Il «principe» è in Puglia e sta bene

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Lupa in allattamento ripresa da una fototrappola sul Gargano (foto Lorenzo Gaudiano)
Lupa in allattamento ripresa da una fototrappola sul Gargano (foto Lorenzo Gaudiano)
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Ispra ha avviato il primo monitoraggio su scala nazionale della presenza del principe dei predatori, il lupo. In Puglia i dati sono stati raccolti da dieci anni dal Parco nazionale dell’Alta Murgia ed, in parte, da quello del Gargano. Rivedere il sistema degli indennizzi agli allevatori e incentivare l’uso dei cani da guardiania. Intervista al referente pugliese, Lorenzo Gaudiano

La presenza di nuclei di lupi in Puglia, anzi, meglio, il loro ritorno accertato risale a fine anni 90 del secolo scorso. Ma poi, ritorno? Sarà stato così? Oppure non è mai scomparso del tutto come si voleva far credere? Comunque sia, oggi «il Principe» c’è, gode di salute abbastanza buona e non è particolarmente colpito da ibridazioni. Certo, gli atti violenti nei suoi confronti non mancano, ma la specie sa come adattarsi. Il monitoraggio del lupo è necessario come lo è mantenere vivo il rapporto diretto con gli allevatori per assisterli nella convivenza con lui.

Un giovane ricercatore del Dipartimento di Biologia dell’Università di Bari è referente del primo programma nazionale di monitoraggio delle popolazioni di lupi a cura di Ispra. Un bel successo. Perché, secondo te?

Il mio ambito di ricerca con il Dipartimento di Biologia dell’Università degli Studi di Bari ha da sempre avuto un focus specifico sulla fauna di interesse gestionale, su quelle specie che interagiscono con le attività antropiche. Nel 2009, in uno studio sul capriolo italico, nel Parco nazionale del Gargano, documentammo il primo evento riproduttivo di lupo in Puglia. Poi, ho coordinato importanti progetti di sistema nei parchi nazionali del Gargano e dell’Alta Murgia e nel parco regionale Terra delle Gravine. Ora, il monitoraggio nazionale è una naturale prosecuzione anche in territori non protetti.

lupo l gaudiano
Esemplare di lupo in Alta Murgia (foto Lorenzo Gaudiano)

Qual è la diffusione del lupo in Puglia, tenendo conto anche del monitoraggio in corso?

L’ampliamento distributivo dell’ultimo decennio ha dello straordinario. I nuclei riproduttivi, con dovute differenze di densità, sono presenti in tutto il territorio regionale in cui vi sono aree naturali, cinghiali ed un modesto grado di antropizzazione. Spesso da queste aree dipartono i solitari, individui dispersivi alla ricerca di nuovi territori o di un partner.

La capacità di adattamento di questa specie alle situazioni più marcatamente antropizzate è stata recentemente focalizzata in uno studio internazionale. In Puglia?

Il lupo ha la straordinaria capacità di sfruttare al massimo le più disparate fonti trofiche disponibili di un territorio, purché non vi sia disturbo diretto da parte dell’uomo. Numerosi studi dimostrano come questi due fattori siano fondamentali per l’insediamento di nuclei riproduttivi. Mi vengono in mente i lupi di pianura del centro-nord Italia che, muovendosi tra i pochi elementi naturali di un tessuto denso e naturalmente alterato, trovano in una specie alloctona, la nutria, una fonte di cibo elettiva. Così, non è difficile immaginare lupi alla periferia di Foggia o, in inverno, nelle pinete costiere tarantine.

Il lupo è un animale che determina da sempre conflitti, frutto, senza dubbio, di retaggi culturali ancora esistenti. È cambiato qualcosa in questo?

Norme italiane ed europee da tempo tutelano la specie. Tuttavia, sono frequenti gli episodi criminosi che trovano matrice nel conflitto con il comparto zootecnico ed il caso del lupo impiccato nei pressi di Varano (FG) potrebbe essere un esempio. Gli Enti gestori dei territori dovrebbero garantire affiancamento e adeguati supporti strumentali. Il Parco nazionale dell’Alta Murgia lo fa da più di dieci anni, quello del Gargano si è fermato.

Le amministrazioni pubbliche territoriali non sono attrezzate per gestire e monitorare la presenza della specie anche per assenza di professionalità interne, tranne eccezioni.

Non sempre vi è assenza di personale. I sistemi naturali sono caratterizzati da una spiccata dinamicità, ma altrettanto non può dirsi delle amministrazioni pubbliche nell’attrezzarsi in risposta alle necessità del momento. Un processo che non può prescindere dall’aggiornamento e da una robusta formazione.

Gli indennizzi agli allevatori il cui bestiame subisce attacchi da lupi sono sufficienti? Possibile non si riesca ad integrarli con la copertura, anche parziale, dei costi di smaltimento delle carcasse che risultano i più onerosi?

Il sistema degli indennizzi è lacunoso in molti suoi aspetti sostanziali e procedurali. Lo smaltimento delle carcasse dei capi predati rappresenta una delle principali falle che spesso induce gli allevatori ad «accettare» la predazione (alimentando però l’esasperazione) ed evitare la denuncia. Sono innumerevoli, poi, i casi in cui il capo predato non è rinvenuto, non permettendo di periziare.

Tra le misure di prevenzione per gli attacchi da lupi, la presenza di cani da pastore abruzzesi resta la più efficace. Lo puoi confermare anche per la Puglia?

L’utilizzo dei cani da guardiania, quando correttamente impiegati, rappresenta una misura efficace che può abbattere drasticamente la probabilità degli attacchi. Le esperienze italiane (e non solo) mostrano risultati chiari. I nostri casi studio, con allevamenti ovi-caprini nel Parco Nazionale dell’Alta Murgia, hanno dimostrato una riduzione degli attacchi anche del 100%. In un intervento nel Parco Regionale Terra delle Gravine, finanziato con fondi strutturali, stiamo sperimentando l’utilizzo dei cani da pastore a tutela di razze equine di pregio ed i risultati sembrerebbero essere incoraggianti. Ma ai cani bisogna aggiungere una conduzione degli allevamenti meglio programmata ed una corretta stabulazione.

Il programma di monitoraggio a cura di Ispra indagherà altre aree oltre quelle già conosciute per la presenza di nuclei di lupi?

In questa fase, si vuole impostare la prima ricognizione nazionale per stimare lo status della popolazione di lupo quanto a distribuzione e consistenza ed impostare il lavoro in modo che possa essere ripetuto negli anni. Ma questo non esclude che le aree da sondare possano essere ampliate.

 

Fabio Modesti