8. Transizione o transazione? Resistere si può

1923
fotovoltaico solare
Tempo di lettura: 3 minuti

Recentemente il Consiglio di Stato ha chiarito che la tutela del territorio e dell’ambiente naturale e seminaturale viene prima della corsa alle rinnovabili, ma ci vogliono pianificazione territoriale e programmazione energetica regionali di buon livello, motivati e precisi

L’esempio arriva dalla Lombardia e ci dice che si può resistere all’attacco massiccio in corso, che sarà sempre maggiore, per l’installazione di impianti industriali per la produzione di energia da fonti rinnovabili (Fer). Si può resistere se si fanno le cose bene, come, ad esempio, un buon Piano energetico regionale. È accaduto che il Consiglio di Stato ha espresso un parere, depositato l’11 maggio, al ministero dell’Ambiente prima che diventasse della Transizione ecologica. Il parere ha riguardato un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica presentato da una società veronese di rinnovabili che ha impugnato provvedimenti della Provincia di Pavia e della Regione Lombardia. La prima amministrazione, che aveva già espresso un preliminare di diniego dell’autorizzazione sulla base del Piano territoriale di coordinamento provinciale vigente, ha poi archiviato il procedimento di verifica di assoggettabilità a valutazione d’impatto ambientale (Via) di un progetto di un impianto fotovoltaico; la seconda aveva trasmesso alla Provincia di Pavia una nota interpretativa del Piano energetico ambientale regionale (Pear) relativa alle «aree non idonee all’installazione di impianti».

Il ricorso poggiava, riassume il Consiglio di Stato, sull’interpretazione delle norme nazionali in materia per la quale «nelle aree agricole “ordinarie”, non selezionabili in qualche modo come “di pregio”, non sarebbe giuridicamente possibile introdurre alcun limite, né qualitativo, né quantitativo, alla realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, neppure, guardando alla fattispecie concreta in trattazione, per tipologie di impianti, quali il fotovoltaico a terra […] che possono presentare una notevole estensione e un rilevante impatto in termini di consumo di suolo agricolo utile».

Tesi improponibile, dicono i giudici amministrativi, perché significherebbe che nelle aree agricole non di pregio si potrebbero sostituire le colture agricoli con impianti industriali energetici da Fer. Invece, proseguono i giudici, la Provincia di Pavia e la Regione Lombardia hanno messo a punto strumenti di programmazione e di pianificazione che hanno correttamente graduato le tutele territoriali ed ambientali, in particolare con il Pear. E non è vero che «le aree agricole “comuni”, non “di pregio”, debbano essere lasciate libere e prive di qualsivoglia limite all’installazione di impianti fotovoltaici». Neanche la norma nazionale (il decreto legislativo n. 387/2003) lo prevede perché stabilisce che gli impianti possono essere realizzati in aree agricole ma non stabilisce che nelle aree agricole non di pregio «nessun limite o condizione (benvero, proporzionati e ragionevoli) possano essere introdotti alla realizzazione dei suddetti impianti».

Gli atti di pianificazione territoriale e di programmazione energetica della Provincia e della Regione si sono limitati «a graduare e diversificare in modo non irragionevole e non sproporzionato le diverse condizioni e limitazioni prevedendo […] limitazioni più severe e stringenti per le aree agricole di pregio, e limitazioni e condizioni meno impegnative e limitative per le altre aree agricole».

Infatti, il paragrafo 8.6 del Pear lombardo definisce, per tutto il terreno agricolo lombardo, «l’istruibilità e la non istruibilità delle diverse tipologie di impianti Fer”, nel senso, dunque — prosegue il Consiglio di Stato — che anche le aree agricole “ordinarie” e non di pregio hanno giustamente ricevuto una loro propria disciplina, che risulta non illogica, né sproporzionata o irragionevole». Né è utile richiamare gli obblighi internazionali ed europei in materia di riduzione di emissione di gas climalteranti perché, sostengono i giudici di Palazzo Spada, «le direttive europee e gli accodi internazionali, dunque, non hanno nessun effetto verticale diretto e non svolgono nessuna incidenza, né rilevanza riguardo alle scelte, statali e regionali, in ordine al corretto bilanciamento tra gli opposti interessi pubblici della salvaguardia delle risorse agricole e naturali locali (artt. 9, 32 e 44 Cost.) […]».

Insomma, i massimi giudici amministrativi chiariscono che la tutela del territorio e dell’ambiente naturale e seminaturale viene prima della corsa alle rinnovabili, ma ci vogliono pianificazione territoriale e programmazione energetica regionali di buon livello, motivati e precisi. E questa è una competenza del tutto regionale da esercitare al meglio soprattutto ora che l’obnubilamento da rinnovabili sembra riguardare gran parte della classe politica e dirigente italiana e molti esponenti di associazioni ambientaliste.

 

Fabio Modesti