Acqua, un diritto ancora precario

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Solo una conoscenza delle problematiche che attengono l’acqua, crea le condizioni per la difesa consapevole delle sovranità idrica, la sicurezza nazionale e il riconoscimento concreto del diritto all’acqua

«Laudato si’, mi Signore, per sor’acqua, la quale è molto utile et humile et pretiosa et casta», scriveva S. Francesco nel 1200.
Ebbene ora, come allora, l’acqua è «preziosa»: in tutto il mondo 3,6 miliardi di persone (quasi metà della popolazione mondiale) vivono già in territori ad elevata criticità idrica almeno un mese all’anno e potrebbero aumentare fino a oltre 5 miliardi entro il 2050.
Numerosi paesi si trovano ora in condizioni di scarsità d’acqua e con tutta probabilità dovranno far fronte a un ulteriore calo delle risorse idriche superficiali a partire dal 2050. La domanda globale di acqua è in continuo aumento.
Ne discende che il controllo e la gestione delle risorse idriche sono considerate altamente strategiche dalle autorità politiche, in quanto elementi imprescindibili per la sopravvivenza delle nazioni e che, in ogni caso, per l’acqua si combatte da decenni e, tra le guerre in corso, è tra quelle più complesse, con le armi e con le leggi.
Sino a quando l’acqua è disponibile, e l’impiego permette di proseguire la produzione senza troppi sacrifici, gli attacchi vengono portati attraverso la guerra normativa «di forti poteri economici in grado di prendere il controllo o deviare a proprio vantaggio risorse idriche preziose, sottraendole a comunità locali o a intere nazioni».
È il cosiddetto «accaparramento dell’acqua» il cui obiettivo non è solo quello di assicurarsi la risorsa. Infatti, «una strategia che si rispetti deve prevedere anche le “riserve strategiche”, ossia la capacità di immagazzinare, o comunque, avere a disposizione la risorsa, anche quando scarsa o quando impossibilitati, magari per un conflitto, per gli anni a venire, così da poter garantire il proseguire della produzione».

La situazione in Italia

La Commissione Intelligence giuridica costituita all’interno del Laboratorio sull’intelligence dell’Università di Calabria, diretto da Mario Caligiuri, ha redatto un documento sul Recovery Fund e i sistemi idrici per evidenziare il diritto dell’acqua.
Il documento programmatico approvato dalla Commissione, fra l’altro, afferma che il settore in Italia appare vulnerabile poiché non è stata definita una strategia di difesa della sicurezza nazionale in questo ambito. Proprio per questo la Commissione ha inteso occuparsi di acqua. Infatti, l’appropriazione dell’acqua, che nega il diritto, passa attraverso soluzioni normative concrete che sottraggono alla comunità la gestione della preziosa risorsa tramite processi graduali e impercettibili.
Ne consegue che particolare attenzione dovrà essere dedicata alla crescente richiesta di norme per favorire l’informatizzazione estrema delle risorse idriche. La vulnerabilità della rete deve preoccupare, poiché la manomissione o l’utilizzo improprio del sistema potrebbe pregiudicare la regolare erogazione d’acqua a 60 milioni di cittadini.
In questo scenario diventa indispensabile conoscere il quadro d’insieme della gestione delle fonti d’acqua e la vulnerabilità delle tecnologie in campo.
Allo stato, le normali soluzioni infrastrutturali per la gestione della risorsa idrica non sono sufficienti. Si stanno sviluppando ricerche per trovare «soluzioni basate sulla natura», recuperando anche «saperi» tradizionali in gran parte accantonati e concentrandosi sulla tutela e sul mantenimento delle funzioni ecologiche del territorio.
Si tratta di soluzioni ispirate ai processi naturali o direttamente legate al loro ripristino o alla loro conservazione e volte a favorire una risposta «naturale» del territorio, soluzioni importantissime anche per l’attenuazione dei sempre più frequenti eventi estremi (siccità o alluvioni) a cui siamo soggetti.
Questo tipo di approccio è perfettamente in linea con i recenti orientamenti della Commissione europea in materia di infrastrutture verdi, «intese come reti di aree naturali e seminaturali pianificate a livello strategico con altri elementi ambientali, progettate e gestite in maniera da fornire un ampio spettro di servizi ecosistemici. Senza soluzione di continuità la rete delle infrastrutture verdi penetra l’intero territorio creando continuità, funzionalità ed eliminando barriere e sprechi. La natura, non più ridotta a oggetto di consumo e di sola fruizione estetica, recupera e mette al centro il ruolo di fornitore di risorse vitali e di equilibratore della stabilità e della sostenibilità globali».

Serve una progettazione interdisciplinare

Questo tipo di azioni richiedono una progettazione interdisciplinare per comprendere la complessità ecologica (aspetti climatici, idrogeologici, pedologici, ecologici…) e i problemi territoriali e favorire così l’elaborazione di soluzioni ad hoc in relazioni alle diverse vocazioni e potenzialità ambientali dei territori oggetto degli interventi.
Le soluzioni basate sulla natura sono principalmente orientate alla gestione delle acque e all’approvvigionamento idrico attraverso la gestione delle precipitazioni, dell’umidità, della conservazione dell’acqua, dell’infiltrazione nel sottosuolo, in modo da influire localmente, ma non solo, sul ciclo dell’acqua. Questo approccio si sta lentamente e progressivamente imponendo, anche se in Italia con molta fatica, su quello infrastrutturale tradizionale (realizzazione di bacini e invasi artificiali, canalizzazione corsi d’acqua…); questo avviene soprattutto attraverso una gestione più responsabile ed ecosostenibile delle risorse idriche basata, ad esempio, sul ripristino di zone umide o sulla loro nuova realizzazione (anche in contesti urbani), sul miglioramento delle condizioni di umidità del suolo e su una più efficiente ricarica delle falde. L’agricoltura, che dovrà soddisfare aumenti crescenti della domanda alimentare, dovrà promuovere e migliorare l’efficienza dell’uso delle risorse e soprattutto dell’acqua; da vari studi si è visto, infatti, come la produzione agricola potrebbe aumentare di circa il 20% in tutto il mondo se si utilizzassero pratiche di gestione delle acque più ecologiche.
Sono stati esaminati i progetti di sviluppo agricolo in molti Paesi a basso reddito ed è emerso che, utilizzando in modo più efficiente l’acqua, riducendo l’uso di pesticidi e migliorando la copertura del suolo, i raccolti in queste situazioni sono notevolmente aumentati (mediamente del 79%).

Il nodo città

Le soluzioni «verdi» basate su processi naturali sono forse ancora più importanti nelle città, dove in questo ultimo secolo si è addensata gran parte della popolazione mondiale. Le caratteristiche dei suoli urbani, i loro modelli di distribuzione e di assemblaggio, nonché l’intensità dell’insieme di processi fisici, chimici e biologici che agiscono nel corso del tempo, differiscono significativamente rispetto a quelli naturali. L’impermeabilizzazione dei suoli e la conseguente riduzione della capacità di infiltrazione idrica, nonché l’estrazione delle acque di falda per gli usi dell’uomo, hanno ulteriormente ridotto il livello freatico. Di conseguenza i suoli urbani sono diventati notevolmente più aridi nel corso dei secoli, a eccezione di quelli dei giardini e dei parchi divenuti invece più umidi grazie all’irrigazione estensiva.
Nelle aree industriali, sotto i depositi di rifiuti, nei campi di filtrazione, cioè nelle terre irrigate con acque reflue al fine di depurarle, e nei margini delle strade asfaltate il suolo è, in genere, fortemente inquinato.
Durante gli eventi di piena i corsi d’acqua, nell’attraversare centri urbani, si «gonfiano» oltremisura a causa della forte impermeabilizzazione del territorio, favorendo un più rapido scarico delle acque superficiali e creando grandi disagi nelle città attraversate, ma anche e soprattutto per i tratti fluviali e i centri urbani più a valle, per non parlare di quelli con tratti di corsi d’acqua tombati.
Le città sono quindi un ambito prioritario e di estremo interesse per promuovere approcci innovativi per la gestione delle acque.
In particolare si stanno sviluppando, ormai già da anni e in diverse grandi città europee (Berlino, Hannover…), sistemi di drenaggio urbano sostenibile (Susd), che sfruttano al meglio i diffusi spazi marginali, ma anche parcheggi, giardini, tetti. Molti e differenziati possono essere gli interventi, dalle trincee, costituite da scavi riempiti con materiale ghiaioso e sabbia, realizzate per favorire l’accumulo della pioggia e la loro successiva infiltrazione nel sottosuolo, ai canali filtranti riempiti di materiale a porosità elevata, in grado di contenere temporaneamente le acque di pioggia, che poi in parte s’infiltrano nel sottosuolo e in parte possono essere convogliate a una rete drenante di acque bianche alle pavimentazioni permeabili, agli invasi per la laminazione delle acque di pioggia, ai tetti «verdi» filtranti.
Tali sistemi possono contribuire alla riduzione del rischio allagamenti, al miglioramento della qualità delle acque e alla riqualificazione del verde urbano. Sono sistemi estremamente importanti per la gestione della risorsa idrica e sono ormai una componente fondamentale per i Piani di adattamento ai cambiamenti climatici.

I progetti di Bologna

Molte delle tipiche soluzioni adottate nei Susd sono state promosse a Bologna nell’ambito di un progetto nato con l’obiettivo di dotare la città di una Strategia e di un Piano di adattamento locale al cambiamento climatico, prevedendo anche la sperimentazione di alcune misure concrete, per rendere la città meno vulnerabile e in grado di agire in caso di alluvioni e siccità «straordinarie» e altre conseguenze del mutamento del clima.
È stato inizialmente definito un profilo climatico locale, che ha consentito di evidenziare le principali pressioni e minacce per il territorio bolognese. Sono così stati individuati tre settori di «vulnerabilità»: siccità e carenza idrica, ondate di calore, eventi estremi e rischio idrogeologico, per i quali sono stati definiti obiettivi e azioni per ogni diverso settore con un orizzonte temporale fissato al 2025.
Il Piano si è anche distinto per un importante processo di partecipazione che ha permesso di condividere con gli attori territoriali, associazioni e portatori d’interesse, le criticità e le possibili soluzioni da adottare. Oltre al Piano di Bologna, uno dei primi nel suo genere in Italia, altre iniziative si stanno timidamente facendo largo anche in Italia; tuttavia è necessario moltiplicare queste esperienze e fare in modo che rientrino nelle modalità ordinarie di pianificazione e gestione delle acque nelle città.
Le conoscenze e le esperienze positive sono ormai ben documentate e le Amministrazioni Comunali possono avviare, da sole o in collaborazione tra loro per territori omogenei, strategie e piani di mitigazione e adattamento climatico.
Queste azioni potrebbero e dovrebbero essere attivamente incentivate da Stato e Regioni attraverso, ad esempio: a) nuovi strumenti di fiscalità urbanistica o una rimodulazione del contributo di costruzione, così come attraverso una riduzione o esclusione dello stesso per interventi edilizi in aree urbane degradate; b) per il completamento di aree già urbanizzate; nonché per gli interventi di recupero, riqualificazione, riutilizzazione urbanistica o di ricostruzione edilizia a seguito di demolizione; c) un raddoppio degli oneri di urbanizzazione nel caso di opere compiute in aree di nuova urbanizzazione, che stabilisca che i proventi del contributo per l’utilizzo di nuovo suolo.
Va detto, in conclusione, che solo una conoscenza delle problematiche che attengono l’acqua, crea le condizioni per la difesa consapevole delle sovranità idrica, la sicurezza nazionale e il riconoscimento concreto del diritto all’acqua.
Come ha affermato Nelson Mandela «L’acqua è un diritto di base per tutti gli esseri umani: senza acqua non c’è futuro. L’accesso all’acqua è un obiettivo comune. Esso è un elemento centrale nel tessuto sociale, economico e politico del paese, del continente, del mondo. L’acqua è democrazia».

 

Francesco Sannicandro, già Dirigente Regione Puglia e Consulente Autorità di Bacino della Puglia