Meno CO2, più ferrovie

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treno binari
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Un Green Deal capace di rispondere all’emergenza climatica e di rilanciare l’economia e la qualità della vita dei cittadini europei è un’occasione per guardare ai cambiamenti che stanno avvenendo, tra l’altro, sulla rete ferroviaria italiana

La lotta ai cambiamenti climatici è oggi, finalmente, al centro dell’agenda politica europea e la nuova Commissione ha presentato un piano di investimenti di oltre mille miliardi per rendere possibile un Green Deal capace di rispondere all’emergenza climatica e di rilanciare l’economia e la qualità della vita dei cittadini europei.
È questa un’opportunità straordinaria e deve diventare la leva per affrontare la drammatica situazione di inquinamento che vivono le aree urbane.
È un’occasione per guardare ai cambiamenti che stanno avvenendo, tra l’altro, sulla rete ferroviaria italiana. Occorre comprendere cosa succede sulla rete: se crescono i passeggeri che ogni giorno scelgono di prendere la forma di mobilità più sostenibile nel nostro Paese e di approfondire quali risultati hanno prodotto gli investimenti realizzati in questi anni, quali riscontri hanno avuto tra i cittadini e come hanno contribuito a ridurre l’inquinamento e la congestione che incombe sulle città italiane. Questi temi purtroppo non sono mai al centro del dibattito pubblico e politico, che continua a guardare solo a cantieri e alle promesse delle grandi opere.

Chi vuole cambiare

La domanda di mobilità è enormemente cambiata in questi anni di crisi economica, di migrazioni da Sud a Nord e dentro le grandi aree urbane, di modifiche nella struttura produttiva e sociale. Ma il fattore a cui guardare forse con la maggiore attenzione è la propensione al cambiamento da parte delle persone, perché in questi anni ovunque si è investito in un servizio di trasporto efficiente i risultati sono stati straordinari.
Sono segnali importanti che dimostrano la volontà di uscire da un modello di trasporto incentrato sull’auto privata.
Per comprendere se vogliamo ottenere dei risultati occorre guardare quanto succede tra le 6 e le 9 del mattino in una delle stazioni italiane o lungo i principali assi autostradali di ingresso alle città per capire la dimensione incredibile del fenomeno del pendolarismo. La sfida sta oggi nel dare forza a progetti e idee capaci di migliorare la mobilità in ogni parte d’Italia perché in questo modo si possono creare rilevanti vantaggi generali di tipo ambientale e vivibilità delle città e, dunque, di rilancio economico del Paese.

Uno sguardo alle origini

Uno sguardo sulle origini e sulle vicende delle ferrovie italiane assume un significato che va al di là della storia di questa importantissima infrastruttura, che ha caratterizzato l’economia dei maggiori paesi europei nella seconda parte del XIX secolo. Il ruolo che le ferrovie hanno avuto in Italia in nessun modo può essere paragonato con quello avuto in altri paesi. La coincidenza dell’unificazione con la realizzazione sul territorio nazionale delle maggiori direttrici ferroviarie non si esaurisce in una semplice questione temporale, ma va vista in un’ottica politica: le ferrovie furono lo strumento indispensabile per unire gli stati preunitari e le loro rispettive popolazioni.
Il significato politico delle prime realizzazioni ferroviarie, che emerse con tutta la sua forza in occasione della realizzazione della Direttrice adriatica, fu quindi una caratteristica italiana, a differenza di ciò che avvenne in altri paesi europei, come Francia e Regno Unito, dove le ferrovie si affermarono soprattutto come importante fattore economico.
Il principale artefice del sistema ferroviario italiano fu Camillo Benso, conte di Cavour. In un suo viaggio in Inghilterra egli rimase colpito dall’industria nelle sue varie forme ed in particolare dalle «strade ferrate». Così scriveva al Naville, il banchiere ginevrino che contribuì al finanziamento di una compagnia per la costruzione della ferrovia Torino-Alessandria: «Ciò che ho visto (le strade ferrate) mi ha fatto desiderare più che mai di vederle impiantate sul continente. In Inghilterra le distanze non esistono più. La posta parte da Londra due volte al giorno in quasi tutte le direzioni. Adesso ci vogliono parecchie vetture per trasportare la posta, qualche anno fa ne bastava una».
Per un convinto sostenitore della necessità del libero scambio, quale era Cavour, le «strade ferrate» rappresentavano quindi un potente mezzo per il trasporto di merci e persone oltre che strumento di unificazione dell’Italia.
Allo stesso tempo, la conformazione orografica dell’Italia (fatta per il 35,2% di montagne, il 41,6% di colline e solo del 23,2% di pianure) presentava ostacoli che sembravano insormontabili date le conoscenze tecniche dell’epoca. Con sole due grandi pianure, quella Padana e il Tavoliere delle Puglie, le Alpi alla frontiera con la Francia e al confine con le altre nazioni dell’Europa centrale, con la catena appenninica che per secoli aveva rappresentato un ostacolo nelle relazioni tra la parte adriatica e tirrenica, con fiumi dal corso impetuoso e due grandi isole, la progettazione e la realizzazione di un sistema ferroviario non era una cosa semplice.
Lo sviluppo delle ferrovie in Italia venne percepito dal mondo politico del tempo come strumento di integrazione nazionale. Nella visione di Cavour le ferrovie erano strumento fondamentale per superare le barriere tra i popoli e per rendere più corta una nazione lunga geograficamente. L’Italia che era venuta fuori nel 1861 andava da Milano a Palermo, da Torino a Lecce e le ferrovie erano, oltre all’esercito, il mezzo più importante per incontrarsi e conoscersi tra italiani separati da secoli di domini locali e stranieri.
Nel 1861, la commissione della Camera, discutendo proprio della costruzione delle ferrovie calabro-sicule, notava che occorreva costruirle per fare atto di giustizia distributiva nel novello consorzio delle province italiane, e per correggere rapidamente i vizi della storia e quelli della geografia».
È, infatti, compito dello Stato trovare le soluzioni per correggere i «limiti» dei governi locali e i «vizi della geografia» (cioè superare gli ostacoli che impediscono di portare i binari in collina o in montagna, di attraversarli con gallerie o di superare l’ostacolo dei fiumi e del mare). Se il sud non è fatto di grandi pianure, non vuol dire che deve essere per forza un’impresa (ancora oggi) arrivare con il treno a Matera, a Reggio Calabria o in Sicilia, o passare dal Tirreno all’Adriatico in tempi ragionevoli, come nel caso dei non collegamenti tra Puglia, Campania e Calabria, o tra Abruzzo, Molise e le città del Tirreno.
Ancora oggi lo scopo delle ferrovie di rendere quanto più vicine Milano, Reggio Calabria, Lecce o Palermo, cioè le punte estreme della penisola e della nazione, non è stata raggiunta fino in fondo. Ci sono alcuni tratti tra le città italiane più importanti della sua storia che si percorrono con meno tempo in auto che in treno (Milano-Palermo, Napoli-Bari) mentre in quasi tutte le altre grandi città si arriva prima viaggiando in vagoni all’avanguardia e a velocità sostenute.
È indubbio che le ferrovie sono state le imprese più innovative apparse sulla scena dell’economia italiana dall’Ottocento fino ai nostri giorni. Tale ruolo nell’innovazione tecnica e scientifica fu molto evidente e si sperimentò nelle tecniche di perforazione delle gallerie sotto le Alpi e gli Appennini, nella costruzione di locomotive sempre più all’avanguardia (l’invenzione del «pendolino» fu il massimo successo della capacità inventiva in questo campo, come un secolo prima era stata la ferrovia a cremagliera), nella costruzione di ponti arditi, nell’innovazione nella trazione elettrica, ecc. ecc. La scuola ingegneristica italiana deve moltissimo alle ferrovie. Questa funzione di permanente innovazione tecnica ha trovato nella costruzione della rete ad Alta velocità una significativa conferma.
In particolare, va segnalato il contributo dal punto di vista ambientale: l’Alta velocità, entrata in funzione nel 2008, ha spostato da allora al 2019 ben 10 milioni di passeggeri dall’aereo al treno e comportato una riduzione di oltre tre milioni di vetture chilometro all’anno: una straordinaria ricaduta ambientale per il sistema dei trasporti nel nostro paese. Perciò completare la Tav fino a Palermo, andando oltre Salerno e consentendo all’estremo sud di completare il congiungimento con il resto d’Italia, è una «scelta di equità» e una grande opportunità. Così come passare dall’Adriatico al Tirreno attraversando l’Appennino meridionale con tempi veloci di percorrenza, è un altro obiettivo di lungo corso nella storia italiana. Strategie che potevano essere realizzate molto tempo fa, ma che siamo ancora in tempo a rendere operative in tempi brevi.

I benefici in numeri

I numeri e le statistiche raccontano un Paese in cui cresce la voglia di trasporto su ferro, ma dentro questo quadro positivo troviamo realtà molto diverse che raccontano incredibili differenze nella qualità e offerta di servizio ferroviario tra le diverse parti d’Italia. In alcune aree il servizio è tra i più competitivi al mondo. Come tra Firenze e Bologna dove l’offerta di treni, per quantità e velocità, davvero non ha paragoni in Europa. E di fatto in servizio una vera e propria metropolitana, con 164 treni che sfrecciano a 300 km/h nei due sensi di marcia ogni giorno (erano 162 lo scorso anno, 152 due anni fa, 142 tre anni fa, ed erano solo 18 gli Eurostar nel 2002). Il successo dell’alta velocità è dovuto proprio ad un impressionante miglioramento dell’offerta, sempre più ampia e articolata, di treni nuovi che si muovono tra Salerno, Napoli, Roma, Firenze, Bologna, Milano, Torino e Venezia.

Lo raccontano da un lato gli investimenti che Trenitalia continua a realizzare sui servizi a mercato, ossia quelli dove si ripaga attraverso la vendita dei biglietti, e dall’altro il rilancio degli investimenti da parte di Italo. I risultati positivi continuano per le Frecciargento e Freccebianche al centro-nord dove sono stati fatti investimenti sul materiale rotabile e si sono ridotti i tempi di percorrenza. Significativo il dato anche sulla tipologia di materiale rotabile, con i Frecciarossa 1000 arrivati ad oltre 60 sulla rotta Torino-Salerno, con gli ETR 500 ed ETR 480 che vengono utilizzati su altre linee a lunga percorrenza come nel caso della Reggio Calabria-Roma e Genova-Firenze. La flotta ad alta velocità è formata da un terzo di treni con meno di 2 anni d’esercizio.
Questi risultati sono il frutto degli investimenti realizzati e dei tagli evitati in particolare sulle linee a più forte domanda.
Aumenta il numero di persone che prende il treno al nord, come in Lombardia, in Emilia-Romagna e Veneto. Positivo in Piemonte il recupero del numero di passeggeri che torna a superare il livello del 2011, nonostante la soppressione del servizio passeggeri di alcune linee.

Il ritardo delle aree urbane

Il vero ritardo infrastrutturale italiano è nelle aree urbane dove la dotazione di linee metropolitane si ferma a 247,2 km totali, ben lontano dai valori di Regno Unito (oltre 672 km), Germania (649,8) e Spagna (609,7). Basti dire che il totale di km di metropolitane in Italia è inferiore, o paragonabile a quello di singole città europee come Madrid, Londra (464,2), Parigi (221,5 km), che mostrano numeri impressionanti e progetti di sviluppo per aumentare il numero di persone trasportate.
Occorre investire nella rete del ferro, per ampliare la dotazione di linee ferroviarie suburbane, metropolitane e tramviarie e in parallelo potenziare il servizio e lavorare sull’efficienza e integrazione del trasporto pubblico su gomma, in modo da ridurre i tempi degli spostamenti. Dovunque in Italia si è investito sul ferro i risultati sono stati positivi, con una quota crescente di cittadini che ha rinunciato all’auto proprio perché esisteva un’alternativa agli spostamenti in automobile che ancora dominano la mobilità nel nostro Paese.
Cambiare il futuro del trasporto pendolare è possibile, lo dimostrano le tante esperienze di successo in ogni parte d’Italia dove si conferma la disponibilità delle persone a lasciare a casa l’auto quando treni, metro, tram ed autobus sono competitivi. Una prospettiva di questo tipo è alla portata di un Paese come l’Italia e nell’interesse dei suoi cittadini, con vantaggi non solo ambientali, come il minore inquinamento e la lotta ai cambiamenti climatici, ma in generale di qualità della vita e attrattività delle nostre città e dei territori, di lavoro. La novità è che questo scenario di cambiamento della mobilità è imprescindibile se si vogliono raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 fissati dall’Unione europea al 2030 e al 2050 quando si dovrà raggiungere la totale decarbonizzazione perché i trasporti sono l’unico settore che in Italia ha visto crescere le emissioni dal 1990 ad oggi (+2,4%).
L’obiettivo deve essere di raddoppiare il numero di persone che ogni giorno in Italia prende treni regionali e metropolitane, per farli passare da 5,7 a 10 milioni. La mobilità urbana è una grande questione nazionale e se guardiamo alle principali aree metropolitane e conurbazioni urbane cresciute negli ultimi decenni ci rendiamo conto che è in questi ambiti, dove vivono oltre 25milioni di persone, che occorre concentrare attenzioni e investimenti, perché qui per le densità presenti e la domanda di mobilità è possibile costruire uno scenario di mobilità incentrato sul trasporto su ferro. Quello che le esperienze recenti di città europee e italiane dimostrano è che, laddove si investe sulla rete del ferro, non solo si possono creare opportunità di spostamento che sono sempre più apprezzate dalle persone, ma diventa possibile costruire un modello di mobilità dove il valore aggiunto è l’integrazione con spostamenti in bici e a piedi lungo percorsi sicuri, con un TPL ridisegnato proprio per ottimizzare gli scambi e ridurre i tempi di attesa, con le nuove forme della sharing mobility di auto, motorini, biciclette, monopattini elettrici. È a questo scenario di cambiamento (sempre più incentrato sulla mobilità elettrica per puntare a emissioni e inquinamento zero) che dobbiamo guardare con grande attenzione perché può consentire di cambiare il futuro delle città italiane e renderle più vivibili ed attraenti.

 

Francesco Sannicandro, già Dirigente Regione Puglia e Consulente Autorità di Bacino della Puglia