: uno rivolto a elementi e fenomeni naturali particolarmente importanti e l’altro alle buone pratiche antropiche. La prima Etichetta natura è stata rilasciata all’ulivo, per le sue innumerevoli valenze ecologiche, mentre la prima etichetta ad azioni antropiche è pronta per il rilascio. Non mi faccia anticipare a chi, per ora, ma si vedrà che trattasi di una cosa bellissima e facile da riprodurre, con solo un pochino di buona volontà. Altre pratiche sono in cantiere.

E quali sono i campi in cui sarebbe opportuno ci fossero già Buone pratiche?

Non esiste una delimitazione di campo vera e propria in cui possono o non possono esistere buone pratiche; certamente un discrimine importantissimo riguarda l’eventuale timore di concorrenza da parte del realizzatore della pratica: può esistere solo il desiderio di vederla riprodotta, non la difesa dell’esclusiva. Detto questo, è ovvio che i campi dove sarebbe necessario che si sviluppassero buone pratiche sono quelli che determinano oggi maggior impatto negativo sulla sostenibilità, quindi, primariamente, nelle produzioni di energia, alimenti e articoli di impiego diffuso; a ruota seguono mobilità e rifiuti.

Non le sembra che di fronte alla velocità con cui procede la tecnologia una buona pratica rischia di arrivare in ritardo e di essere già superata dal nuovo?

Guai a farsi prendere da questa ansia da «inseguimento tecnologico»! Le buone pratiche si posizionano prevalentemente al di fuori del modello Bau, modello lineare di economia estrattivista, quindi quanto procedano disgraziatamente tecnologie esclusive di quel modello non ci condiziona. Viceversa alcune tecnologie possono essere buona pratica in funzione di come si impiegano, e altre ne nascono, proprio nell’ambito di pratiche alternative e per soddisfare esigenze specifiche di queste. Spesso sono recuperate da esperienze tradizionali, e modernizzate alla luce delle conoscenze attuali.

In altri termini non le sembra che sia il caso, vista la qualità dei fondatori di questa iniziativa, di assumere anche il ruolo di anticipare gli orientamenti pericolosi della politica e dell’economia?

Su questo ci siamo dati una regola ferrea, che riteniamo molto salutare: non siamo e non saremo mai un’associazione culturale o ideologica; né tanto meno politica. Non promuoveremo e non parteciperemo a nessuna azione di pressione o contestazione di principio. Eviteremo di porre in rilievo il negativo ma ci concentreremo sul promuovere il positivo che già esiste e marcia. Non le sembra il miglior modo efficace di anticipare gli orientamenti pericolosi della politica e dell’economia? Noi lo chiamiamo «cambiamento di fatto». E non ha bisogno di incidere su nulla di più di quanto esso stesso non determini.

Nebbia segnalava una forte carenza «nell’insieme delle conoscenze dei rapporti fra materie viventi e inanimate (vegetali, animali, minerali, fossili) e fra tali materie (o risorse naturali) e i bisogni degli esseri umani come persone e come società». Non le sembra che nemica delle buone pratiche sia la mancanza di conoscenze? La Fondazione non si sente chiamata ad intervenire nel facilitare una migliore e corretta diffusione della cultura ecologica attraverso tutti i mezzi che l’informazione oggi ha a disposizione?

Questo certamente, e già un pochino lo facciamo e lo faremo. Ma oramai siamo convinti che nel marasma di informazioni caotiche, distorte o pilotate, se non del tutto false, che circolano l’unica vera informazione/formazione efficace sia un’altra: mostrare una buona pratica che esiste e funziona veramente e renderla ripetibile, come esempio di un’altra verità di fatto che sia scelta di vita. Se colpisce, cambia; altrimenti non bastano fiumi anche delle più corrette analisi e parole. Questo è il fondamento stesso della nostra iniziativa.

Ignazio Lippolis