Contro le pandemie, stop agricoltura intensiva

2006
allevamenti intensivi galline
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È l’appello di Greenpeace: per evitare nuove pandemie stop ai fondi pubblici per l’agricoltura intensiva e sostegno all’agricoltura su piccola scala

Per ridurre il rischio di future pandemie, l’Unione europea e i governi nazionali devono bloccare il sostegno all’allevamento intensivo nei pacchetti di salvataggio o con altri sussidi pubblici, salvando invece l’agricoltura su piccola scala. A livello nazionale ed europeo i lobbisti del settore agricolo hanno già chiesto sostegno per il settore delle carni e dei latticini.

L’allevamento intensivo ha un ruolo ben noto sia per l’emersione sia la diffusione di infezioni virali simili al Covid-19. Si stima che il 73 per cento di tutte le malattie infettive emergenti provenga da animali e che gli animali allevati trasmettano agli esseri umani un grande numero di virus, come i Coronavirus e i virus dell’influenza. È probabile che gli allevamenti intensivi, in particolare di pollame e suini, nei quali gli animali sono tenuti a stretto contatto e in numero molto elevato, oltre che movimentati su grandi distanze, possano far aumentare la trasmissione di malattie.

«Migliorare la salute dell’uomo e degli animali, insieme a quella delle piante e dell’ambiente, è l’unico modo per mantenere e preservare la sostenibilità del Pianeta» dichiara la professoressa Ilaria Capua, direttrice della One Health Center of Excellence dell’Università della Florida, sottolineando che la salute umana è indissolubilmente legata alla salute degli animali e della natura.

Avremo un Pianeta e una vita sani solo se cambiamo drasticamente il modo in cui trattiamo gli altri esseri viventi, animali negli allevamenti intensivi compresi.

L’allevamento degli animali è il principale motore della distruzione globale delle foreste e i ricercatori stimano che il 31 per cento delle epidemie di malattie emergenti siano legate al cambiamento nell’uso del suolo (tra queste Hiv, Ebola e Zika) collegati all’invasione umana nelle foreste pluviali tropicali.

«L’allevamento intensivo e la distruzione delle foreste legata alla necessità di produrre mangimi sono ingredienti perfetti per future pandemie. Se continuiamo a spingere gli animali selvatici a contatto con le persone e a concentrare gli animali in allevamenti sempre più grandi, il Covid-19 non sarà purtroppo l’ultima emergenza che dovremo subire. L’Ue e i governi nazionali devono salvare gli agricoltori su piccola scala colpiti da questa crisi e smettere di sostenere il sistema degli allevamenti intensivi che mettono a rischio la salute pubblica», dichiara Federica Ferrario, responsabile campagna agricoltura di Greenpeace Italia.

Il settore zootecnico europeo, nell’ambito dell’attuale Politica agricola comune (Pac) riceve già, direttamente e indirettamente attraverso la produzione di mangimi, tra i 28 e i 32 miliardi di euro all’anno in sussidi pubblici dell’Ue, il 18-20 per cento del bilancio totale dell’Ue. La stragrande maggioranza di questi pagamenti sostiene le aziende intensive più grandi, che forniscono oltre il 72 per cento dei prodotti di origine animale nell’Ue, mentre le aziende più piccole continuano a scomparire. Quasi tre milioni di allevamenti hanno chiuso tra il 2005 e il 2013, quasi un terzo di tutti gli allevamenti dell’Ue. L’Italia, tra il 2004 e il 2016, ha perso oltre 320mila aziende (un calo del 38 per cento).

Greenpeace chiede all’Ue e ai governi nazionali di garantire una transizione giusta ed equa fornendo aiuti finanziari agli agricoltori su piccola scala che, adottando pratiche ecologiche e lavorando a livello locale assicurano una produzione alimentare sana e resiliente, nonché ai lavoratori agricoli che potrebbero perdere i propri mezzi di sussistenza.

 

(Fonte Greenpeace)