Re-pubblica e Demo-crazia, appunti in evidenza

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Platone
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Se solo sapessimo leggere i Maestri…

Nel Libro VI della «Repubblica» Platone ha affrontato il problema e discute sul valore della democrazia dall’interno della sua esperienza che lo aveva visto alunno di Socrate, e quindi del pensiero critico nella ricerca oltre il dubbio, e poi autore dell’elogio del suo maestro, di colui che era stato condannato per aver difeso strenuamente il valore della legge contro l’abuso del potere politico

C’è parallelismo tra i due termini; si fonda sulla convergenza degli etimi «pubblico» e «dèmos» (popolo) agganciati rispettivamente all’entità sociale (res) su cui si esercita il governo, e il potere (cratéo = io comando) che anima e organizza il popolo.

Il concetto politico di democrazia viene da lontano, non è nato nella tradizione giuridica della Roma imperiale in cui invece la magistratura della dittatura era prevista, come attribuzione dei pieni poteri al condottiero delle legioni chiamato a decidere nell’immediatezza, senza necessità di dover attendere il placet del Senato; il concetto democratico è stato concepito ed esaminato al tempo delle città-stato greche e nello stesso tempo degli imperi e reami antichi. Da Atene il modello democratico avrebbe superato confini e tempo e sarebbe diventato costituzione statale moderna nei secoli successivi.

Non un dono ma una conquista

Noi, come altri popoli, lo abbiamo ereditato ma non è stato un dono, è stata la conquista dei nostri padri, sofferta e sempre ancora oggi necessitante di difesa e alimentazione.

Nel Libro VI della «Repubblica» Platone ha affrontato il problema e discute sul valore della democrazia dall’interno della sua esperienza che lo aveva visto alunno di Socrate, e quindi del pensiero critico nella ricerca oltre il dubbio, e poi autore dell’elogio del suo maestro, di colui che era stato condannato per aver difeso strenuamente il valore della legge contro l’abuso del potere politico.

In sintesi l’intuizione platonica si basa sull’importanza della scienza (come conoscenza) che non può essere attribuita sic et simpliciter alla massa popolare e neanche al miracolismo dei governati. Ma peggio sarebbe se questi, approfittando dell’ignoranza del popolo, usassero la prestanza intellettuale con il fine di erigersi oligarchicamente sui cittadini.

Si dà il caso che oggi i cittadini posseggano conoscenze e documentazione e che si invertano le condizioni: cittadini coscienti illuminati a confronto di politici o inesperti o oligarchici. In questi due casi il popolo non solo è amministrato male ma anche in modo subalterno agli interessi e alle pretese del potere.

La verità è affine alla misura

C’è un passaggio del Filosofo sintetico e illuminante per il nostro tema, il seguente:

«possiamo dire che un’anima priva di gusto e di decoro non è incline ad altro che alla dismisura … la verità è affine alla misura».

Alla domanda consequenziale: a quali uomini affideresti la città? Platone ha già dato con stringente dimostrazione la risposta poche righe prima:

«a uomini resi perfetti dall’età e dalla cultura ma che siano dotati di memoria, inclini all’apprendimento, generosi, eleganti, amici e parenti della verità, della giustizia, del coraggio e della temperanza» (74).

Platone non si ferma solo alla considerazione dei valori e virtù indispensabili per chi debba gestire l’amministrazione della polis; fa un passo avanti e dichiara l’indispensabilità dell’educazione come processo attivo che disponga alla capacità di leggere l’essere altrui e di amministrarlo, il protocollo fondamentale per definire la gestione della cosa pubblica.

Il concetto di filosofia, nel passo platonico ha questo senso: l’intelletto che annoveri tra le doti misura e decoro, intelletto amico dell’essere. Da qui la sua intuizione pedagogica:

«la natura se riceve l’educazione appropriata, crescendo giunge necessariamente a ogni virtù; ma se sarà seminata e piantata in un terreno non appropriato, da cui trarrà il suo alimento, risulterà del tutto opposta, a meno che un dio non capiti in suo aiuto» (75).

Ecco un esempio convincente per comprendere lo spettacolo anche del nostro Parlamento, particolarmente in questi giorni di tribolazione, una fotografia evidente della demagogia espressa da molti politici nella sede sacra delle istituzioni:

«Quando in assemblea o nei tribunali o nei teatri o negli accampamenti o in qualche adunanza di popolo, in parte biasimano, in parte approvano con molto rumore ciò che viene detto o fatto, in entrambi i casi in modo esagerato, gridando o pestando i piedi, e oltre a loro le rocce e il luogo in cui si trovano raddoppiano con l’eco il rumore del biasimo o della lode. In una situazione del genere, come si suol dire, quale cuore pensi che abbia il giovane? O quale educazione privata resisterà in lui senza essere sommersa da un tale biasimo o una tale lode e trascinata dalla corrente dovunque la porti, concordano pienamente con queste persone su ciò che è bello e brutto e acquistandone abitudini e carattere? — è assolutamente inevitabile, Socrate — dissi» (76).

La democrazia rappresentativa

La dinamica politica viene riproposta dal Filosofo con un esempio che illumina sulla gestione della democrazia rappresentativa:

«Immagina che su molte navi o su una sola accada un fatto di questo genere: da una parte un capitano che supera per statura e forza fisica tutto l’equipaggio, ma è un po’ sordo, ha la vista corta ed è provvisto di scarse conoscenze nautiche, dall’altra i marinai che litigano tra loro per il governo della nave, poiché ciascuno è convinto di dover stare al timone anche se non ha mai imparato l’arte della navigazione e non è in grado di indicare né il proprio maestro né il periodo in cui l’ha appresa, e per giunta sostengono che quest’arte non si può insegnare, anzi sono pronti a fare a pezzi chi dica il contrario. Essi stanno sempre attorno al capitano, pregandolo e facendo di tutto perché affidi loro il timone, e se talvolta riescono a persuaderlo altri invece che loro, li uccidono o li gettano giù dalla nave, e dopo aver reso innocuo il buon capitano con la mandragora, con l’ebbrezza o in qualche altro modo, si mettono al comando della nave consumando le provviste e navigano tra bevute e banchetti, com’è logico attendersi da persone simili. Inoltre lodano con i nomi di marinaio, timoniere ed esperto di nautica chi è bravo ad aiutarli nel comando usando sul capitano la persuasione o la forza, mentre biasimano come inutile chi non si comporta in questo modo; e non hanno neanche idea che il vero timoniere deve preoccuparsi dell’anno, delle stagioni, del cielo, delle stelle, dei venti e di tutto quanto concerne la sua arte, se realmente vuole essere un comandante, anzi sono convinti che, senza sapere né in teoria né in pratica come si guida una nave a prescindere dal volere della ciurma, sia possibile imparare quest’arte nel momento in cui si prende in mano il timone. Se sulle navi accadessero fatti del genere, non pensi che il vero timoniere sarebbe chiamato dall’equipaggio di navi così combinate acchiappa nuvole, chiacchierone e inutile?» “Sicuro”, rispose».

La comparazione tra l’attualità politica italiana e il testo platonico induce a individuare alcune prerogative dell’educazione, proprio nel momento in cui si è ravvisata la necessità di reintrodurre l’Educazione Civica nei segmenti scolastici in Italia:

  1. La politica è partecipazione frutto di scelte e non di copia/incolla;
  2. Al senso civico si giunge attraverso l’educazione ai valori etici;
  3. La maggioranza democratica nasce dalla convergenza su progetti e non sulla propaganda;
  4. La gestione della cosa pubblica richiede riflessione e studio e non simulazioni e metodi di trascinamento illiberale;
  5. L’educazione non si definisce e attua a prescindere: essa si realizza in progetti scientifici di formazione, nella scuola e nelle famiglie ove i nuovi cittadini possano trovare ambiente sereno, economicamente efficiente e affettivamente inclusivo.

La nostra scuola è il luogo del servizio dello Stato verso la dignità della persona, valore-singolare con proiezione plurale. In essa la democrazia va nutrita anche se la stessa scuola soffre per una partecipazione che stenta a essere sovrastrutturale e promotrice del valore della comunità educante.

In questo tempo in cui, con il capovolgimento degli attori, sono i ragazzi a chiedere più scuola, più relazione, più socialità bisogna credere loro e apprezzare la loro rivoluzione copernicana affinché il loro stare insieme, rivalutato e desiderato, non sia occasione perduta; la relazione non si fermi alla somma associativa ma si trasformi, attraverso la mediazione intelligente e preparata degli insegnanti, in relazione di reciprocità. Dalla difficoltà sofferta con l’isolamento imposto potrebbe germinare la democrazia rinnovata.

 

Francesco Sofia, Pedagogista, Socio onorario dell’Associazione nazionale dei pedagogisti italiani